Qual è (e quale sarà) l'impatto dell'intelligenza artificiale sulla produzione culturale? Che ne sarà delle biblioteche? E dei lavori nel campo dell'editoria? Intervista a Gino Roncaglia
di Marcello Pelizzari
Filosofo e saggista italiano, Gino Roncaglia è docente di editoria digitale, filosofia dell’informazione e digital humanities presso l’Università di Roma Tre. È considerato fra i pionieri dell’uso di Internet in Italia e delle riflessioni sulle sue potenzialità culturali. Questa intervista è stata rilasciata in occasione del Premio Möbius all’Università della Svizzera italiana, a Lugano, con un intervento dal titolo La biblioteca oggi e domani con l’IA.
Professore, innanzitutto: da ignoranti, crediamo che l’intelligenza artificiale non abbia nulla a che fare con la cultura o, meglio, con l’idea che abbaiamo di cultura. Non è così, giusto?
«Farei, innanzitutto, una premessa. C’è un primo, fondamentale rapporto fra i sistemi di intelligenza artificiale e noi. Ed è, banalmente, il fatto che siamo stati noi a crearli. Sono, quindi, un prodotto della nostra intelligenza. Possiamo parlare, allora, di un rapporto genetico. Un altro aspetto importante riguarda il cambiamento di paradigma degli ultimi decenni. L’intelligenza artificiale esiste dagli anni Cinquanta del secolo scorso, ma originariamente era basata su un paradigma logico-linguistico. Ovvero, sull’idea che la nostra intelligenza fosse basata sulla capacità di ragionare e di usare il linguaggio. E che, di riflesso, logica e linguaggio fossero sistemi governati da regole. Di qui l’idea che, per costruire computer intelligenti, bisognasse individuare quelle regole e darle alla macchina. Era, questa, l’idea alla base di HAL 9000, il supercomputer di 2001: Odissea nello spazio. Kubrick chiese la consulenza di Marvin Minsky, all’epoca il massimo esperto mondiale di intelligenza artificiale. Quando venne girato il film, riassumendo, Minsky credeva che entro il 2001 avremmo avuto supercomputer di quel tipo».
Così non è stato: perché?
«Per due motivi. Il primo: quel modello non era sufficiente, nella misura in cui logica e linguaggio sono due componenti importanti ma non è detto che siano alla base dell’intelligenza. O, se preferite, l’intelligenza in realtà è qualcosa di molto più complesso: gli aspetti logico-linguistici sono il risultato di un’evoluzione. Il secondo, strettamente legato al primo: la nostra intelligenza non è solo un obbligo logico e linguistico. Come individuare, allora, meccanismi che riproducano il nostro comportamento?».
E qui, immaginiamo, arriviamo a un nuovo paradigma.
«Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale ha lavorato su un paradigma completamente diverso. Legato alle cosiddette reti neurali. L’obiettivo, in questo caso, è imitare il funzionamento dei neuroni del nostro cervello. Ma partendo da premesse probabilistiche e non più deterministiche».
Come funziona, allora, un sistema di intelligenza artificiale moderno?
«In maniera, appunto, statistica e probabilistica. In maniera, quindi, in parte imprevedibile, sebbene noi conosciamo che cosa ci abbiamo messo dentro. Siamo stati noi a dettare i parametri e le regole, ma nonostante ciò non possiamo prevedere con esattezza il modo in cui questi sistemi si comporteranno».
Continua la lettura su Corriere del Ticino
Nessun commento:
Posta un commento