Anno IX - Numero 18
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martedì 2 luglio 2024

Argentina sulla strada della realtà

Il presidente argentino Javier Milei mette a segno il suo primo successo legislativo: la Camera dei deputati ha definitivamente approvato due leggi di iniziativa governativa. Ma tutta l’operazione di Milei si fonda sul ripristino di una confortante posizione valutaria e per raggiungerla servono dollari. E molti

di Mario Seminerio

La Camera dei deputati argentina ha definitivamente approvato due leggi di iniziativa governativa, il primo successo legislativo per il presidente Javier Milei. Dopo cinque mesi di esame in Parlamento e 13 ore di discussione nell’ultima seduta alla Camera, i deputati hanno approvato la cosiddetta Legge delle Basi e il pacchetto fiscale presentati dall’esecutivo con 147 voti a favore, 107 contrari e due astensioni.

Le misure approvate
Subito dopo i legislatori hanno anche approvato, col secondo disegno di legge, il ripristino della tassazione sul reddito, che era stata eliminata per il 90 per cento dei dipendenti con un provvedimento di pura disperazione elettorale introdotto dal governo peronista per tirare la volata presidenziale a Sergio Massa. L’approvazione di questa misura è avvenuta con un margine più ristretto di 136-116, vanificando il tentativo di cancellazione da parte del Senato. Approvato anche un incentivo per gli argentini a dichiarare beni detenuti all’estero. Le misure fiscali valgono l’equivalente dello 0,6 per cento del prodotto interno lordo, secondo alcune stime.

I progetti di legge, che deregolamentano vasti settori dell’economia e aumentano le entrate del governo, erano stati approvati dalla Camera bassa ad aprile e a stretta maggioranza al Senato all’inizio di questo mese, dopo ulteriori modifiche. Il pacchetto doveva tornare alla Camera dei Deputati per l’approvazione finale prima di diventare legge.

Il disegno di legge di oltre 200 articoli è stato notevolmente ridimensionato rispetto agli oltre 600 articoli della versione introdotta inizialmente da Milei. La proposta originale, ad esempio, avrebbe privatizzato decine di aziende di Stato ma entrambe le camere l’hanno drasticamente ridimensionata, escludendo sia la compagnia petrolifera Ypf che la compagnia aerea Aerolineas Argentinas, che Milei voleva cedere ai dipendenti in un evidente moto di trolleggio. Resta pubblico anche il servizio postale.

Le riforme pro-mercato riducono la burocrazia nella vita del paese e concedono a Milei poteri esecutivi di emergenza. Un capitolo sul lavoro facilita il licenziamento evitando costose cause legali e prolunga il periodo di prova dei dipendenti, estendendolo da 3 mesi a 6 mesi per le aziende con più di 100 dipendenti, 8 per le aziende da 6 a 100 dipendenti e 1 anno per chi ha fino a 5 dipendenti. Ai lavoratori autonomi che svolgono attività d’impresa è inoltre consentito avere fino ad altri 5 lavoratori autonomi, senza generare un rapporto di dipendenza.

Un’altra misura prevede sgravi fiscali e delinea regole per gli investimenti esteri in settori chiave come le miniere. La proposta deregolamenta ampiamente il settore petrolifero e del gas, che in passato era sottoposto a rigide quote di esportazione. Tra le altre misure, è previsto che i dipendenti pubblici perdano la retribuzione durante gli scioperi. Davvero rivoluzionario, non trovate?

Ora stop monetizzazione e ripristino delle riserve valutarie
Che accadrà, ora? Alcune cose. In primo luogo, la banca centrale argentina si accinge a trasferire le proprie passività al Tesoro, per chiudere un importante canale di monetizzazione del deficit. L’emissione di debito della banca centrale era nata in origine come drenaggio di liquidità in eccesso ma ha prodotto l’effetto opposto. Servirà moral suasion sulle banche commerciali, abituali acquirenti del debito della banca centrale, che peraltro è a scadenza breve e brevissima.

Il problema del paese resta quello di risparmiare preziosa valuta estera. In questo senso va letta la manovra fiscale, nei suoi due elementi. Da un lato, il ripristino dell’imposta sui redditi consente di recuperare risorse fiscali da girare alle boccheggianti province senza creare nuovo deficit che di solito la banca centrale provvedeva a monetizzare. La stretta fiscale, inoltre, serve a deprimere la domanda interna e, in questo modo, frenare le importazioni stimolando avanzi della bilancia commerciale. In parallelo, l’incentivo a dichiarare beni posseduti all’estero punta ovviamente a produrre la fiducia necessaria al loro rientro, che aiuterebbe la bilancia valutaria.

Tutta l’operazione di Milei si fonda sul ripristino di una confortante posizione valutaria. Servono dollari, e molti, soprattutto in caso Milei volesse portare a termine la sua promessa elettorale più rilevante e simbolica, ossia la dollarizzazione dell’economia argentina. Ma, paradossalmente, se le misure sin qui adottate funzionassero, il peso riacquisterebbe una propria dignità valutaria e la pressione alla dollarizzazione sarebbe significativamente ridotta.

Nel frattempo, il Fondo Monetario Internazionale ha osservato che l’Argentina deve puntare a tassi reali positivi, sempre per riequilibrare le riserve valutarie. Per ottenere ciò, stima il Fondo, servono tassi ufficiali ben oltre l’attuale 40 per cento oppure un significativo raffreddamento dell’inflazione. L’ultima indagine di mercato sulle aspettative di inflazione della banca centrale del paese la fissa al 69 per cento per i prossimi 12 mesi.

Il Fondo prevede che l’economia argentina si contrarrà del 3,5 per cento quest’anno – più della sua precedente previsione di un calo del 2,8 per cento – con un’inflazione che dovrebbe chiudere l’anno a quasi il 140 per cento, mentre il paese conseguirebbe un avanzo primario di bilancio dell’1,7 per cento.

Come detto, a Milei servono dollari, tanti, maledetti e il prima possibile. Per questo sta puntando a un nuovo prestito del FMI che, a suo giudizio, contribuirà a rimuovere i controlli sui cambi e a eliminare le restrizioni sui capitali. Questi passaggi sono necessari affinché il paese possa tornare sui mercati del debito internazionali per la prima volta dalla ristrutturazione del debito sovrano del 2020.

Su questo punto, Milei e lo stesso Fmi devono fare molta attenzione, ammaestrati dalla precedente disastrosa esperienza dell’ex presidente Mauricio Macri e della allora direttrice generale del Fondo, Christine Lagarde: dopo aver sbloccato il contenzioso con gli holdout del debito argentino in default, i famosi “fondi avvoltoio”, l’Argentina è potuta tornare sui mercati internazionali dei capitali a indebitarsi. A quel punto, Macri si è illuso di aver scollinato senza aver causato troppo dolore agli argentini con riforme strutturali. Le cose non sono andate così e, alla prima difficoltà, l’ex presidente ha bussato alla porta del Fmi, trovando una Lagarde entusiasta di rovesciare addosso al paese dollari a debito a volontà. Il resto lo sappiamo.

Una strada necessaria e necessitata
Tirando le somme: Milei procede lungo una strada necessaria e necessitata. Non sta giocando a fare il liberista da caricatura: le tasse andavano aumentate per i motivi sopra elencati, e infatti così è stato. Politicamente, vista l’esigua rappresentanza parlamentare del partito di Milei, l’approvazione delle misure è un indubbio successo, oltre ad aver costretto il presidente ad esercitarsi nell’arte del negoziato e del compromesso che comunque produce effetti che vanno nella direzione voluta.

I prossimi passaggi saranno decisivi e verteranno sul ripristino delle riserve valutarie, dopo aver progressivamente chiuso la tipografia della banca centrale. Se dovesse riuscire questa delicata operazione, la necessità di dollarizzare l’economia del paese verrebbe drasticamente ridimensionata.

Ribadisco anche quanto già scritto: questa è la signora Tina, figlia legittima della realtà, all’opera. Per ora siamo nella fase di fuoriuscita dalla aberrante patologia cronica della politica economica argentina. Se tale fuoriuscita arriverà in porto, saranno gli elettori a dire quale strada vogliono imboccare, tra il cosiddetto anarco-capitalismo di Milei e altre opzioni, meno radicali. Ma vale la solita odiosa regola di realtà: prima si cresce, poi si decide come usare le risorse prodotte.

Mario Seminerio per Phastidio.net

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