Le grosse difficoltà dell'economia dell'ultimo anno sono molto più profonde di quello che sembra, e per la Cina potrebbe arrivare un momento complicato
di Eugenio Cau
Dall’inizio dell’anno in Cina la crescita del Pil è stata molto inferiore alle attese: nel secondo trimestre è cresciuto del 3,2 per cento su base annuale (gli Stati Uniti, secondo alcune stime, potrebbero crescere del 6 per cento); i prezzi delle abitazioni sono in calo, cosa che non è mai un buon segno per l’economia, così come gli investimenti delle imprese. La disoccupazione giovanile sta salendo, al punto tale che il governo ha smesso di pubblicare le statistiche al riguardo. Il paese è perfino entrato in deflazione, cioè quella condizione in cui i prezzi scendono perché l’attività economica è poco dinamica.
La crisi ha ovvie ripercussioni economiche. La Cina è la seconda economia mondiale e quello che succede nel paese ha enormi conseguenze anche nel resto del mondo. In parallelo al dibattito economico, inoltre, si è sviluppato un dibattito più ampio e politico che riguarda la natura di questa crisi. Alcuni economisti occidentali hanno cominciato a chiedersi se a essere davvero in crisi sia in realtà il modello di sviluppo che la Cina ha adottato negli ultimi trent’anni, basato sullo sviluppo immobiliare e sulle infrastrutture: in questo caso, per continuare a crescere come il paese ha fatto finora non saranno più sufficienti aggiustamenti transitori, ma potrebbero diventare necessarie riforme strutturali potenzialmente molto dolorose, dal punto di vista economico, sociale e forse perfino politico.
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