di Mario Seminerio
La stima preliminare della variazione del Pil del secondo trimestre indica per l’Italia una crescita trimestrale dello 0,2 per cento, che porta la variazione annua a più 0,9 per cento e quella acquisita per il 2024 (nell’ipotesi di crescita zero nella restante parte dell’anno) a più 0,7 per cento. Tra gli altri paesi europei, la Francia cresce dello 0,3 per cento trimestrale, meglio delle attese, e di 1,1 per cento annuale. Ma questi dati non scontano l’incertezza corrosiva dello stallo politico successivo alle elezioni generali, e sono gonfiati dal lato delle esportazioni verosimilmente per consegna di qualche bene di elevato valore unitario, legato alla cantieristica.
Prosegue la robusta crescita spagnola, superiore alle attese, più 0,8 per cento trimestrale e più 2,9 per cento annuale. Delude ancora una volta la Germania, che registra una inattesa contrazione di 0,1 per cento, nel trimestre e su base annua corretta per i giorni lavorati. La sensazione è che Berlino si trovi in una fase di crisi strutturale del proprio modello di sviluppo, che avrebbe ovvie conseguenze sul resto d’Europa, soprattutto per i paesi il cui sistema produttivo è innestato nelle catene del valore tedesche. Ma anche questo lo diciamo da troppo tempo.
I servizi reggono, la manifattura cede
Quali conseguenza per l’Italia? Leggendo il commento Istat alla prima stima del Pil del secondo trimestre scopriamo che tale variazione
[…] è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca e in quello dell’industria e di un aumento nel comparto dei servizi. Dal lato della domanda, vi è un contributo positivo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto negativo della componente estera netta.
Per l’ennesima volta, il caveat: un singolo dato non esprime una tendenza. Ma una serie di dati, o la tendenza a ricorrere di alcuni di essi, suggeriscono di indagare e formulare ipotesi di scenario. In questo senso, per la Germania diremmo che la debolezza non appare congiunturale. Già questo dovrebbe suscitare preoccupazione per le filiere industriali europee. In caso, possiamo guardare l’andamento della produzione industriale italiana per capire che c’è qualcosa di persistente, nel suo indebolimento.Leggi anche: Il modello di sviluppo è al capolinea e la Germania non sa come reinventarsi
I servizi reggono e sorreggono la nostra economia, e non solo la nostra. Dentro questa categoria c’è di tutto, dalle rendite parassitarie al terziario più o meno avanzato. Quello che deve mettere in guardia è la tendenza del settore dei servizi a non produrre grandi spinte alla produttività, per usare una delicata perifrasi.
A questo si aggiunga il fatto che il nostro paese ha il più elevato costo dell’energia d’Europa. Data questa situazione (Germania in crisi strutturale ed elevato costo dell’energia), il rischio è quello di una progressiva deindustrializzazione e di una ricomposizione della nostra produzione economica: meno manifattura, con sostituzione di produzione nazionale con importazioni, e indebolimento della componente export legata all’industria, con sua eventuale delocalizzazione per preservare i marchi.
Qualcuno, in attesa delle disaggregazioni del dato, si spingerà a dire che il turismo resta il nostro secondo motore di crescita (anche se nel secondo trimestre non è riuscito a determinare il segno più alle esportazioni nette, di cui fa parte), è forse scopriremo che è proprio così, anche se gli effetti collaterali non mancano, in termini di pressione sulle comunità locali e la sempre più evidente rotta di collisione dei flussi turistici con la crisi climatica e il dissesto della nostra infrastruttura idrica. Qualcuno suggerirà un “Piano Marshall per l’acqua”, da far pagare ai paesi europei che maggiormente utilizzano le nostre strutture turistiche, vedrete.
Per ora la domanda nazionale appare reggere, la disinflazione di cui il nostro paese ha sin qui dato prova ha verosimilmente aiutato i consumi, assieme al sorprendente ma non esattamente rassicurante andamento dell’occupazione, cresciuta più del prodotto interno lordo. La ormai prossima riduzione dei tassi d’interesse aiuterà inoltre a dare respiro ad alcune parti dell’economia.
Quali conseguenza per l’Italia? Leggendo il commento Istat alla prima stima del Pil del secondo trimestre scopriamo che tale variazione
[…] è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca e in quello dell’industria e di un aumento nel comparto dei servizi. Dal lato della domanda, vi è un contributo positivo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto negativo della componente estera netta.
Per l’ennesima volta, il caveat: un singolo dato non esprime una tendenza. Ma una serie di dati, o la tendenza a ricorrere di alcuni di essi, suggeriscono di indagare e formulare ipotesi di scenario. In questo senso, per la Germania diremmo che la debolezza non appare congiunturale. Già questo dovrebbe suscitare preoccupazione per le filiere industriali europee. In caso, possiamo guardare l’andamento della produzione industriale italiana per capire che c’è qualcosa di persistente, nel suo indebolimento.Leggi anche: Il modello di sviluppo è al capolinea e la Germania non sa come reinventarsi
I servizi reggono e sorreggono la nostra economia, e non solo la nostra. Dentro questa categoria c’è di tutto, dalle rendite parassitarie al terziario più o meno avanzato. Quello che deve mettere in guardia è la tendenza del settore dei servizi a non produrre grandi spinte alla produttività, per usare una delicata perifrasi.
A questo si aggiunga il fatto che il nostro paese ha il più elevato costo dell’energia d’Europa. Data questa situazione (Germania in crisi strutturale ed elevato costo dell’energia), il rischio è quello di una progressiva deindustrializzazione e di una ricomposizione della nostra produzione economica: meno manifattura, con sostituzione di produzione nazionale con importazioni, e indebolimento della componente export legata all’industria, con sua eventuale delocalizzazione per preservare i marchi.
Qualcuno, in attesa delle disaggregazioni del dato, si spingerà a dire che il turismo resta il nostro secondo motore di crescita (anche se nel secondo trimestre non è riuscito a determinare il segno più alle esportazioni nette, di cui fa parte), è forse scopriremo che è proprio così, anche se gli effetti collaterali non mancano, in termini di pressione sulle comunità locali e la sempre più evidente rotta di collisione dei flussi turistici con la crisi climatica e il dissesto della nostra infrastruttura idrica. Qualcuno suggerirà un “Piano Marshall per l’acqua”, da far pagare ai paesi europei che maggiormente utilizzano le nostre strutture turistiche, vedrete.
Per ora la domanda nazionale appare reggere, la disinflazione di cui il nostro paese ha sin qui dato prova ha verosimilmente aiutato i consumi, assieme al sorprendente ma non esattamente rassicurante andamento dell’occupazione, cresciuta più del prodotto interno lordo. La ormai prossima riduzione dei tassi d’interesse aiuterà inoltre a dare respiro ad alcune parti dell’economia.
Il lungo addio alla produzione di veicoli
Ma occorre tenere gli occhi su alcuni settori industriali, ad esempio i mezzi di trasporto, che rischiano una lenta dissolvenza, con quello che ne conseguirebbe in termini di produzione industriale.
Un paese che subisce una progressiva deindustrializzazione non può illudersi di compensarla col turismo o con misure di protezione di segmenti di fornitura dei servizi, magari facendo leggi annuali sulla “concorrenza” dove si punta a uccidere il noleggio con conducente o “liberalizzare” i dehors, mentre Mister Prezzi vigila sulle speculazioni con tante zeta, pronto a estrarre la tessera annonaria e far fuoco. C’è, o ci deve essere, un limite anche al grottesco.
Ricordiamo quale tipo di “terziario” ha permesso al Regno Unito di crescere, in presenza di declino industriale: i servizi finanziari, la City. Voi vedete qualcosa del genere in Italia?
Quindi, per ora possiamo essere moderatamente soddisfatti dell’apparente persistenza di questa esile crescita, che immagino corrisponda al nostro potenziale. Ma in prospettiva il rischio industria persiste e rischia di accentuarsi. Sostituire la manifattura con il turismo e la protezione dei servizi interni sarebbe la ricetta sicura per fare di questo paese un museo travestito da parco a tema.
Ma occorre tenere gli occhi su alcuni settori industriali, ad esempio i mezzi di trasporto, che rischiano una lenta dissolvenza, con quello che ne conseguirebbe in termini di produzione industriale.
Un paese che subisce una progressiva deindustrializzazione non può illudersi di compensarla col turismo o con misure di protezione di segmenti di fornitura dei servizi, magari facendo leggi annuali sulla “concorrenza” dove si punta a uccidere il noleggio con conducente o “liberalizzare” i dehors, mentre Mister Prezzi vigila sulle speculazioni con tante zeta, pronto a estrarre la tessera annonaria e far fuoco. C’è, o ci deve essere, un limite anche al grottesco.
Ricordiamo quale tipo di “terziario” ha permesso al Regno Unito di crescere, in presenza di declino industriale: i servizi finanziari, la City. Voi vedete qualcosa del genere in Italia?
Quindi, per ora possiamo essere moderatamente soddisfatti dell’apparente persistenza di questa esile crescita, che immagino corrisponda al nostro potenziale. Ma in prospettiva il rischio industria persiste e rischia di accentuarsi. Sostituire la manifattura con il turismo e la protezione dei servizi interni sarebbe la ricetta sicura per fare di questo paese un museo travestito da parco a tema.
Mario Seminerio per Phastidio.net
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