di Davide Donadio
C’è un altro motivo che mi fa sentire l’urgenza di esprimermi su questo tema. Un senso di disagio. Ho notato negli ultimi decenni il ritorno preoccupante del moralismo relativo al corpo e alla sessualità. Questo nuovo moralismo è travestito da pensiero progressista. E come quello antico, anche questo nuovo moralismo si dedica con particolare ossessione al corpo della donna. Non è una novità, purtroppo.
È un processo inquietante, proprio perché è una forma di pensiero che dissimula se stesso e vuole apparire come il suo contrario: progressista, appunto. Questa forma è più pericolosa del moralismo “onesto”, quello becero e conservatore che ti dice come ti devi comportare, come devi gestire la tua sessualità perché te lo dice una certa divinità o un certo libro sacro.
Recentemente ho ascoltato un’interessante lezione del professor Massimo Raveri, storico delle religioni e studioso della filosofia orientale. Questa lezione riguardava la figura della donna nel pensiero religioso giapponese, ma, come sempre in Raveri, la tematica era estesa in senso molto più ampio. Riassumerò alcuni concetti brevemente perché penso siano molto utili anche per la finalità che mi pongo qui, scrivendo questo articolo.
Raveri spiegava che l’identificazione della donna come “impura” in quasi tutte le culture umane ha una specifica motivazione antropologica. La necessità di classificare il mondo e di renderlo comprensibile razionalmente, ha portato ad individuare la norma di ciò che è umano nella corporeità e nella fisicità maschile. L’ambiguità del corpo doppio non era facilmente assimilabile. Se l’uomo è quindi diventato la norma, la donna è diventava l’altro, la diversità da controllare e da riportare all’ordine.
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