Anno IX - Numero 29
Tutte le guerre sono combattute per denaro.
Socrate

martedì 24 ottobre 2023

Il grano e la guerra

L’aggressione a Kiev è parte di un conflitto mondiale e Ue e Polonia fanno finta di non vederlo

di Olivier Dupuis

Se i vari modi in cui l’Amministrazione statunitense ha attuato la sua politica di “prudenza strategica” nei confronti della Russia sotto la guida del Presidente Biden possono essere criticati – i tempi di consegna delle forniture militari all’Ucraina sono stati spesso troppo lunghi e le quantità troppo ridotte – il principio di questa politica è difficile da contestare.

Tuttavia, essa ha avuto l’effetto collaterale particolarmente deleterio di oscurare la natura globale della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.
È emblematica a questo proposito la controversia sul transito del grano ucraino attraverso i Paesi dell’Unione Europea, e la sottostante esplicita ingiunzione all’Ucraina di mostrare riconoscimento ai Paesi che la sostengono. Riflette una lettura non solo limitata, ma errata del profondo significato della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Limita il sostegno all’Ucraina a una questione di solidarietà. Si chiede ai beneficiari di mostrare la loro gratitudine.

Andrzej Duda, il Presidente polacco, ce lo ha ricordato quando ha dichiarato che “sarebbe bene che l’Ucraina si ricordasse che riceve aiuti da noi”, ed è stato ancora più minaccioso quando ha affermato che la Polonia è “anche un Paese di transito per l’Ucraina”. E Robert Telus, ministro dell’Agricoltura polacco, ha lanciato un’altra minaccia: “La Polonia bloccherà l’adesione dell’Ucraina all’UE se non verrà risolta la questione delle esportazioni di grano”.

Eppure, per quanto importante sia stato l’aiuto militare politico ed economico della cinquantina di stati della coalizione di Ramstein (secondo l’Ifw – Kiel Institute for the world economy, per il periodo compreso tra gennaio 2022 e la fine di luglio 2023, gli impegni dei dieci principali donatori bilaterali di aiuti militari sono stati in miliardi euro: Stati Uniti: 42,1; Germania: 17,1; Regno Unito: 6,6; Norvegia: 3,7; Danimarca: 3,5; Polonia: 3; Paesi Bassi: 2,5; Canada: 1,7; Svezia: 1,5; Finlandia: 1,2), è tutto collocato nelle retrovie, lontano dal fronte. Solo gli uomini e le donne ucraini sono in prima linea nella resistenza all’aggressione. Nelle trincee, nelle loro città bombardate. Solo gli ucraini sono vittime degli indicibili crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra commessi dai soldati russi. In questa guerra, che è tanto nostra quanto loro, solo gli ucraini sono feriti, mutilati e ammazzati.

Nel primo episodio di questa nuova guerra mondiale, che non si può chiamare tale a causa dei rischi di escalation e il cui esito avrà un’influenza decisiva sul secondo episodio – la guerra di aggressione pianificata dalla Repubblica Popolare Cinese contro Taiwan – l’aiuto politico, militare ed economico all’Ucraina è quindi un imperativo per la sicurezza a breve, medio e lungo termine di tutti gli stati democratici.

Come ha sottolineato il senatore statunitense Mitt Romney, “decimare l’esercito russo” utilizzando solo il 5% del bilancio della difesa statunitense è un “investimento straordinariamente saggio” (The Telegraph, 14 settembre 2023). Lo è ancora di più per la maggior parte dei Paesi europei, dato che i loro aiuti militari all’Ucraina sono ben al di sotto del 5% del loro bilancio della difesa.

Ma gli aiuti militari all’Ucraina vanno a vantaggio dei Paesi della NATO anche in un altro modo. Permettono alle democrazie occidentali, che hanno ridotto drasticamente i loro bilanci per la difesa dopo la caduta del Muro di Berlino e i cui tempi di reazione sono più lenti di quelli degli stati autoritari o totalitari, di dare ai rispettivi eserciti e industrie della difesa i tempi per prepararsi all’altra formidabile sfida alla loro sicurezza. A condizione che siano disposti a riconoscere che la natura del regime, la realtà imperiale (la Cina ha annesso il Tibet nel 1950 e l’Aksai Chin nel 1962; il Turkestan orientale o Uyghuristan fu annesso nel 1934 e la Mongolia interna o meridionale nel 1947) e i futuri disegni imperialisti della Repubblica Popolare Cinese in Asia (e non solo in Asia) rappresentano una sfida alla loro sicurezza.

È in questo contesto globale che si inserisce la questione del grano e la decisione unilaterale della Polonia e di alcuni altri Paesi dell’Europa centrale (Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia) di vietare le importazioni di cereali ucraini nei loro territori. Questa decisione, che è in contrasto con gli accordi esistenti tra l’Ucraina e l’Ue, è stata autorizzata in via provvisoria dalla Commissione europea lo scorso aprile, a condizione che questi Paesi non impedissero il transito verso altri Paesi.

Ma si inserisce anche nel contesto più circoscritto delle prossime elezioni legislative polacche. Osservando i prezzi del grano tenero negli ultimi tre anni, è chiaro che ci sono state forti fluttuazioni dei prezzi sia prima che dopo l’invasione del 24 febbraio 2022. Questo sembrerebbe indicare che gli agricoltori polacchi hanno imparato l’arte di ottenere sussidi e che hanno difficoltà ad accettare le leggi del mercato quando i prezzi calano bruscamente, preferendo addebitare interamente le variazioni alla guerra in Ucraina.

Probabilmente questa posizione riflette anche la consapevolezza, da parte di un governo polacco incline all’interventismo economico, dei pericoli derivanti da un ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea con un settore agricolo competitivo, che non beneficia dei sussidi europei. Il governo polacco anticipa quindi una questione che riguarda tutti i Paesi europei e che dovrà essere affrontata prima del 2030, indicato dal Presidente del Consiglio Europeo come possibile anno di adesione all’Ue di Ucraina, Moldavia e alcuni Paesi balcanici.

L’allargamento implica una profonda riforma della Politica Agricola Comune (o Colbertista), che ha trasformato gli agricoltori europei in cacciatori di premi e sovvenzioni. Ciò significa smantellare nei prossimi cinque anni tutti i sussidi alla produzione, all’esportazione e al reddito, che rappresentano più della metà del bilancio della PAC e più del 20% del bilancio totale dell’Ue.

Il sostegno del governo polacco all’Ucraina aveva suscitato simpatia e ammirazione ben oltre la cerchia quanti ne condividevano la visione politica. La vicenda del grano è stata una doccia fredda. È auspicabile che, dopo otto anni di governo ininterrotto, l’elettorato polacco consenta alla leadership del partito Diritto e Giustizia (PiS) di prendersi una meritata pausa dall’opposizione. Da questo dipendono anche le indispensabili riforme dell’Unione europea e la salvezza delle relazioni tra Polonia e Ucraina.

Per quanto riguarda la prevista aggressione a Taiwan da parte della Repubblica Popolare Cinese, c’è motivo di temere che gli europei non abbiano intenzione di prepararsi collettivamente a sostenere Taiwan, né gli Stati Uniti, il Giappone e gli altri Paesi che saranno in prima linea.

Sono particolarmente rivelatori in questo senso la decisione del Regno Unito di avviare negoziati con Mauritius sulla questione dell’arcipelago delle Chagos e la volontà persistente dei “grandi” stati membri dell’Unione Europea di continuare a mettere il carro davanti ai buoi favorendo, a vantaggio delle industrie nazionali, la creazione di un mercato europeo degli armamenti rispetto alla definizione di priorità europee in termini di politica estera e di sicurezza e alla creazione di un esercito comune.

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