Anno X - Numero 4
Il più grande difetto della società italiana è quello di essere senza memoria.
Leonardo Sciascia

sabato 1 febbraio 2025

Perché è il momento per un social network europeo

In un settore già saturo, e reso esausto dagli ultimi desolanti spettacoli dei suoi oligarchi, l’Europa ha la sua grande chance di tornare protagonista sulla scena digitale. Con un investimento a basso tasso di innovazione, ed enorme ritorno di soft-power

di Filippo Lubrano

Negli ultimi anni l’ecosistema dei social network ha subito profonde trasformazioni, essenzialmente peggiorative rispetto alle speranze, che auspicavano potessero costituire uno strumento per l’empowerment dei cittadini. Le piattaforme consolidate – da Facebook a Twitter (ora X) – sono state messe alla prova da scandali di privacy, manipolazioni algoritmiche e un crescente malcontento tra gli utenti, culminato in una costante (sebbene non massiccia) evasione verso alternative meno invasive.

La diatriba sul ban di TikTok, seguito da una migrazione verso altre piattaforme cinesi (in primis XiaoHongShu, o “Little Red Book” nella versione anglicizzata) per il momento non ancora oggetto di minacce da parte dell’amministrazione americana, ha dimostrato come gli utenti siano disposti a tutto pur di mantenere la loro dose di intrattenimento (o brain-rot, come dicono a Oxford). Tutto: incluso assecondare qualsiasi regime autoritario, perché il popolo della rete non ragiona per confini, come invece continuano a fare alcuni governi.

Se fino a pochi anni fa la stragrande maggioranza delle app che avevamo nel nostro telefonino provenivano da una regione molto ristretta del mondo (la California, e più specificatamente la Silicon Valley), oggi si stanno invece affacciando sempre più prepotentemente anche in Occidente le piattaforme asiatiche, e in particolare cinesi. Da TikTok (che in Cina in realtà è un’app diversa, e che si chiama DouYin) a CapCut, app utilizzatissima per montare video su TikTok, fino ad arrivare ai marketplace di Temu e AliExpress, che non riempiono solo la memoria del nostro telefonino (succhiando tutti i suoi preziosi dati), ma anche i container delle navi e sempre più spesso anche degli aerei, che consegnano le cianfrusaglie che compriamo per pochi euro nelle loro caotiche app, pensate per un’user experience ottimizzata per gli asiatici. Ci sono poi anche altre piattaforme che per il momento non hanno ancora sfondato la Grande Muraglia, come Pinduoduo, ma che potrebbero affondare il loro colpo negli anni a venire.

In tutto questo, la grande assente ancora una volta è l’Europa. Basti pensare che le piattaforme di maggior successo per numero di utenti inventate nel vecchio continente sono entrambe russe: Telegram, tristemente nota per l’arresto del suo fondatore Pavel Durov, e VKontakte, una sorta di Facebook russo – non esattamente il social che vorreste installato nel vostro telefonino.

Eppure questo scenario desolante rappresenta forse l’ultima opportunità per noi europei, tagliati fuori da qualsiasi scenario di innovazione degli ultimi quarant’anni in ambito digitale. I dati e le evidenze empiriche dimostrano infatti che esiste, oggi più che mai, uno spazio per creare un social network che non solo sfidi i giganti americani e cinesi, ma che rappresenti un modello alternativo e centrato sui valori umanistici. E i dati e le evidenze empiriche dimostrano che il momento giusto per proporlo è adesso.

L’Europa è spesso vista come un regolatore globale, ma raramente come un innovatore. Questa definizione però non deve diventare una gabbia auto-imposta e potrebbe essere ribaltata sfruttando il momento storico. La creazione di un social network europeo non richiederebbe rivoluzioni tecnologiche o investimenti neanche lontanamente paragonabili alle innovazioni del Web3 o dei modelli fondazionali dell’AI, ma piuttosto un progetto (o più di uno) basato su tecnologie che sul mercato sono ormai diventate commodity, disegnato però su valori distintivi: protezione della privacy, inclusività, lotta alla disinformazione e all’hate-speech, pluralismo. Un social network europeo potrebbe puntare su una gestione etica dei dati, con piena trasparenza e controllo da parte degli utenti. Questo approccio troverebbe facilmente eco tra un pubblico globale sempre più disilluso dai modelli di sorveglianza economica delle grandi piattaforme, in particolare dall’inversione di rotta di tutti i grandi campioni digitali della Silicon Valley, che paiono aver promesso fedeltà sin dal primo momento a Donald Trump. Una proposta algoritmica che promuova il dialogo costruttivo anziché polarizzare le opinioni sarebbe un valore aggiunto straordinario: accoppiare questo a un ritorno a una moderazione dei contenuti più stringente, con la riabilitazione, innovazione e auspicabilmente un miglioramento delle funzionalità di fact-checking potrebbe trasformare l’Europa dal noioso burocrate che giudica l’operato altrui in un attore proattivo del cambiamento. Proprio come Hollywood e Netflix esportano valori americani, un social europeo potrebbe fungere da megafono per i principi europei, rilanciando l’Unione nella classifica del soft-power globale.

Per ottenere dei risultati tangibili e di lungo periodo, il tempismo è fondamentale. Nel dinamico mondo digitale l’Europa è in una posizione unica per capitalizzare sulle vulnerabilità dei concorrenti. X, sotto la guida controversa di Elon Musk, ha visto milioni di utenti migrare verso piattaforme alternative, alcune delle quali, come Bluesky e Mastodon, non hanno però ancora trovato una massa critica. Facebook, che già soffriva di un progressivo invecchiamento della sua utenza, a seguito dell’ultimo inchino opportunistico di Zuckerberg a Trump (con l’eliminazione del ruolo dei fact-checkers prima, e la rapida archiviazione delle politiche di inclusione e diversity poi) potrebbe subire una sorte analoga. La fiducia degli utenti nelle piattaforme esistenti insomma non è mai stata così bassa, la voglia di lasciarle mai così alta, ma a tutti manca una vera e propria alternativa. Perché non costruirla noi, allora?

In mancanza di una classe imprenditoriale digitale degna di tal nome a livello europeo, un social network dell’Unione potrebbe nascere come un progetto pubblico-privato, sostenuto dai fondi Next Generation Eu e coordinato da un consorzio di innovatori, accademici e aziende. Questo garantirebbe non solo un controllo democratico, ma anche una sostenibilità economica, riducendo la dipendenza dai modelli pubblicitari invasivi.

Il presidente Sergio Mattarella, nel suo recente discorso sul ruolo dell’intelligenza artificiale e dei social media, ha sottolineato l’urgenza di “rimettere l’umano al centro”. Un messaggio che risuona in un continente dove la regolamentazione, come nel caso più virtuoso del Gdpr, ha già dimostrato che un approccio equilibrato tra innovazione e diritti è possibile e desiderabile.

Non mancano le sfide. La frammentazione linguistica e culturale potrebbe rappresentare un ostacolo nella creazione di un’unica piattaforma. Ma anche questa stessa diversità, se sfruttata correttamente, potrebbe diventare un punto di forza, trasformando il progetto in un laboratorio per un nuovo umanesimo digitale – e favorendo l’integrazione con una traduzione simultanea accelerata dall’AI, magari con degli opportuni dispositivi previsti di opt-in. Inoltre, l’integrazione di tecnologie provenienti da tendenze che mai del tutto finora hanno visto un’applicazione utile al di fuori dell’ambito della mera speculazione finanziaria potrebbe fornire una base tecnica per un social network decentralizzato, dove gli utenti possano detenere il controllo sui propri dati attraverso soluzioni blockchain.

Il momento è propizio per l’Europa. Non si tratta solo di costruire un social network, ma di affrancarsi da un ruolo che stiamo iniziando a percepire come ineluttabilmente marginale, affermando un modello alternativo, che metta la persona al centro e promuova un’innovazione etica, mostrando con l’esempio che un’alternativa è possibile. La sfida sul tema non è tanto tecnologica, quanto di immaginazione e di ambizione. Ora è il momento per l’Europa di trasformare questa visione in realtà.

Filippo Lubrano per L'indiscreto

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