Anno IX - Numero 29
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Socrate

martedì 24 ottobre 2023

Le proposte di intervento normativo del Cnel sul salario minimo dimenticate dai media

Le proposte di intervento normativo del Cnel sul salario minimo non hanno trovato spazio sui giornali perché la (scontata) battaglia identitaria tra partiti ha vampirizzato la vera notizia. Proposte che sono state ben sintetizzate sul numero 35 del Bollettino Adapt, la Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

di Francesco Nespoli*

Il Cnel ha recentemente approvato un documento sul salario minimo e il lavoro povero che ha fatto molto discutere. Il documento, esito di un confronto interno al Cnel attivato su incarico del Governo, sostiene che per definire delle tariffe minime (al plurale) sia meglio affidarsi alla contrattazione collettiva che a una legge. Tuttavia questo documento contiene diverse proposte proprio di intervento legislativo, esposte sottoforma di decalogo, finalizzate a sostenere la contrattazione collettiva di qualità.
Una proposta è quella di «un intervento legislativo […] incentrato sulla individuazione dei contratti collettivi maggiormente diffusi per ogni settore di riferimento, condizionando la registrazione nell’archivio nazionale dei contratti e l’assegnazione del codice alfanumerico unico dei Ccnl al rispetto degli standard economici e normativi di detti contratti».

Un’altra proposta prevede che nel valutare la condizione di un lavoratore che ritenga di ricevere una retribuzione non dignitosa (e che dunque non realizzi il principio enunciato dall’articolo 36 della Costituzione) il giudice debba fare riferimento non solo al minimo tabellare di un Ccnl, ma al trattamento economico complessivo.

Queste due proposte manifestano un orientamento diverso da quello che nella rappresentazione mediatica attribuisce al documento del Cnel un’avversità pregiudiziale all’intervento normativo. Legale, secondo il documento Cnel, non deve essere il salario minimo unico, bensì la legge deve fare in modo che gli standard minimi complessivi applicati in ogni settore siano quelli dei ccnl più applicati, che sono comunque già oggi superiori a 9 euro nella stragrande maggioranza dei casi (i restanti pochi casi si potrebbero adattare di conseguenza. Si vedano le analisi a riguardo contenute nel nuovo numero di Professionalità Studi “Lavoro povero, salari, professionalità”.

Un’ulteriore proposta riguarda i lavoratori scoperti dalla contrattazione collettiva. Gruppi di lavoratori che il Cnel individua ed elenca: finti autonomi, parasubordinati, tirocini, occasionali, intermittenti. Il Cnel propone che, per legge, si applichi anche a loro il minimo previsto dal Ccnl del settore in cui operano.

Quest’ultima proposta è quella che avrebbe dovuto suscitare il maggiore interesse da parte dei media, in quanto spesso nel dibattito si invoca la categoria dei “settori” (in realtà “tipologie” di lavoratori) scoperti dalla contrattazione collettiva.

Tuttavia tutte queste proposte non hanno goduto di particolare attenzione da parte dell’informazione. Il giorno seguente alla pubblicazione del documento, nelle loro sintesi Repubblica, Domani, Avvenire non hanno riportato alcuno degli interventi suggeriti dal Cnel. Il Fatto Quotidiano, il Messaggero e La Stampa ne hanno riportati solo alcuni, in secondo piano. Solo Il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera hanno riportato tutte le proposte del Cnel o almeno quelle principali, qui sopra elencate.

L’informazione si è invece concentrata molto sul dato politico dell’esito della consultazione interna al Cnel in quanto l’esclusione della definizione di un minimo legale per legge risuona con l’orientamento della maggioranza di Governo. Ma che la via di un salario minimo legale non abbia i numeri per essere approvata è un dato già noto. Mentre la novità era proprio costituita da alcune azioni di intervento che, all’esito del dibattito riavviato dalla proposta firmata dalle opposizioni, potrebbero vedere la luce anche nell’attuale contesto politico.

C’è comunque una chiave di lettura tecnico-politica (cioè il modo in cui si vuole raggiungere ciò che è ritenuto giusto) che risulta vampirizzata dalla prospettiva dominante che è quella di una contesa identitaria di partito. Il nodo attorno a cui ruota il confronto tecnico, infatti, non è tanto se un trattamento inferiore 9 euro sia o non sia dignitoso o se il lavoro povero sia effettivamente un problema. Nessun orientamento oggi in campo ragiona davvero della cifra di 9 euro (come detto comunque superata), così come nessuno vuole negare l’esistenza del lavoro povero.

Un nodo riguarda invece i soggetti titolari della facoltà di definire una tariffa minima. Chi decide la tariffa? Una commissione di esperti per tutti i settori? La contrattazione collettiva? I giudici di volta in volta di fronte a ogni causa, come qualcuno ha interpretato guardando a recenti sentenze, anche della Cassazione?

Un altro nodo riguarda poi il rapporto costi/benefici, o meglio rischi/ opportunità di un intervento per legge su un salario minimo. A ben vedere il documento Cnel non nega né l’utilità di un salario minimo, né di un salario minimo legale, se lo si intende nel senso di un salario sostenuto, e non fissato, dalla legge. Bensì nega l’auspicabilità di un salario minimo legale unico. Il problema è piuttosto come si ricerca la certezza di questa applicazione dei minimi di settore a tutti i lavoratori, evitando invece gli effetti deleteri di schiacciamento verso il basso delle retribuzioni o di fuoriuscita dal lavoro regolare.

A meno che non l’abbia già adottata a priori identificandosi in uno schieramento di partito, il cittadino che volesse farsi un’opinione dovrebbe concentrarsi su questi aspetti, anche se l’informazione lo sta aiutando poco.

* Ricercatore Lumsa

Tratto da www.bollettinoadapt.it n.35, 16 ottobre 2023

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