Anno IX - Numero 24
Le parole hanno il valore che dà loro chi le ascolta.
Giovanni Verga

mercoledì 4 settembre 2024

I creativi tossici della decontribuzione

Se la Commissione dovesse accettare la singolare richiesta del Governo di usare la decontribuzione per aumentare le buste paga degli italiani, porterebbe l’Italia verso l’autodistruzione a causa della destabilizzazione finanziaria del bilancio dello stato. E senza produrre benefici aggiuntivi per gli interessati. Resta il punto: come aumentare il netto in busta di chi ha meno di 35mila lordi annui senza ostacolare i rinnovi contrattuali?

di Mario Seminerio

Che il governo Meloni fosse destinato a impiccarsi alla decontribuzione per redditi fino a 35mila euro lordi annui (la nota soglia italiana sopra la quale inizia il benessere), è stato del tutto evidente da subito. Questa teoria di usare denaro pubblico per supplire a insufficiente sviluppo dei redditi di lavoro è molto amata nel Belpaese, da sempre. Peccato rappresenti l’ennesima scorciatoia che porta al muro. La stessa idea di usare decontribuzioni temporanee per sostenere i redditi più bassi durante uno shock inflazionistico, adottata dal governo Draghi, si è rivelata miope di fronte al sistema di incentivi perversi che anima la politica.

Un’affannosa ricerca annuale
La decontribuzione, che Giorgia Meloni punta a rinnovare, ha in sé i germi dell’autodistruzione e della destabilizzazione finanziaria del bilancio dello stato, costringendo ogni anno a indicibili affanni per trovare le risorse necessarie solo a confermare la misura, quindi senza produrre benefici aggiuntivi per gli interessati. I quali, anzi, finiscono a subire un danno nella misura in cui i rinnovi dei contratti collettivi, aumentando i redditi, possono far perdere tutta la decontribuzione anche con soli pochi euro di aumento in busta paga. È il noto fenomeno delle aliquote marginali effettive ripidissime, la scogliera da cui si lancia una classe politica di somari miopi.

Anche quest’anno, mentre si attende la Nota di aggiornamento al Def, a fine settembre, e l’elaborazione di una legge di bilancio su cui si abbatterà la stretta fiscale da ripristino del patto di stabilità, siamo a leggere le levate d’ingegno dei nostri disperati propagandisti. Come aumentare il netto in busta di chi ha meno di 35mila lordi annui senza ostacolare i rinnovi contrattuali e magari addolcire il profilo assai ripido delle aliquote marginali effettive?

Unica certezza: per concretizzare queste meravigliose idee servono soldi, più soldi. Che vanno trovati con coperture vere, non certo a deficit sotto l’eterna voce “flessibilità”. E poiché la disperazione aguzza l’ingegno, nelle prossime settimane leggeremo di nuove meravigliose idee per trovare quei soldi. E qui pare che l’ultimo coniglio spelacchiato estratto dal cilindro della disperazione sia chiedere alla Commissione Ue di poter usare i fondi europei di coesione.

In particolare, servirebbero un paio di miliardi che, secondo gli spifferi ministeriali giunti alla stampa, potrebbero essere prelevati dal Fondo europeo di sviluppo regionale, Fesr. Voi e il senso comune vi starete chiedendo cosa c’entri un fondo di questo tipo con l’aumento del netto in busta per alcune categorie di lavoratori dipendenti. Io pure.

Fondi europei a merenda
Intanto, un po’ di didattica: cos’è il Fesr e a che serve? Potete leggerlo qui. In sintesi,

Il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) è uno dei principali strumenti finanziari della politica di coesione dell’Ue. Venne creato nel 1975 al fine di contribuire ad appianare le disparità esistenti fra i diversi livelli di sviluppo delle regioni europee e di migliorare il tenore di vita nelle regioni meno favorite. Un’attenzione particolare è rivolta alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, come le regioni più settentrionali, con densità di popolazione molto basse, e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

Ribadiamolo: che c’azzecca, con una misura che sarebbe erga omnes e quindi non solo per i lavoratori delle aree meno sviluppate? Boh. Però il solitamente informato Messaggero ci informa che “è stata avviata un’interlocuzione con la Ue su uso più estensivo di questi fondi”, anche se -mannaggia mannaggia- dobbiamo aspettare che s’insedi la prossima Commissione, sempre a guida Von der Leyen. Mentre si è già acceso il neon intermittente con la scritta “fate presto”, veniamo informati che si potrebbe trovare un fantasioso aggancio per il dirottamento di questi fondi, visto che


[…] a favore dei tentativi italiani, ci sarebbe un precedente nell’ultimo decreto Coesione: qui il grosso degli incentivi e degli sgravi legati alle nuove assunzioni è stato finanziato con queste risorse.

Anche qui, sarò tonto ma non capisco cosa c’entrino incentivi alle assunzioni (in zone depresse) con riduzione dei contributi per tutti i dipendenti entro una data soglia di reddito. Ma ecco che in me albeggia una illuminante epifania: è chiaramente colpa di questa Ue con le sue norme sovietiche, che impediscono la creatività contabile e la destinazione di risorse comuni secondo il giudizio di chi queste cose “le sa meglio”, cioè il governo nazionale. Eh, mi sa che ha ragione il ministro Giorgetti. Troppe norme sovietiche in Ue e pure orientate al breve termine, come quello settennale della programmazione di bilancio. Vorrete mica confrontarle con la nostra rigorosa programmazione annuale che porta a cercare soldi per confermare gli sgravi?

Datece li sordi, sappiamo come spenderli
E ve ne dico un’altra: smettete di stracciarvi le vesti e incrinare il vostro orgoglio patriottico quando leggete e sentite che siamo il paese col minore tasso di utilizzo dei fondi europei. Non è che siamo incapaci di spendere, è la matrigna Europa dei burocrati che ci impedisce di allocare prontamente quei soldi alle nostre vere emergenze. Ripetete con me: datece li sordi.

Non so come andrà a finire, ma ho alcuni punti più o meno fermi. Se la Commissione dovesse accettare la singolare richiesta, darebbe ai nostri eroi corda insaponata per impiccarsi, e il prossimo anno saremmo ancora qui (i più fortunati, almeno) a dibattere di “aumento degli stipendi” e “sgravi per i redditi bassi come stella polare di questo esecutivo”. Se invece Ursula e colleghi dovessero essere così limitati da non vedere il nesso tra il Fesr e il nostro costo del lavoro, vedremmo spuntare come funghi colonnelli, marescialli e peones di maggioranza, dediti alla disciplina olimpionica del lancio dell’Ansa, denunciare fieramente che “quei soldi sono nostri, siamo contributori netti al bilancio ordinario della Ue, basta con questi diktat di ottusi burocrati. I cavoli sono nostri e ci facciamo merenda quando vogliamo”.

Non si inventa nulla, ve lo dico da sempre. Ciò che resta è la tossicodipendenza del governo italiano (non solo dell’attuale esecutivo, badate) a cercare disperatamente soldi per alimentare illusioni come il concetto che possa e debba essere possibile aumentare ogni anno il leggendario “potere d’acquisto” dei propri cittadini, anche in assenza di sviluppo. Che strane idee, però. Chissà chi le ha messe in testa agli italiani. Di certo, colpa del neoliberismo.

Mario Seminerio per Phastidio.net

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