Anno IX - Numero 23
Le parole hanno il valore che dà loro chi le ascolta.
Giovanni Verga

giovedì 18 luglio 2024

Un suicidio politico a Parigi?

Le recenti vicende francesi, dalla decisione del presidente Macron di sciogliere l’Assemblea Nazionale e convocare in tempi brevi nuove elezioni agli imprevisti risultati del secondo turno elettorale, con il successo della coalizione di sinistra e il ridimensionamento dell’estrema destra, inducono a ragionare sull’incertezza che caratterizza il futuro della Francia e richiama l’attenzione su alcuni aspetti poco considerati che potrebbero rivelarsi decisivi per i futuri scenari politici della nazione

di Jean-Pierre Gaudin

Non ci abbiamo ancora provato... Ultimamente sono stati in molti a dire, per strada, alla radio e alla Tv e ancor di più sui social network: «Voterò Rassemblement National (Rn)», è il solo che non abbiamo ancora provato!». L’elettore francese è diventato un consumatore tra gli scaffali dei supermercati? L’individualismo moderno relega gli orientamenti di partito in secondo piano? I politologi diagnosticano una condizione di fluidità del voto francese, la fine della lealtà tradizionali e delle grandi narrazioni politiche tradizionali. Bisogna cambiare, dicono gli elettori! Un intellettuale come Pierre Rosanvallon analizza più in profondità i tratti di una «società della sfiducia» che impregna lo spazio politico. La svolta drammatica impressa agli eventi dallo scioglimento dell’Assemblea Nazionale non può essere spiegata solo da questo nuovo contesto, perché conta anche parecchio lo stile politico di Emmanuel Macron.

La decisione del Presidente è arrivata all’improvviso dopo le elezioni europee rivelatesi catastrofica per la parte politica, in ragione della sua impopolarità crescente, dopo la sua rielezione nel 2022, la quale, conviene ricordarlo, era stata seguita da un sensibile declino di consensi alle elezioni legislative e dalla perdita della maggioranza. Da tale situazione Macron voleva innegabilmente uscire con lo scioglimento dell’assemblea (anche se il precedente scioglimento voluto da Chirac aveva condotto a una sconfitta elettorale e a una difficile coabitazione). A questo si aggiungeva l’annuncio di una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo, appena avviata dall’Unione Europea, lungi dal concretizzarsi, ma molto imbarazzante e molto sgradita agli ambienti imprenditoriali vicini al macronismo. Anche se era piuttosto singolare indire elezioni anticipate a causa dei modesti risultati di un’elezione sovranazionale… Molti francesi sono rimasti scioccati da questa decisione a sorpresa che ha aperto una fase d’incertezza politica, economica e diplomatica, alla vigilia dei Giochi Olimpici. Facevano eccezione gli ambienti del Rassemblement National: da tempo Marine Le Pen chiedeva lo scioglimento, ma è difficile pensare che il Presidente volesse compiacerla …

La contesa dei programmi. Le manifestazioni di piazza sono state numerose, ma pacifiche, la mobilitazione di intellettuali (ma è da segnalare un appello degli storici) e artisti circoscritta e importanti personaggi dello sport sono intervenuti più delle grandi Ong. Soprattutto, la campagna è stata rapidamente strutturata dai media e dalle reti mainstream attorno a temi economici e finanziari, in realtà a beneficio della destra moderata e dei macroniani. Le accuse erano le stesse: «spese eccessive, incompetenza, incapacità di gestione». Di fronte ai programmi del Rn e del Nuovo Fronte Popolare (Nps), costituito sorprendentemente da tutte le sinistre reduci dall’esperienza di Nupes, alle legislative precedenti, si è ripetuto ossessivamente il medesimo ragionamento: solo una forza moderata di centro avrebbe potuto evitare il disordine provocato dagli estremisti. Le discussioni sulla fattibilità dei programmi sono state infinite e sono scese nei più minuti dettagli. Nei dibattiti televisivi le narrazioni politiche in campagna elettorale sono state impregnate di economicismo, in contrasto con il relativo riserbo degli imprenditori (il Medef, cioè la Confindustria francese) che hanno preferito lasciare la scena a think tank come l’Institut Montaigne. Più interessante è stata la discussione sul tipo di politica economica da sviluppare in futuro, guidata dall’offerta (prosecuzione del neoliberismo) o dalla domanda e dagli investimenti pubblici (prospettiva keynesiana). Questa impostazione generale del dibattito pubblico ha in qualche modo oscurato la questione della crisi di legittimità della narrativa macroniana (la formula «allo stesso tempo») e quella dell’emarginazione della Francia nei processi di globalizzazione.

I risultati del primo turno hanno confermato ciò che si percepiva da tempo. Il Rn è risultato in testa con un rapido incremento del suo seguito elettorale (33%); il Nfp è salito al secondo posto (28%), grazie a un programma comune elaborato molto in fretta mascherando i conflitti interni che avevano lacerato la Nupes; un centrodestra (Les Républicains, Lr, cioè gli ex gollisti, e Ensemble, i macroniani) molto indebolito (al 20%) da divisioni interne che si sono aggiunte all’usura del potere. Ma non si trattava ancora di tre blocchi uguali come era stato previsto per un certo periodo, ma del trionfo di un Rn diventato multiclasse (ceti dirigenti e classi medie, che si sommavano al voto popolare degli abitanti delle aree periurbane senza servizi pubblici, degli ex Gilets jaunes e più in generale dei left behind della globalizzazione neoliberista.

Quindi, con il secondo turno, ci si aspettava «Bardella primo ministro», che è stato lo slogan del Rn. La sua serietà, in giacca e cravatta, la riga laterale dei capelli e l’elocuzione ordinata erano in contrasto con l’ardore spesso provocatorio di Jean-Luc Mélanchon, divenuto presto il centro di tutte le polemiche (accusato di antisemitismo perché condanna ciò che sta accadendo a Gaza, inaffidabile perché smanioso di protagonismo e sempre troppo polemico). Nel campo di Macron, l’attuale premier Attal si era proposto durante la campagna elettorale tanto come candidato primo ministro, quanto come capro espiatorio, mentre a sinistra ha cercato spazio un outsider come François Ruffin. Altri invece si sono messi disperatamente in cerca di un possibile Primo Ministro donna… Ma le incertezze alla vigilia del secondo turno sono state alimentate soprattutto da altri elementi. Non dipendevano solo dal sistema elettorale (uninominale a doppio turno), che rende sempre difficile passare dalle previsioni sui voti alle proiezioni dei seggi. Erano legate al numero di desistenze che avrebbero ridotto il numero di candidati al secondo turno (inizialmente c’erano al secondo turno più di 300 possibili contese con 3 candidati, ma 200 desistenze hanno semplificato la contesa elettorale). Sarebbero state però seguite dagli elettori le indicazioni di voto dei candidati che si ritiravano, anche quando si trattava di votare per l’avversario di ieri, seppur al fine di eliminare il nemico principale? L’incertezza sul risultato finale dipendeva anche dal tasso di affluenza, che in Francia è diventato gradualmente molto basso, ma che lo scioglimento dell’Assemblea ha fatto aumentare in modo spettacolare. La suspense è durata una settimana.

L’effetto diga e i suoi effetti…..Aspettavamo l’estrema destra e invece ha vinto il blocco di sinistra. Il meccanismo delle desistenze al secondo turno ha funzionato in pieno, con il barrage repubblicano che ha emarginato i candidati Rn, soprattutto perché questi ultimi non avevano riserve di voti per il secondo turno a differenza di altri partiti. Ma in termini di numero di seggi rispetto al Nfp gli altri due blocchi – Rn e alleati, macroniani e la destra classica – non sono molto indietro! Si tratta quindi di un voto a maggioranza a doppio turno che, grazie all’effetto delle desistenze, porta paradossalmente più o meno allo stesso risultato di un voto proporzionale. Le istruzioni di voto sono state ben seguite, probabilmente meno per disciplina di partito che per il timore generale di vedere il Rn arrivare al potere. Tuttavia, l’analisi elettorale mostra che il trasferimento di voti è stato più massiccio dagli elettori di sinistra a quelli di destra (67%) che viceversa (meno del 50%). Ma il Rn sarà il più grande gruppo parlamentare dell’Assemblea. Convivenza obbligatoria per Macron, almeno per un anno secondo la Costituzione, e negoziazione obbligatoria con soggetti diversi dal Rn (esclusi per ipotesi). Lo stile e le convinzioni del presidente rendono molto improbabile che si raggiunga un compromesso con il Nfp di Mélanchon a breve termine. A tutt’oggi rimane l’ipotesi di un’alleanza «repubblicana» che riunisca partiti dal centrodestra al centrosinistra, il che equivale a un tentativo di rompere il Nfp attirando le forze socialdemocratiche presenti soprattutto all’interno del Partito socialista (un partito che si è rinvigorito ed è indietro rispetto all’alleato La France Insoumise per numero di seggi). Ma gli elettori favorevoli al programma del Nfp si sentirebbero brutalmente traditi…

Il futuro è incerto, anche per gli analisti politici. Come sarà l’estate in Francia, per non dire altro? In caso di un’alleanza stabile (come l’Alleanza repubblicana o la Sinistra Plurale del governo Jospin), un nuovo governo si potrebbe formare abbastanza rapidamente e succedere a quello guidato da Attal. Altrimenti, ci saranno alleanze su specifiche issues e progetti di legge. Quelli che all’epoca della IVª Repubblica venivano chiamati «governi tecnici», composti da personalità della società civile e del mondo imprenditoriale, una formula tecnocratica, orientata più verso destra che verso sinistra, che non dispiace affatto a Macron e che è stata ampiamente praticata anche in Italia. Ma tutto questo può avvenire dopo mesi di incertezza, in cui Attal continuerà, malgrado abbia presentato le dimissioni, ad occuparsi degli affari correnti e a gestire i Giochi Olimpici, mentre si svolgono le trattative. Il Belgio ha da tempo dimostrato che ciò è possibile, se non molto auspicabile. Soprattutto quando nessuno dei blocchi che sono arrivati in testa è vicino ai 289 seggi necessari per avere la maggioranza nell’Assemblea.

La Francia dovrà ricordarsi anche di essere un regime parlamentare, con partiti strutturati, che contraddicono il principio macroniano «allo stesso tempo», cioè la possibilità comunque di armonizzare prospettive in contrasto. Con le elezioni si è verificato anche un ritorno delle élite politiche tradizionali (al di là del caso personale di François Hollande) ed è prevedibile la riabilitazione del ruolo di primo ministro.

Una nuova coabitazione del presidente Macron con la sinistra avrebbe innegabili implicazioni per molte politiche pubbliche, soprattutto in economia e politica estera. Possiamo rapidamente menzionare l’Ucraina, Gaza e le relazioni con l’Ue, sia in termini di finanziamenti, sia di relazioni con l’atlantismo. Da questo punto di vista, che Le Pen si allinei all’atteggiamento di Meloni sembra improbabile. Senza dimenticare quello che in Francia si chiama il «terzo turno», che consiste nell’atteggiamento dei mercati, nella fiducia o meno dei creditori internazionali e nell’andamento dei tassi sul debito pubblico. Abbiamo già visto in passato i mercati azionari speculare al ribasso… Soprattutto se la crisi politica è accompagnata da una crisi sociale.

Alla fine, il Rn appare al momento come una sorta di winner-loser. Vincitore, perché ha ottenuto da solo al secondo turno il 37% dei voti, senza una coalizione, il che lo rende il primo partito. Perdente, perché rimane al di sotto delle previsioni e dei sondaggi ed è isolato per il momento. Ma il sospiro di sollievo immediato non dovrebbe far sottovalutare i rischi a lungo termine, con la costante crescita elettorale che dura da anni dell’estrema destra. Tanto più che le incertezze che verranno, o addirittura l’esacerbarsi dei conflitti politici e sociali, nei prossimi uno o due anni, favoriranno innegabilmente agevoleranno il compito di convincere gli elettori, in generale insoddisfatti del contesto neoliberista e dei vincoli europei. I francesi sociologicamente hanno crescenti riflessi di destra, che sono coerenti con un paese in cui, ci si consenta di semplificare, ad esempio conta molto il numero dei piccoli proprietari (delle loro case e delle loro piccole imprese) e dei pensionati. Sarà un anno difficile. Alcuni francesi sono già preoccupati, mentre altri vorrebbero far prova di molta creatività politica…

Jean-Pierre Gaudin per Etica ed Economia

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