Anno X - Numero 3
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Milan Kundera

mercoledì 22 gennaio 2025

Allargamento Ue, l'ora di Trump

Dall'Ucraina ai Balcani occidentali, nel suo secondo mandato il presidente degli Stati Uniti potrebbe spingere per un disimpegno dall'Europa. Ma se Bruxelles saprà reagire, il ruolo dell'Ue per la sicurezza di tutto il continente potrebbe uscirne rafforzato

di Federico Baccini

È l'ora di Donald Trump. Con l'inaugurazione del secondo mandato del presidente più controverso e polarizzante della storia degli Stati Uniti, il 20 gennaio si apre una stagione nuova per i rapporti tra Washington e Bruxelles, anche per uno dei temi più delicati per il futuro dell'intero continente: il processo di allargamento dell'Unione europea. "Non abbiamo un'idea chiara di cosa abbia in mente Trump", spiega a Obct Rosa Balfour, direttrice del think tank Carnegie Europe.

Non si può non partire da quanto accaduto nel corso del primo mandato di Trump tra il 2016 e il 2020, quando "sotto la sua presidenza gli Stati Uniti non hanno supportato il processo di allargamento dell'Ue nei Balcani occidentali o altrove".

Cinque anni più tardi, i radicali cambiamenti geopolitici in Europa - dall'invasione russa dell'Ucraina alle domande di adesione all'Ue da parte di Ucraina, Moldova e Georgia - hanno reso ancora più pericolosa l'ondata di incertezza nelle relazioni tra le due sponde dell'Atlantico.

Eppure, se un disimpegno degli Stati Uniti potrebbe rischiare di creare instabilità in regioni europee particolarmente delicate, allo stesso tempo il ruolo dell'allargamento dell'Ue potrebbe rilanciarsi come mezzo per garantire la sicurezza dell'intero continente.

Un vuoto pericoloso nei Balcani?
Una delle regioni in cui potrebbe rivelarsi più pericolosa una tensione tra gli Stati Uniti di Trump e l'Unione europea è quella balcanica. L'ormai ventennale processo di adesione dei sei Paesi dei Balcani occidentali - rinvigorito solo con le conseguenze della guerra russa in Ucraina - potrebbe entrare in una spirale di crisi potenzialmente senza ritorno.

"Un potenziale disimpegno dei servizi diplomatici e di intelligence statunitensi creerebbe un vuoto, permettendo a iniziative pericolose di prosperare nella regione", è quanto conferma a Obct Adnan Ćerimagić, Senior Analyst del think tank European Stability Initiative (Esi).

Un rapporto indebolito tra Washington e Bruxelles metterebbe in pericolo gli sforzi diplomatici in Bosnia ed Erzegovina, nord del Kosovo e Serbia, ma "se gli Stati Uniti sosterranno attivamente gli attori della regione che spingono per un'agenda negativa, potrebbe avere effetti ancora più dannosi" anche per l'unità dello stesso progetto europeo.

I legami tra Belgrado e il genero di Trump, Jared Kushner, sono ben documentati, così come quelli tra il presidente degli Stati Uniti e alcuni dei leader europei più controversi: il primo ministro ungherese Viktor Orbán, il presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik e il presidente serbo Aleksandar Vučić.

Nello scenario peggiore "l'Unione europea non sarebbe in grado di avere un impatto positivo, perché alcuni dei suoi membri si allineerebbero all'agenda di Trump", avverte Ćerimagić.

A suscitare maggiore preoccupazione è l'agenda secessionista della Republika Srpska in Bosnia ed Erzegovina, ma anche il piano di scambio terre tra Serbia e Kosovo - la Valle di Preševo a Pristina e il nord del Kosovo a Belgrado - già proposto dall'ex-inviato speciale statunitense per i negoziati Serbia-Kosovo Richard Grenell durante il primo mandato di Trump e abbandonato solo a causa della dura opposizione della Germania.

Non è da escludere che gli interessi della famiglia Trump potrebbero così ostacolare nel nuovo mandato presidenziale gli sforzi di Bruxelles di mediare un negoziato delicatissimo per la normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina.

Un Piano di crescita 2.0
C'è però anche uno scenario positivo per l'allargamento dell'UE dopo l'insediamento di Trump alla Casa Bianca. Ćerimagić sottolinea che il possibile vuoto lasciato dagli Stati Uniti nella regione potrebbe spingere Bruxelles a "intensificare i suoi sforzi" per portare i Paesi dei Balcani occidentali all'interno dell'Unione, o almeno molto vicini.

Partendo dalla base del Piano di crescita già in atto - e con l'ottica di correggerne i punti deboli - potrebbe essere definito un nuovo pacchetto di sostegno tecnico e finanziario, indirizzato però "solo a quei Paesi che desiderano veramente aderire all'Ue e attuare le riforme richieste". In altre parole, come spiega Ćerimagić, "un Piano di crescita 2.0 con la piena integrazione nel Mercato unico" potrebbe essere il migliore strumento per avere "un impatto positivo" nella regione.

In ogni caso ciò "non significherebbe necessariamente che tutti i Paesi candidati entreranno a far parte dell'Unione entro il 2030". Da una parte perché questo strumento sarebbe rivolto solo a quelli che si allineano alle prospettive di adesione.

E, "anche se l'Unione europea non sarà ancora pronta per allargarsi", questi Paesi non dovrebbero continuare a rimanere in attesa, aumentando il senso di frustrazione, ma "potrebbero comunque godere dei benefici dell'Ue come se fossero Stati membri".

La coalizione di volenterosi per l'Ucraina
La politica di allargamento dell'Unione europea si rivolge anche alle regioni dell'Europa orientale e del Caucaso meridionale, che potrebbero conoscere presto le conseguenze dirette e indirette delle decisioni della nuova amministrazione statunitense. A partire dalla politica nei confronti dell'impegno militare in Ucraina.

Nel pieno dell'incertezza sulle scelte di Trump, "c'è un rischio molto elevato che raggiunga un accordo con Putin che non terrà conto dell'integrità territoriale dell'Ucraina o delle sue aspirazioni euro-atlantiche", avverte la direttrice di Carnegie Europe Balfour.

Anche se "non dobbiamo necessariamente aspettarci che gli Stati Uniti abbandoneranno l'Europa", dal momento in cui "la maggior parte dei consiglieri di Trump in posizioni chiave è a favore di un impegno nella Nato", il clima di incertezza non può non far nascere la domanda sulla capacità dell'Unione europea di riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti.

"Questo è il grande punto interrogativo che incombe sul destino dell'Ucraina" - conferma Balfour - così come su quello di Moldova e Georgia, anche se "i governi di questi Paesi stanno adottando politiche pro o anti-europee a prescindere da Trump".

A proposito delle aspettative sull'aumento del sostegno europeo all'Ucraina, l'ombra più cupa che si allunga sul futuro del Paese riguarda il fatto che "non vediamo unanimità" tra gli Stati membri, né sugli aiuti militari né sulla sua futura adesione all'Ue.

L'augurio di Balfour è che possa presto nascere una "coalizione di volenterosi" trainata da Polonia, Baltici, Paesi scandinavi e Francia, "ma non è certo che sia sufficiente" a compensare un disimpegno statunitense.

Mentre la Germania rimane "un altro grande punto interrogativo" - sia per il risultato delle imminenti elezioni sia per l'atteggiamento del cancelliere Olaf Scholz - si registra "un numero crescente di Paesi piuttosto favorevoli alle argomentazioni e alla propaganda della Russia e a porre fine alla guerra con qualsiasi mezzo".

Nell'incertezza sull'evoluzione dei rapporti tra Bruxelles e Washington, Ungheria, Slovacchia e il prossimo governo di estrema destra in Austria saranno con tutta probabilità i maggiori ostacoli interni per l'allargamento dell'Unione europea.

Federico Baccini per Osservatorio Balcani Caucaso

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