Anno IX - Numero 29
Tutte le guerre sono combattute per denaro.
Socrate

giovedì 14 novembre 2024

Contro il falso femminismo

Perché se il femminismo diventa moralismo non è più femminismo, e perché noi veri femministi esaltiamo le potenti e bellissime metafore di “strega” e “puttana”

di Davide Donadio

Da qualche anno mi ero ripromesso di non esprimere più la mia opinione sull’attualità sociale e politica. Avevo preso questa decisione per due motivi. Il primo, è che la società impazzita che si rispecchia nei social media è talmente ricolma di opinionisti, di professione e occasionali, che si può sicuramente fare a meno della mia testimonianza. Nel rumore di fondo, ogni opinione diventa solo altro rumore. Il secondo motivo è che dedicare il tempo a tematiche meno effimere rispetto all’attualità, mi faceva sentire meno superficiale e mi dava l’illusione di contribuire in misura maggiore alla mia crescita personale e – detto con ironia – a quella dell’umanità. Perché allora fare un’eccezione, adesso?
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mercoledì 13 novembre 2024

Tra Italia e Albania: migrazione e responsabilità in appalto

Il cosiddetto protocollo di intesa italo-albanese, siglato quasi un anno fa dai primi ministri d’Italia e Albania, Giorgia Meloni ed Edi Rama ha appena iniziato a funzionare. Sono molti i dubbi e le riserve su questo subappalto della frontiera, in primis i diritti e le condizioni dei migranti

di Giovanni Vale

È passato quasi un anno da quando, il 6 novembre 2023, i primi ministri d’Italia e Albania, Giorgia Meloni ed Edi Rama, hanno annunciato la firma di un protocollo d’intesa per la costruzione, su suolo albanese, di due centri per migranti.

L’accordo, che s’iscrive in una logica più ampia (europea e non solo) di delocalizzazione della gestione dei flussi migratori, avrebbe dovuto concretizzarsi in fretta, con le due strutture nel nord dell’Albania operative già nel maggio di quest’anno.
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Rapporto Draghi e investimento pubblico. Le mani legate dell’Europa

Senza un cambiamento radicale della politica industriale, l’Europa sarà uno spettatore della transizione ecologica e digitale e il divario con Usa e Cina aumenterà. Purtroppo, le nuove regole del Patto di stabilità sono un ritorno al passato: mani legate agli Stati per finanziare gli investimenti e perciò occorre riaprire le discussioni sulla riforma delle regole del Patto

di Floriana Cerniglia e Francesco Saraceno

L’Europa è di fronte all’ennesimo bivio. Mentre molti governi stanno attuando piani di consolidamento di bilancio più o meno draconiani, la pubblicazione del rapporto Draghi ha evidenziato un insieme di priorità completamente diverso. Il rapporto parte dal divario di crescita sempre più evidente tra l’Ue, gli Usa e la Cina, giustamente attribuito a una stagnazione cronica della crescita della produttività.
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Un tagliando europeo per il Pnrr

Prima di imbarcarsi in nuove impegnative avventure sarebbe bene capire cosa e come è già stato fatto

di Istituto Bruno Leoni

Nelle prossime settimane il ministro Raffaele Fitto potrebbe essere confermato commissario europeo, con la responsabilità sull’attuazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza. Fitto conosce bene il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), di cui ha seguito l’esecuzione e che ha più volte modificato. Questo passaggio potrebbe essere utile per varare, sia a livello nazionale sia a livello europeo, un programma di valutazione del Piano.

Ciò richiede anzitutto un lavoro sui numeri: oggi i dati sulle spese e gli obiettivi sono formalmente disponibili ma nei fatti poco o per nulla fruibili.
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martedì 12 novembre 2024

Cosa significa la vittoria di Trump per il mondo

Cosa farà Trump durante il suo secondo mandato. Dove condurrà gli Stati Uniti nel consesso internazionale? Quale sarà il ruolo che ritaglierà agli Stati Uniti? Terrà fede a quanto accennato nel suo primo mandato e durante la campagna elettorale, sposando una posizione più isolazionista? E se lo farà, questa transizione sarà davvero così semplice come alcuni pensano, o il ruolo internazionale degli Stati Uniti continuerà ad agire da freno? E quali saranno le ricadute nelle altre regioni mondiali?

di redazione Valigia Blu

Madeleine Albright, Segretario di Stato di Clinton, una volta ha definito gli Stati Uniti la “nazione indispensabile” del mondo perché aveva un'influenza e delle responsabilità che superavano di gran lunga quelle di qualsiasi altro Stato.
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Con la popolazione che invecchia, la 104 non basta più

Cresce la quota di lavoratori che usufruisce dei permessi retribuiti garantiti dalla legge 104. Li richiedono in prevalenza le donne. Mentre le differenze territoriali non seguono il tradizionale divario Nord-Sud. Per l’assistenza servono più strumenti

di Maria De Paola e Luca Sommario

Che l’Italia stia diventando sempre più un paese di vecchi ce lo dicono i dati, compresi quelli sull’uso dei permessi a favore di chi ha familiari in condizione di disabilità, disciplinati dalla legge n. 104 del 1992. La normativa prevede diverse forme di sostegno per i lavoratori, tra cui tre giorni di permessi al mese per chi assiste genitori o parenti con disabilità grave, pienamente retribuiti e fruibili sia in modalità oraria che giornaliera.

Aumentano le richieste di permessi retribuiti per l’assistenza
Analizzando i dati sulle richieste di permessi retribuiti, suddivise per genere e settore, emerge un trend fortemente crescente: la percentuale di lavoratori che ne usufruisce nel settore privato extra-agricolo è passata dallo 0,26 per cento nel 2005 al 2,3 per cento nel 2022. L’aumento può essere attribuito a diverse cause, tra cui l’invecchiamento della popolazione e il peggioramento delle condizioni di salute in età avanzata.
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giovedì 7 novembre 2024

Tanto tuonò che Trump

Vincendo le elezioni, Trump non ha soltanto conquistato la presidenza degli Stati Uniti ma soprattutto un partito che oggi si definisce solo nel suo nome, e ha avuto una impressionante mutazione genetica.
È diventato, tecnicamente parlando, onnipotente. Dopo di lui, se non sarà diluvio certamente saranno strade allagate e panorami sommersi


di Mario Seminerio

Difficile la scelta sul punto di attacco di un commento all’elezione presidenziale americana. Si potrebbe partire con le abituali considerazioni sociologiche su sinistra e destra, globalizzazione e protezionismo, anzi domanda di protezione. Si potrebbe sbertucciare la classe dei sondaggisti ma sarebbe maramaldeggiare, così come farlo con gli opinionisti di inclinazione liberal.
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Harris-Trump: l’economia Usa nei prossimi quattro anni

Il 5 novembre l’America ha votato per eleggere il nuovo presidente. Nonostante tutto, l’andamento dell’economia continua a essere uno dei fattori che determinano le scelte dei cittadini. Vale allora la pena analizzare quali sono stati i programmi economici dei due candidati

di Mario Macis

Dopo un’estate ricca di colpi di scena, primo fra tutti il ritiro di Joe Biden sostituito da Kamala Harris, i candidati alla presidenza Usa hanno avuto l’opportunità di presentare i propri programmi economici durante il dibattito del 10 settembre, così come nei comizi e nelle interviste.

Nonostante persista la sensazione che il risultato delle elezioni, estremamente incerto, sarà influenzato più dalle “vibes” che dai dettagli dei programmi economici, l’economia è considerata la questione più importante per gli elettori americani.

Quanto conta l’economia nel voto americano
Nei progetti dei due candidati sull’economia ci sono differenze notevoli, ma forse proprio per la vicinanza nei sondaggi, emergono alcune somiglianze.
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La Georgia nel limbo post elettorale

Dopo le elezioni politiche dello scorso 26 ottobre, segnate dalla contestata vittoria del Sogno georgiano, la Georgia si ritrova in un vero e proprio limbo internazionale, con molti degli attori regionali restii a riconoscere i risultati ufficiali del voto

di Marilisa Lorusso

Non ci sono certo i presupposti perché la nuova legislatura prenda forma in Georgia, dopo le elezioni politiche dello scorso 26 ottobre. L’opposizione ha aperto la settimana chiamando a raccolta la popolazione a riprendersi i propri diritti politici, dopo le reiterate accuse di brogli elettorali da parte del Sogno georgiano al governo.

Non solo l’opposizione boicotterà il parlamento, ma Nika Melia – presidente del Movimento Nazionale Unito - ha esortato a impedire che venga inaugurata la prima sessione. Una manifestazione tenuta il 4 novembre dovrebbe aprire una nuova mobilitazione della piazza. Questo vischioso limbo non riguarda però solo il quadro interno.
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lunedì 4 novembre 2024

Dai Brics guerra finanziaria al dollaro? Più facile il contrario

Il dollaro è sempre stato utilizzato come arma anche quando non è stato usato come tale dalla Federal Reserve. Anzi, già negli anni ’80 il dollaro era arma per le guerre finanziarie tra entità di mercato che operano nelle borse.

di Silvano Cacciari

“Non stiamo rifiutando né combattendo il dollaro. Ma se non ci viene data la possibilità di usarlo, cosa possiamo fare?” (Vladimir Putin, Kazan, ottobre 2024)

La dichiarazione di Putin a Kazan contiene diversi messaggi ma anche un certo rispetto per l’arma, potente, contenuta nel biglietto verde tipica di chi conosce questo contesto.
Detto questo, viste le crisi globali in atto, le domande corrette sono: il recente summit di Kazan rappresenta un evento di riequilibrio, a favore dei Brics, allo strapotere degli Stati Uniti nella guerra finanziaria?
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I Brics e il ponte immaginario sul fiume dei dollari

Lo scorso anno, durante il vertice tenutosi in Sud Africa, è stata lanciata l’idea di una moneta comune tra i paesi aderenti al Brics e qualche giorno fa sono state presentate delle banconote prototipo alla televisione russa. Ma la realtà è molto più complessa e i ministri delle Finanze di Cina, India e Sudafrica dimostrano di essere più interessati a fare affari bilaterali e a parlare, cosa sempre utile, che spingersi a un livello di fantasie considerato ancora eccessivo

di Mario Seminerio

Durante i lavori del vertice dei paesi Brics, in corso a Kazan in Russia, Vladimir Putin è tornato a fantasticare di un nuovo quadro di pagamenti internazionali, per liberarsi delle sanzioni occidentali e demolire l’ordine finanziario globale costruito dagli Stati Uniti, che usano il dollaro come arma.
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Espansione dei BRICS: analisi dei 13 nuovi membri associati

L’espansione dei Brics con l’aggiunta di tredici nuovi membri associati segna un potenziale momento di svolta per la geopolitica globale. Queste economie emergenti, provenienti da diverse regioni, promettono di rafforzare il blocco e ridefinire l’equilibrio del potere mondiale

di Giulio Chinappi

La recente espansione dei Brics, che ha visto l’ingresso di tredici nuovi membri associati al vertice di Kazan’, segna un cambiamento significativo negli equilibri economici e geopolitici mondiali. La decisione di includere nuovi Paesi di Africa, Asia, Europa e America Latina riflette la crescente importanza del blocco nella promozione di un ordine multipolare, capace di rappresentare e sostenere le economie emergenti in risposta a sfide globali come il cambiamento climatico, l’equità economica e l’innovazione tecnologica. Con un insieme diversificato di nazioni che portano risorse naturali, economiche e politiche rilevanti, i Brics si rafforzano come alternativa alle istituzioni dominate dalle potenze occidentali.

Di seguito, un’analisi dettagliata dei nuovi tredici membri e del loro ruolo strategico nel rafforzare la visione e le ambizioni del blocco.

Algeria: rafforzamento del settore energetico africano
L’Algeria, con il suo ruolo di primo piano nel settore energetico africano, in particolare per quanto riguarda petrolio e gas naturale, rappresenta un’aggiunta strategica per i Brics. Essendo uno dei maggiori produttori di energia del continente, l’Algeria può aiutare il blocco a influenzare il mercato globale dell’energia, fornendo un’alternativa significativa alle fonti energetiche occidentali. Con riserve stimate di oltre 12 miliardi di barili di petrolio e importanti giacimenti di gas naturale, l’Algeria potrà contribuire alla sicurezza energetica dei Brics, oltre a potenziare i legami economici con altre economie africane.

Bielorussia: nodo geopolitico nell’Europa orientale
La Bielorussia, stretta alleata della Russia, porta al blocco un’importante posizione strategica in Europa orientale. In un contesto di tensioni crescenti tra Nato e Russia, la Bielorussia diventa un partner di rilievo per rafforzare la presenza dei Brics in un’area geograficamente complessa, alle porte dell’Ucraina. La sua adesione potrebbe aiutare a rafforzare i legami economici e politici tra i Paesi membri, promuovendo una rete di alleanze che bilancia le pressioni occidentali. La Bielorussia può anche facilitare i collegamenti commerciali tra Asia ed Europa, posizionandosi come hub di transito per i corridoi eurasiatici.

Bolivia: riserve di litio ed energia verde
La Bolivia, che possiede le più grandi riserve di litio al mondo, è destinata a svolgere un ruolo cruciale nei piani dei Brics di espandersi nella produzione globale di energia verde. Il litio, fondamentale per la produzione di batterie ricaricabili e veicoli elettrici, rende la Bolivia una risorsa preziosa in un mondo sempre più orientato verso energie rinnovabili. L’ingresso della Bolivia nei Brics rappresenta dunque una mossa strategica per rafforzare la sostenibilità e promuovere tecnologie energetiche pulite.

Cuba: un alleato politico nei Caraibi
Cuba, con i suoi legami storici e politici con Russia e Cina, rappresenta un’importante pedina per i Brics in America Latina e nei Caraibi. La sua inclusione rafforza l’impegno del blocco a sostenere le economie che subiscono pressioni internazionali e promuove l’ideale di un ordine globale più equo e inclusivo. Cuba inoltre potrebbe inoltre fungere da ponte per potenziare la cooperazione economica tra i Brics e altre nazioni dell’America Latina, mentre dal suo punto di vista tenterà certamente di utilizzare i suoi legami rafforzati con i membri Brics per aggirare l’embargo statunitense.

Indonesia: potenza emergente del sud-est asiatico
Con la sua economia in rapida crescita, l’Indonesia è uno degli attori più importanti del sud-est asiatico, membro del G20 e dell’Asean. L’inclusione dell’Indonesia riflette la volontà dei Brics di consolidare la loro influenza in questa regione strategica. L’Indonesia, con una popolazione di oltre 270 milioni di persone, può contribuire significativamente ai piani di crescita economica del blocco e rafforzare la cooperazione in settori come il commercio, l’innovazione e l’infrastruttura.

Kazakistan: risorse naturali e posizione geopolitica
Il Kazakistan, il Paese senza sbocchi al mare più grande del mondo, porta ai Brics notevoli risorse naturali, tra cui uranio, petrolio e metalli rari. Con una posizione centrale nell’area eurasiatica, il Kazakistan può fungere da collegamento per facilitare il commercio tra Europa e Asia, e rafforzare la sicurezza energetica del blocco. Inoltre, il Kazakistan, in buoni rapporti sia con Mosca che con Pechino, rappresenta un partner affidabile per progetti comuni nell’ambito dello sviluppo infrastrutturale e delle risorse minerarie.

Malaysia: Tecnologia e Risorse Naturali
La Malaysia, esportatore di elettronica, prodotti chimici e risorse naturali come olio di palma e gas naturale, rappresenta una risorsa importante per la diversificazione economica dei Brics. Situata strategicamente nel sud-est asiatico, la Malaysia contribuisce alla presenza del blocco nella regione, rafforzando la collaborazione economica e tecnologica, anche grazie alla presidenza di turno dell’Asean che occuperà nel 2025. Inoltre, la sua inclusione potrebbe aprire nuove rotte commerciali e consolidare il commercio intra-Brics.

Nigeria: accesso all’economia più grande dell’Africa
La Nigeria, economia più grande e paese più popoloso dell’Africa, è un partner prezioso per il blocco, non solo per le sue risorse petrolifere, ma anche per la sua popolazione in rapida crescita e il potenziale di sviluppo. La sua adesione offre ai Brics un punto d’ingresso privilegiato nell’Africa occidentale, aprendo opportunità per espandere il commercio e gli investimenti nelle infrastrutture. La Nigeria può anche contribuire ad ampliare le reti di cooperazione per promuovere una crescita inclusiva nel continente africano.

Thailandia: centro di produzione e polo turistico
La Thailandia, rinomata per i suoi settori manifatturiero e turistico, arricchisce il blocco dei Brics in termini di capacità produttiva e legami commerciali nel sud-est asiatico. Con un’economia in espansione, la Thailandia può contribuire a potenziare le reti commerciali regionali e promuovere il turismo intra-Brics. Inoltre, la Thailandia rafforza la visione dei Brics di una cooperazione economica bilanciata tra le diverse aree del globo.

Turchia: ponte tra Europa e Asia
La Turchia, con la sua posizione strategica come ponte tra Europa e Asia, è una delle aggiunte più significative per il blocco. Con una forte influenza nel Medio Oriente e in Asia Minore, la Turchia può contribuire a ridisegnare gli equilibri geopolitici, offrendo ai Brics accesso a nuovi mercati e rotte commerciali. L’ingresso della Turchia rafforza anche la capacità del blocco di promuovere la stabilità nella regione e di gestire la complessità delle relazioni tra Est e Ovest, trattandosi del primo Paese membro della Nato ad entrare nei Brics.

Uganda: potenziale agricolo e risorse energetiche
L’Uganda, con le sue risorse agricole e di petrolio, contribuisce ad arricchire la presenza dei Brics nell’Africa orientale. La sua economia emergente e la crescita del settore agricolo fanno dell’Uganda un partner ideale per iniziative di sviluppo sostenibile e per rafforzare la sicurezza alimentare del blocco. Inoltre, l’Uganda offre ai Brics una piattaforma per ampliare la cooperazione economica e l’inclusione delle economie africane.

Uzbekistan: risorse minerarie e collegamenti con l’Asia centrale
L’Uzbekistan, ricco di risorse minerarie come oro e gas naturale, è anche un importante hub di collegamento in Asia centrale. La sua posizione strategica tra Europa e Asia lo rende un partner fondamentale per espandere i corridoi commerciali e le rotte di trasporto lungo la Nuova Via della Seta. L’ingresso dell’Uzbekistan nei Brics rafforza la capacità del blocco di creare legami commerciali transcontinentali e di sfruttare le opportunità energetiche della regione.

Vietnam: potenza manifatturiera dell’Asia
Il Vietnam, noto per la sua rapida crescita economica e per la sua posizione come hub manifatturiero, rappresenta un valore aggiunto per l’economia dei Brics. La sua inclusione porta una notevole forza produttiva e commerciale al blocco, permettendo ai Brics di competere più efficacemente nei mercati asiatici. Con una popolazione giovane e un’economia in espansione, il Vietnam rafforza l’impegno del blocco a promuovere lo sviluppo sostenibile e a migliorare le capacità produttive.

L’espansione dei Brics con questi tredici nuovi membri associati rappresenta un passo storico verso la creazione di un ordine economico globale più equo e inclusivo. Ognuno di questi Paesi contribuisce con risorse specifiche, posizione geografica strategica o forza economica, consolidando il blocco come alternativa valida alle istituzioni occidentali. Tale crescita non solo rafforza i Brics come piattaforma per la cooperazione Sud-Sud, ma offre anche una base solida per affrontare le sfide globali in modo più rappresentativo e sostenibile.

Giulio Chinappi per World Politics Blog
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giovedì 31 ottobre 2024

Volkswagen in crisi: chiusure, tagli e scioperi. Cosa c’è in gioco per il colosso tedesco

Volkswagen è in pieno terremoto e si prepara a un cambiamento epocale. Il colosso tedesco sta affrontando una delle riorganizzazioni più drastiche della sua storia, con chiusure di stabilimenti in Germania e tagli che potrebbero colpire decine di migliaia di posti di lavoro. Ma cosa c’è davvero dietro questa crisi? Vediamo cosa sta succedendo in casa Vw e quali sono le prospettive per i suoi dipendenti.

di

La Strategia di Volkswagen: Riduzione dei Costi e Tagli alla Forza Lavoro
Volkswagen ha annunciato piani per chiudere almeno tre stabilimenti tedeschi, una mossa mirata a ridurre i costi, giudicati troppo alti rispetto a quelli degli impianti internazionali. La Presidente del Consiglio di Fabbrica, Daniela Cavallo, ha reso pubblico il piano durante un’assemblea aziendale a Wolfsburg, e le sue parole sono state chiare: “Nessun impianto è al sicuro!”. Vw sembra intenzionata a trasferire all’estero intere divisioni, mentre in Germania l’obiettivo è un taglio dei costi del 25-50% rispetto alle attuali previsioni.
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Che fine ha fatto il Green Deal?

Sembra passato un secolo da quando l’Europa sbandierava il Green Deal per superare il neoliberismo in direzione di una società più ecologica. La corsa alle armi ha messo una pietra tombale su quella enorme riforma. Il fallimento dell’operazione non sta nella sua eccessiva radicalità, ma al contrario nella sua titubanza. Una autentica transizione energetica ed ecologica si può affermare solo nel quadro di un superamento delle regole del gioco del mercato, ovvero dei paradigmi sociali capitalistici: modi di produzione, stili di vita, sistemi di valori

di Paolo Cacciari e Aldo Femia

Nel breve arco di una legislatura il Green Deal ha attraversato i cieli d’Europa come una meteora. A provocarne l’inabissamento sono stati, prima, l’emergenza sanitaria generata dalla pandemia da Covid, poi la crisi delle forniture di combustibili fossili, quindi l’inflazione, la recessione produttiva e persino le accise sul diesel dei trattori, infine è arrivata la chiamata generale alle armi contro la nuova “minaccia esistenziale”: la Russia. La crisi climatica e – tanto più – quella ecologica sono scese dalla prima all’ultima delle preoccupazioni dei governanti.

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mercoledì 30 ottobre 2024

Ue e Usa spingono per un'indagine “trasparente” sulle elezioni in Georgia

I partner occidentali rispondono all'appello della presidente Zourabichvili e si muovono per supportare la ricerca della verità su tutte le segnalazioni di brogli elettorali. Ma il premier ungherese Orbán, in viaggio a Tbilisi per garantire supporto agli alleati di Sogno Georgiano, scava un ulteriore solco con Bruxelles

di Federico Baccini

La cautela diplomatica si sta finalmente dissolvendo. E sul lungo periodo proprio il sangue freddo delle capitali occidentali potrebbe rivelarsi il sostegno più efficace per i cittadini georgiani scesi in piazza a migliaia per protestare contro quanto andato in scena dentro e fuori le urne il 26 ottobre, nel giorno delle elezioni in cui "è stato rubato il nostro voto e il nostro futuro".

Dopo due giorni di temporeggiamento, a Bruxelles e Washington si sta facendo sempre più netta la richiesta di chiarezza sulle centinaia di foto e video che denunciano brogli e violenze, così come sui report delle organizzazioni di osservazione elettorale che stanno presentando i contorni di un ampio schema di frodi elettorali da parte del partito al potere Sogno Georgiano.
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Analisi delle nuove regole fiscali europee

Il nuovo patto di stabilità prevede criteri di spesa rigidi per paesi con deficit eccessivi come il nostro ma, come in un recente studio, è dimostrato che questi criteri rischiano di avere un effetto negativo sulla crescita e quindi controproducente sul debito

di Dario Guarascio e Francesco Zezza 

Nel contesto del nuovo Patto di Stabilità, gli Stati membri saranno a breve chiamati ad inviare alla Commissione Europea (Ce) i propri piani di spesa quadriennali, estendibili fino a sette anni in presenza di investimenti e riforme strutturali coerenti con gli obiettivi trasversali dell’Unione. I piani dovranno muoversi all’interno dei vincoli che la Ce definisce, per ogni Stato membro, a partire dall’analisi di sostenibilità del debito (Dsa) su cui si basa il nuovo sistema di regole fiscali.

In questo quadro, la Dsa gioca un ruolo cruciale nel definire il perimetro delle politiche fiscali poste in essere a livello nazionale. Definendo i margini di manovra dei singoli paesi lungo un orizzonte pluriennale, il nuovo schema dovrebbe garantire che il rapporto debito/Pil si “collochi su di una traiettoria di riduzione plausibile o rimanga a livelli prudenti, anche in scenari avversi” (Regolamento Eu 2024/1263). I criteri utilizzati per definire le traiettorie di spesa richiedono che, senza ricorrere ad un ulteriore consolidamento fiscale (tagli alla spesa pubblica), il rapporto debito/PIL diminuisca o rimanga al di sotto della soglia del 60% entro la fine del periodo pluriennale di aggiustamento e nei dieci anni successivi; che il medesimo rapporto si riduca con una probabilità ‘sufficientemente’ alta; che il deficit fiscale scenda al di sotto del 3% e vi rimanga nel medio termine.

In uno studio recente, con P. Heimberger, L. Welslau, B. Schütz e S. Gechert, abbiamo tuttavia sollevato seri interrogativi circa il potenziale impatto dell’ondata di consolidamento che le nuove regole si apprestano a imporre. Introducendo all’interno del modello ufficiale ipotesi abituali nella letteratura scientifica e maggiormente realistiche rispetto a quelle formulate dalla Ce, mostriamo come il consolidamento derivante dalla nuova Dsa potrebbe avere un effetto significativamente negativo sulla crescita e sul rapporto debito/Pil a dispetto di quanto previsto dalla Commissione stessa. E ciò risulta essere particolarmente vero nel caso di paesi ad alto debito come l’Italia.

L’analisi si concentra sulle quattro principali economie della Ue: Francia, Germania, Italia e Spagna. Quest’ultime si trovano ad affrontare sfide diverse in termini di riduzione del deficit: mentre Italia, Francia e Spagna devono intraprendere aggiustamenti significativi nel periodo 2025-2028; la Germania necessita di un piano di rientro molto più modesto. Nell’ipotesi che si scelga un piano di aggiustamento quadriennale, per rispettare i nuovi parametri l’Italia è chiamata a migliorare il suo saldo primario strutturale di circa 1,08 percento del PIL all’anno (pari a circa 20 miliardi di euro). Francia e Spagna dovranno invece realizzare un aggiustamento annuo dello 0.94 e 0.89 percento del Pil, rispettivamente, mentre la Germania, in ragione di un rapporto debito/PIL più contenuto, solo dello 0.11.

Un’analisi critica del nuovo sistema di regole fiscali
In aggiunta alle criticità già sottolineate in passato sul Menabò, abbiamo identificato quattro elementi chiave che, nel contesto del modello attualmente in uso presso la Ce, possono condurre a una sottostima degli effetti negativi del consolidamento fiscale. Moltiplicatore fiscale. Il modello della Ce assume un moltiplicatore fiscale – l’indicatore che cattura l’impatto delle politiche fiscali sul Pil – costante, uguale per tutti gli Stati membri e pari a 0,75. Non vengono fornite giustificazioni per tali assunzioni ma si fa semplicemente riferimento a un documento di lavoro pubblicato dalla stessa Ce nel 2015. L’esame di quel documento, tuttavia, non fornisce alcun supporto alle assunzioni della Commissione: gli autori evidenziano come vi sia una considerevole incertezza intorno alle stime puntuali dei moltiplicatori (che comunque vengono inserite in un intervallo compreso tra 0.8 e 0.9, maggiore di quello utilizzato dalla Ce nel suo modello), e che gli effetti del consolidamento sulla crescita possono variare sensibilmente a seconda dello strumento utilizzato (incremento delle tasse o taglio della spesa) e delle condizioni economiche che caratterizzano l’economia oggetto dell’intervento. Ciò è coerente con quanto suggerisce la letteratura e cioè che i moltiplicatori siano più elevati nelle fasi di recessione e tendano a collocarsi al di sopra dell’unità se il consolidamento viene operato dal lato della spesa.

Transitorietà/persistenza degli effetti del consolidamento
Un’altra assunzione chiave su cui si basa il modello della Ce è l’automatica e rapida (3 anni) dissipazione degli effetti del consolidamento. Anche in questo caso, tuttavia, la letteratura mostra come, in particolare in presenza di consolidamento operato simultaneamente in più paesi, tale transitorietà degli effetti (misurata in termini di periodi necessari per la chiusura dello scarto tra il Pil attuale e quello potenziale) non sia affatto garantita. Di fatto, la Ce trascura l’evidenza scientifica e dà per scontato che i tagli coordinati alla spesa pubblica che il nuovo sistema di regole sta per imporre non abbiano effetti strutturali/persistenti.
Assenza di spillover. La Dsa della Commissione trascura completamente le relazioni economiche tra le economie europee. In questo caso, non sarebbe nemmeno necessario richiamare la letteratura per riconoscere che politiche fiscali restrittive adottate in un dato paese possono avere un impatto negativo sui partner commerciali dello stesso: la riduzione della domanda interna si può infatti tradurre in minori esportazioni dei partner. Questo elemento è di particolare rilevanza nel caso europeo, dato il grado di integrazione tra le economie. Non prenderlo in considerazione rischia di condurre a una significativa sottostima degli effetti del consolidamento.
Ipotesi di “no-policy-change”. Il modello della Ce ipotizza che, una volta completato il periodo di aggiustamento, le politiche fiscali rimangano invariate. Nondimeno, la dinamica del debito è spesso influenzata da eventi imprevisti che possono richiedere ulteriori interventi. Da questo punto di vista, eventuali shock, variazioni nei tassi d’interesse o nuovi obblighi di spesa pubblica possono far deragliare i piani di sostenibilità fiscale.

Simulazioni e scenari
Le simulazioni presentate nello studio richiamato in precedenza mettono a confronto le previsioni sul tasso di crescita del Pil e sulla traiettoria del rapporto debito Pil fornite dalla Ce per l’Italia, la Germania, la Francia e la Spagna con scenari alternativi ottenuti modificando le assunzioni di base, sempre in linea con quanto prevede la letteratura di riferimento. Le modifiche riguardano il moltiplicatore fiscale (0,9 contro lo 0,75 previsto dalla Commissione), la dissipazione degli effetti (5 anni in luogo dei 3 previsti per la chiusura dell’output gap) e la presenza di ‘spillover’ (il consolidamento in un paese ha effetto, in ragione del peso dell’interscambio commerciale, anche sui suoi partner). Se si mette a confronto lo scenario combinato (ove sono presenti tutte le modifiche appena illustrate) con ciò che prevede la Ce emerge un quadro preoccupante per quanto riguarda la sostenibilità del debito, in particolare per le economie che oggi mostrano un elevato rapporto debito/Pil.

Per Italia e Francia, il rapporto debito/Pil risulterebbe superiore di 3,9 punti percentuali rispetto alle previsioni della Ce nell’orizzonte compreso tra il 2024 e il 2038. Questo aumento è dovuto principalmente al maggior impatto del consolidamento sulla crescita (effetto moltiplicatore), aggravato dalla trasmissione tra paesi degli effetti negativi. Nel caso spagnolo, il rapporto debito/Pil potrebbe aumentare di 3,1 punti percentuali e anche la Germania, sebbene risulti meno esposta, vedrebbe peggiorare il medesimo rapporto di 1,7 punti percentuali (principalmente a causa degli spillover negativi).

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martedì 29 ottobre 2024

L’Argentina di Milei: bilancio di dieci mesi di presidenza

Con la presidenza Milei, l’Argentina ha intrapreso un faticoso percorso di stabilizzazione economica. Il rallentamento dell’inflazione e la sostanziale tenuta dell’attività economica sono segnali incoraggianti, ma rimangono le fragilità strutturali

di Paolo Rizzo

Javier Milei ha assunto la carica di presidente dell’Argentina nel dicembre 2023. Nei suoi primi dieci mesi di governo è riuscito a rallentare la corsa dell’inflazione, raggiungere il pareggio di bilancio e stabilizzare il mercato valutario. Il rischio paese diminuisce, benché rimanga ancora molto elevato: Buenos Aires deve infatti ancora risolvere numerose fragilità strutturali, affrontare la crisi sociale e rilanciare l’economia.

A settembre, il tasso di inflazione ha raggiunto il 3,5 per cento, su base mensile.
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giovedì 24 ottobre 2024

Stati Uniti: un voto al tramonto dell’impero

Bassa partecipazione, regole incerte, esiti contestati: la democrazia Usa non è mai stata così fragile, tra le falsità e le minacce di Trump e l’immobilismo di Kamala Harris. Le elezioni del 5 novembre mostrano le pericolose derive della politica, che da Washington arrivano fino a noi

di Gian Giacomo Migone

Di ritorno da un ennesimo soggiorno negli Stati Uniti, ove sono ormai in corso elezioni presidenziali e congressuali che si consumeranno il 5 novembre – in molti Stati è in corso un cospicuo voto postale anticipato – mi sforzo per non cadere preda di un sentimento purtroppo universale di sconforto accompagnato da malcelata soddisfazione per le sofferenze di un potere sempre più ingombrante. Il mitico elefante nella cristalleria. Perché queste elezioni segnalano la crisi di una democrazia che si riverbera in ogni parte del mondo, compresa la nostra Italia.

Al massimo livello si contrappongono due candidature entrambi foriere di crescenti tragedie di guerra che si traducono in stragi di innocenti.
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mercoledì 23 ottobre 2024

Allargamento Ue: servono più risorse e volontà politica

"Non vi è alcuna sincera volontà da parte dell’UE di accettare i Balcani occidentali al suo interno", così Dušan Reljić, analista politico ed esperto di Balcani. Quello di cui i Balcani occidentali hanno davvero bisogno, secondo l'analista, è un forte sostegno finanziario di Bruxelles

di Beta

Scettico sulla possibilità di un allargamento dell’Ue ai Balcani occidentali in un prossimo futuro, Dušan Reljić, analista politico ed esperto di Balcani, spiega che non si tratta solo di riforme, ma soprattutto di un divario sociale ed economico, sempre più ampio, tra l’Ue e i paesi dei Balcani occidentali. Reljić mette in dubbio anche l’effettiva volontà dell’Unione di accettare al suo interno i nuovi paesi balcanici.

“Tutti i paesi [dei Balcani occidentali], ad eccezione dell’Albania, sono ancora coinvolti in diatribe irrisolte riguardanti i confini. Anche se riuscissero ad attuare le riforme necessarie, la questione dei confini resterebbe un ostacolo. Ancora più preoccupante è il fatto che questi paesi si allontanano sempre più dall’UE dal punto di vista sociale ed economico. Questa è una delle conseguenze dei rapporti economici che l’Unione intrattiene con i Balcani”, spiega Reljić in una recente intervista al quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung.

“Inoltre – denuncia l’analista – non vi è alcuna sincera volontà da parte dell’UE di accettare i Balcani occidentali al suo interno. Berlino e Parigi hanno messo in chiaro che, prima di qualsiasi nuovo allargamento, occorre abolire il principio di voto all’unanimità nel Consiglio dell’Ue. Questo però non accadrà, i piccoli paesi non rinunceranno al proprio potere di veto”.

Per Reljić, il Processo di Berlino, che avrebbe dovuto accelerare il percorso di avvicinamento dei Balcani occidentali all’Ue, poggia su presupposti sbagliati, ossia sull’“idea che la cooperazione di sei paesi poveri possa stimolare la crescita”.

“I paesi dei Balcani occidentali sono già saldamente integrati nel mercato europeo, si sono aperti e sono stati risucchiati da questo mercato, ma solo come paesi a basso reddito senza prospettive di crescita”, spiega Reljić, sottolineando un’altra criticità.

“A differenza dei loro vicini già membri dell’Ue – come Croazia, Romania, Bulgaria e Grecia – i Balcani occidentali non ricevono da Bruxelles risorse finanziarie significative, necessarie per la realizzazione delle infrastrutture. I paesi dei Balcani occidentali ricevono 500 euro pro capite all’anno, e i loro vicini 5300 euro. Questa dinamica inevitabilmente comporta delle conseguenze”.

Reljić sottolinea che negli ultimi anni i Balcani occidentali hanno accumulato un deficit commerciale di quasi 100 miliardi di euro.

“Qui la produzione è principalmente concentrata sui semilavorati, che poi vengono esportati nell’Ue e inseriti nella catena di produzione di nuovi beni. I salari sono bassi e la situazione non accenna a migliorare. Ecco perché i cittadini dei Balcani occidentali emigrano in massa verso l’Ue, e questo fenomeno coinvolge soprattutto i lavoratori qualificati. Oggi anno 250mila persone lasciano la regione”.

L’emorragia di popolazione – sottolinea l’analista – porta alla scomparsa della classe media, facilitando così i regimi autocratici, come quello del presidente serbo Aleksandar Vučić e quello del premier albanese Edi Rama.

“In parole povere, manca una massa critica pronta a combattere per la democrazia e lo stato di diritto”, afferma Reljić, evidenziando come le società dei Balcani occidentali siano sempre più polarizzate tra una ristretta cerchia di ricchi, in parte legati alla criminalità organizzata, e un’ampia fascia di poveri.

Quanto alle ingerenze russe nei Balcani occidentali, per Reljić si tende a “gonfiare” la vicenda perché conviene a tutti, anche se in realtà, come precisa l’analista, non solo l’intera regione è circondata da stati membri dell’Ue e della Nato, ma alcuni paesi dei Balcani occidentali hanno già aderito all’Alleanza atlantica.

“Questa narrazione permette alla Russia di presentarsi come una grande potenza, anche se la sua influenza economica nella regione è molto limitata. La Serbia invece sta giocando la carta russa per ottenere determinate concessioni dall’Occidente. E quest’ultimo sta sfruttando il discorso [focalizzato sull’ingerenza russa] per rimanere presente nei Balcani occidentali senza integrarli”.

Secondo Reljić, quello di cui i Balcani occidentali hanno davvero bisogno è un forte sostegno finanziario di Bruxelles, simile a quello fornito alla Bulgaria e alla Romania durante i negoziati di adesione, sostegno che ha permesso a questi due paesi di uscire dalla stagnazione.

“Tuttavia – spiega l’analista – il cancelliere Scholz e i suoi colleghi non osano fare questo passo perché comporta un prezzo politico troppo alto. Quanto al piano di crescita [per i Balcani occidentali] – ideato nel 2023 dalla presidente della Commissione europea – è una goccia nel mare. Parliamo di due miliardi di euro in sovvenzioni e quattro miliardi in prestiti”.

“I paesi dei Balcani occidentali possono ottenere simili prestiti alle stesse condizioni anche dalla Cina e dai paesi arabi, e due miliardi in sovvenzioni, divisi tra tutti e sei i paesi, sono pochissimi. La quota destinata alla Serbia corrisponde grossomodo al bilancio annuale di una delle municipalità di Belgrado”, conclude Reljić.

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martedì 22 ottobre 2024

C’è il rischio di una nuova crisi petrolifera?

 La prevedibile escalation della guerra in Medio Oriente potrebbe riproporre la crisi petrolifera del 1973 che suscita brutti ricordi per l’economia mondiale e che comporterebbe la dipendenza energetica dell’Unione Europea dal gas liquefatto e dal greggio statunitense

di Germán Gorraiz López

L’escalation bellica potrebbe produrre un aumento del prezzo del greggio fino a 150 dollari, un forte incremento dei tassi di inflazione, il conseguente aumento del costo del denaro da parte delle Banche Centrali, il soffocamento economico di innumerevoli Paesi e, infine, l’ingresso in scenari di stagflazione, caratterizzati da stagnazione economica e alta inflazione.

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Cina, l’inverno demografico è figlio unico

Dopo che l’aspettativa di vita in Cina è aumentata dai 47 anni del 1955 ai 79 del 2022, il governo cinese ha disposto l’aumento dell’età pensionabile obbligatoria che sarà attuato progressivamente nell’arco di quindici anni. Ma il problema principali dei vertici politici cinesi continua a essere il timore di andare incontro al rischio di sovrappopolazione

di Mario Seminerio

In Cina, l’inverno demografico avanza a grandi passi. I numeri sono impietosi e inquietanti, come sintetizza su Project Syndicate un articolo di uno studioso cinese della University of Wisconsin-Madison, Yi Fuxian, che fu tra gli animatori del movimento contro la politica del figlio unico, i cui danni si propagano ancora oggi, sommandosi a nuove criticità a cui spesso tale politica ha contribuito, visto che in demografia la depopolazione di una coorte anagrafica ha effetti di lungo termine sulla fertilità.
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Fin dove arriva la responsabilità delle piattaforme

Si possono conciliare libertà di espressione ed esigenze di privacy degli utenti con una regolamentazione dei contenuti pubblicati sulle piattaforme social? Ecco cosa ci insegnano in proposito l’arresto di Pavel Durov e il blocco di X-Twitter in Brasile, tra esigenze di privacy e notizie di reati

di Riccardo Puglisi

Nessuno dovrebbe stupirsi del fatto che negli ultimi anni – al crescere della rilevanza economica, politica e sociale dei social media – si sia parimenti fatto più intenso il dibattito pubblico sulle responsabilità dei soggetti che possiedono e gestiscono tali piattaforme.
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lunedì 21 ottobre 2024

Corporate Taxes Before and After the Trump Tax Law

Key findingsAmerica’s largest, consistently profitable corporations saw their effective tax rates fall from an average of 22.0 percent to an average of 12.8 percent after the Trump tax law went into effect in 2018.
The 296 largest and consistently profitable U.S. corporations in this study paid $240 billion less in taxes from 2018 to 2021 than if they had continued to pay the effective rates they’d paid before the Trump tax law. While profits for the largest, continuously profitable U.S. corporations rose by 44 percent after passage of the Trump tax law, their federal tax bills dropped by 16 percent. The number of these corporations paying tax rates of less than 10 percent increased from 56 to 95 after the Trump tax law went into effect. Many of the largest and most well-known corporations in the country — including Walmart, Verizon, Disney, and Meta — had the largest tax reductions after the Trump tax law went into effect

di Aa Vv

Following the implementation of the tax changes signed into law in 2017 by President Trump, the vast majority of the nation’s largest corporations saw substantial tax reductions.
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Record number of Americans are homeless amid nationwide surge in rent, report finds

Rent in the U.S. has steadily climbed since 2001. In analyzing Census and real estate data, the Harvard researchers found that half of all U.S. households across income levels spent between 30% and 50% of their monthly pay on housing in 2022, defining them as "cost-burdened." Some 12 million tenants were severely cost-burdened that year, meaning they spent more than half their monthly pay on rent and utilities, up 14% from pre-pandemic levels

di Elizabeth Napolitano

A growing number of Americans are ending up homeless as soaring rents in recent years squeeze their budgets.

According to a Jan. 25 report from Harvard's Joint Center for Housing Studies, roughly 653,000 people reported experiencing homelessness in January of 2023, up roughly 12% from the same time a year prior and 48% from 2015.
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mercoledì 9 ottobre 2024

Georgia, elezioni e omofobia

Negli ultimi anni il Sogno georgiano, partito al potere a Tbilisi, ha adottato una piattaforma sempre più conservatrice verso i diritti delle minoranze sessuali. Una tendenza che è accelerata in vista delle prossime elezioni politiche del 26 ottobre

di Marilisa Lorusso

Il partito al potere in Georgia, Sogno Georgiano, è in competizione per le elezioni del prossimo 26 ottobre su una piattaforma estremamente conservatrice. Ma non si è arrivati a questo quadro elettorale all’improvviso.

Il Sogno in passato aveva compiuto vari passi per rafforzare un’agenda anti-LGBTQ+. L’articolo 36 della Costituzione definiva il matrimonio basato sulla parità di diritti dei coniugi, ma è stato modificato dall’attuale governo: ora recita esplicitamente che il matrimonio debba essere tra un uomo e una donna.
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L’ingiustificato ottimismo dei conservatori inglesi, e la dura realtà della politica britannica

Nonostante il congresso del Partito a Birmingham si sia svolto in un clima di apparente fiducia, le prospettive sono grigie, con sondaggi negativi, candidati che non riescono a ottenere un consenso significativo e una base elettorale giovane che si sta allontanando

di Francesco Del Vecchio

Quest’anno le premesse per il congresso del Partito conservatore erano tutt’altro che esaltanti, con i Tories che si sono presentati all’appuntamento di Birmingham in cerca di un nuovo leader, dopo anni di malgoverno e la sconfitta elettorale più pesante di sempre. Proprio la lotta per la guida del partito ha preso il sopravvento durante questa edizione e i riflettori sono stati riservati solo ai quattro protagonisti delle primarie, i sovranisti Robert Jenrick e Kemi Badenoch, e i più moderati James Cleverly e Tom Tugendhat, che hanno chiuso la convention con dei discorsi programmatici nell’ultima giornata. Rishi Sunak, il leader uscente del partito, è praticamente scomparso dalla scena e ha tenuto solo un breve intervento: secondo alcuni, sarebbe addirittura pronto a mollare la politica e trasferirsi in California, ma per ora ha solo invitato i suoi colleghi a sanare le divisioni interne.
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