Come la Serbia in passato, l’Azerbaigian di oggi sta compiendo un’operazione di pulizia etnica. È un sistema dittatoriale, autocratico e corruttore, ben lontano dal soddisfare anche i criteri minimi dello Stato di diritto e della democrazia. In questa luce vanno lette le dichiarazioni di Baku
di Olivier Dupuis
Nel suo articolo sul Nagorno-Karabakh, Nathalie Tocci, politologa e direttrice dello Iai (Istituto Affari Internazionali), afferma che «non c’è dubbio che il Nagorno-Karabakh si trovi all’interno dei confini ufficialmente riconosciuti dell’Azerbaigian. L’Europa e la comunità internazionale non lo hanno mai messo in dubbio e la guerra in Ucraina ha sottolineato ancora una volta l’importanza della sovranità e dell’integrità territoriale come pilastri del diritto internazionale. Non c’è quindi alcun motivo giuridicamente valido per opporsi alla reintegrazione del Karabakh nell’Azerbaigian». Sono affermazioni che meritano di essere discusse.
Poco più di cento anni fa, gli armeni erano la maggioranza in circa il quindici-venti per cento del territorio dell’attuale Turchia, ossia tra i centoventimila e i centocinquantamila chilometri quadrati, e costituivano più del dieci per cento della popolazione totale del Paese. Nel 1915 e nel 1916, tra 1,2 e 1,5 milioni di loro morirono in quello che fu il primo grande genocidio del XX secolo (oltre agli armeni, il genocidio fece duecentocinquantamila vittime anche tra la minoranza assiro-caldea delle province orientali e trecentocinquantamila tra i pontici, gli ortodossi di lingua greca della provincia del Ponto). Altre centinaia di migliaia, come gli odierni armeni del Nagorno-Karabakh, andarono in esilio. Come loro, 1,5 milioni di greci furono cacciati dalla Turchia.
Quattro anni dopo, nel 1920, l’Ufficio del Caucaso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (Kavburo) decise con quattro voti contro tre di integrare il Nagorno-Karabakh nella Repubblica Socialista Sovietica d’Armenia. In seguito alle manifestazioni antibolsceviche di Erevan e alle proteste di Nariman Narimanov, leader del Partito Comunista dell’Azerbaigian, il Kavburo fece marcia indietro e nel 1921, alla presenza di Joseph Stalin, allora Commissario del Popolo per le Nazionalità, decise di integrare il Nagorno-Karabakh nella Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian. All’epoca, il novantaquattro per cento della popolazione della Repubblica autonoma del Nagorno-Karabakh era armena. In quel periodo fu anche istituito il corridoio di Latchine che separava il Nagorno-Karabakh dall’Armenia, anche se questo “corridoio” era popolato per la maggior parte da armeni.
Alla fine degli anni Ottanta, mentre l’Unione Sovietica iniziava a vacillare, gli armeni del Nagorno-Karabakh chiesero nuovamente di essere integrati nell’Armenia. Nel febbraio 1988, una manifestazione a sostegno della richiesta del Soviet Supremo della regione autonoma riunì quasi un milione di persone a Erevan, la capitale dell’Armenia. Con il crollo dell’Unione Sovietica, la contrapposizione tra azeri e armeni si trasformò rapidamente in una guerra aperta tra i militanti del Nagorno-Karabakh e l’esercito armeno da una parte e l’esercito azero dall’altra.
Gli armeni ne uscirono vittoriosi, prendendo il controllo del Nagorno-Karabakh (cinque per cento del territorio azero) e dei territori limitrofi, che rappresentano il nove per cento del territorio azero. Alla fine della guerra, circa settecentoventiquattromila azeri e quattrocentotredicimila armeni erano stati sfollati. La Russia non era estranea ai successi militari armeni. Una certa Russia, ad ogni modo, quella dei servizi segreti che già lavoravano nell’ombra per rovesciare Mikhail Gorbaciov e, attraverso di lui, l’unica struttura organizzata in grado di sfidare il potere del Kgb/Fsb: il Partito Comunista.
Proprio come nel caso di Boris Eltsin, che i servizi segreti russi hanno usato internamente per silurare Gorbaciov (e il Partito Comunista), anche se al prezzo di una perdita, temporanea ai loro occhi, di parte dell’impero sovietico, i servizi segreti hanno fomentato o sostenuto i movimenti separatisti in Transnistria, in Nagorno-Karabakh, Abkhazia, Ossezia del Sud e Gagauzia, con l’obiettivo di creare future leve di destabilizzazione per mantenere un poter di condizionamento sulle ex repubbliche sovietiche di Azerbaigian, Moldavia, Armenia e Georgia. Nel Nagorno-Karabakh e in Armenia, il piano dei servizi funzionerà particolarmente bene. Tanto più che questo patto è stato suggellato nel sangue con il massacro di Khodjaly del febbraio 1992, durante il quale furono massacrati duecento azeri. Una triste eco del pogrom di Kirovabad del 1988, che portò alla morte di un centinaio di armeni e all’esodo forzato di altri quarantamila, del pogrom di Sumgait del 1988 e del pogrom di Baku del 1990.
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