È passata poco più di una settimana dall’accordo sul litio firmato da Serbia e Unione europea, e i cittadini serbi hanno già iniziato a protestare in diverse città
di Giovanni Vale
Venerdì 19 luglio, durante un vertice “sulle materie prime critiche” organizzato con tanta fretta e altrettanta discrezione a Belgrado, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha accolto il vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič (con delega al Green Deal europeo) e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, oltre ai rappresentanti di Mercedes-Benz e Stellantis.
Quell’incontro è stato l’occasione per firmare un “memorandum d’intesa” col quale l'Ue e il Paese balcanico si sono impegnati a collaborare per creare una catena di approvvigionamento del litio reciprocamente vantaggiosa. “Sono orgoglioso di ciò che abbiamo iniziato oggi, 6 miliardi di euro di nuovi investimenti sono in arrivo”, ha commentato Vučić, secondo cui il litio serbo sarà esportato già a partire dal 2028 e principalmente sotto forma di batterie e componenti prodotti in Serbia, e sarà venduto solo a partner europei, “nonostante l'interesse dei produttori cinesi”.
Rio Tinto torna in campo
L’accordo segna un primo passo verso lo sfruttamento del litio nel Paese, una questione che ha profondamente scosso la società serba negli ultimi anni. Sono passati infatti 20 anni da quando il gruppo anglo-australiano Rio Tinto ha scoperto quello che sostiene essere il più grande giacimento di litio in Europa, nella valle di Jadar, nella Serbia occidentale: una miniera in grado di produrre fino a 58.000 tonnellate di litio all'anno, sufficienti ad alimentare più di un milione di veicoli elettrici.
Venerdì 19 luglio, durante un vertice “sulle materie prime critiche” organizzato con tanta fretta e altrettanta discrezione a Belgrado, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha accolto il vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič (con delega al Green Deal europeo) e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, oltre ai rappresentanti di Mercedes-Benz e Stellantis.
Quell’incontro è stato l’occasione per firmare un “memorandum d’intesa” col quale l'Ue e il Paese balcanico si sono impegnati a collaborare per creare una catena di approvvigionamento del litio reciprocamente vantaggiosa. “Sono orgoglioso di ciò che abbiamo iniziato oggi, 6 miliardi di euro di nuovi investimenti sono in arrivo”, ha commentato Vučić, secondo cui il litio serbo sarà esportato già a partire dal 2028 e principalmente sotto forma di batterie e componenti prodotti in Serbia, e sarà venduto solo a partner europei, “nonostante l'interesse dei produttori cinesi”.
Rio Tinto torna in campo
L’accordo segna un primo passo verso lo sfruttamento del litio nel Paese, una questione che ha profondamente scosso la società serba negli ultimi anni. Sono passati infatti 20 anni da quando il gruppo anglo-australiano Rio Tinto ha scoperto quello che sostiene essere il più grande giacimento di litio in Europa, nella valle di Jadar, nella Serbia occidentale: una miniera in grado di produrre fino a 58.000 tonnellate di litio all'anno, sufficienti ad alimentare più di un milione di veicoli elettrici.
Secondo l’economista serbo Dragan Lončar, autore dello studio sull'impatto economico del progetto pubblicato nel 2021, il giacimento serbo sarebbe sufficiente a sostenere 30 anni di scavi su un’area di 300 ettari.
La miniera darebbe lavoro a circa 1.200 persone e l’indotto ad altre 4.000, con un salario medio di circa 1.200 euro al mese, il 40% in più rispetto al salario medio del Paese. Negli ultimi giorni il governo serbo ha parlato addirittura di 20mila posti di lavoro nelle nuove fabbriche di batterie e componenti per auto elettriche.
Non tutti però sono convinti da queste cifre. Sulle colonne di Radar , l’economista serbo Boško Mijatović nota che considerando il prezzo del litio di circa 11mila dollari alla tonnellata e la produzione annuale stimata di 58mila tonnellate, il valore del litio serbo si aggirerebbe attorno a 615 milioni di euro l’anno.
“Non è una somma molto elevata, raggiunge il valore di una normale azienda”, commenta Mijatović, che aggiunge: “Cosa ancora più importante, dalla rendita mineraria la Serbia riceverebbe il 5%, che dà un reddito di 31 milioni di euro! Una cifra modesta, per non dire miserabile. Certamente non sufficiente a correre il minimo rischio perché la produzione di litio si faccia in Serbia”.
I rischi sono un elemento fondamentale in questa storia. L’estrazione del litio è infatti un processo estremamente inquinante e per questo l’opposizione al progetto è stata feroce in Serbia, con tanto di iniziativa popolare, firmata da 38mila cittadini, che chiede il divieto dell’estrazione del litio (un’iniziativa che aspetta, per il momento invano, di essere messa all’ordine del giorno in parlamento).
Nel gennaio 2022, dopo mesi di proteste di massa, l’esecutivo serbo ha ritirato “definitivamente” i permessi concessi a Rio Tinto. Un paio di settimane fa, però, la Corte costituzionale serba ha dichiarato illegittima quella decisione, permettendo al governo di Belgrado di far ripartire il cantiere. “Non ci sarà alcun progetto senza una protezione totale [dell'ambiente], e porteremo qui i migliori esperti d'Europa”, ha detto il presidente serbo Vučić il 19 luglio, ma senza riuscire a rassicurare la popolazione.
Cittadini in piazza
All'inizio della scorsa settimana, infatti, migliaia di persone hanno manifestato nella città di Valjevo, nella parte occidentale del Paese. Tra loro, c’era anche Ratko Ristić, professore presso la Facoltà di Scienze Forestali di Belgrado.
“La popolarità dell'Unione europea è appena crollata nuovamente in Serbia. Bruxelles non vuole mettere in pericolo l'ecosistema e la salute dei suoi abitanti, ma non ha problemi a farlo qui da noi”, esclama Ratko Ristić. “La Germania ha riserve di litio molto più grandi delle nostre. La verità è che noi garantiamo bassi standard di protezione ambientale, nessun controllo e una manodopera a basso costo. Per Rio Tinto va bene, ma per noi è un disastro”, continua il professore.
I detrattori del progetto temono l'inquinamento del fiume Jadar (affluente della Drina e quindi della Sava, che attraversa Belgrado), ma denunciano anche la distruzione di centinaia di ettari di terreni agricoli e lo sfollamento forzato delle persone che vi abitano.
Anche la mancanza di trasparenza ha suscitato l’indignazione dell’opinione pubblica. Secondo Florian Bieber, specialista di Balcani presso l'Università di Graz in Austria, la mancanza di trasparenza è una strategia governativa deliberata.
“È successo tutto molto rapidamente, nel bel mezzo dell'estate. È difficile per l'opposizione mobilitare le folle in questo periodo. D’altra parte, Vučić è appena uscito vittorioso dalle elezioni parlamentari e locali, quindi ha campo libero per i prossimi quattro anni”, analizza il politologo.
Quanto all'Unione Europea, “ha deciso di barattare la democrazia e lo Stato di diritto con il litio”, accusa Florian Bieber, secondo cui “questo accordo rafforza l'autoritarismo nei Balcani”.
“Vučić ha falsificato le elezioni, non c'è libertà di stampa nel Paese, non ci sono più istituzioni indipendenti, eppure Bruxelles lo premia. Questo è un duro colpo per i politici e i cittadini serbi filo-europei”, conclude Florian Bieber.
Dopo la manifestazione a Valjevo, delle proteste sono state organizzate la settimana scorsa anche a Loznica, Grocka, Preljina, Koceljeva e Negotin.
Questa settimana, fa sapere N1 , una nuova ondata di sit-in si terrà invece a Kraljevo, Šabac, Aranđelovac, Ljig, Kosjerić i Mladenovac.
Il cantiere di Rio Tinto nella valle dello Jadar è infatti solo la punta dell’iceberg. “Ci sono oggi una sessantina di località in Serbia in cui diverse imprese stanno cercando permessi per lo sfruttamento del litio”, prosegue la televisione regionale N1.
Queste località sono concentrate lungo un asse che taglia la Serbia da nord-ovest, nei pressi di Loznica, fino a sud-est, nei dintorni di Bor. Forse è anche per questo che la società serba sembra così unita e reattiva sull’argomento.
Sembra quasi che abbia ragione Srđan Mitrašinović, consigliere comunale a Šapac intervistato da N1, secondo cui sul litio “il popolo serbo è da un lato della barricata, Rio Tinto e il governo sono dall’altro”.
Giovanni Vale per Osservatorio Balcani Caucaso
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