Anno IX - Numero 24
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Giovanni Verga

martedì 30 luglio 2024

Le radici del deficit statunitense

Secondo lo US Office of Management and Budget, il deficit fiscale federale al 30 settembre sarà pari al 6,6 per cento del Pil. Si tratta del peggior risultato in assenza di una crisi. Malgrado l’età media più bassa rispetto ad altri paesi occidentali, gli Stati Uniti stanno soffrendo di problemi socio-demografici simili a quelli europei. Ne deriva che diventa necessario un intervento: redistribuire oppure tagliare benefici

di Mario Seminerio

Secondo lo US Office of Management and Budget (Omb), che è la struttura di consulenza della Casa Bianca in tema di bilancio federale, il deficit fiscale federale al termine del corrente esercizio, cioè al 30 settembre, sarà pari al 6,6 per cento del Pil. Secondo il Congressional Budget Office (Cbo), che è il watchdog indipendente di bilancio del Congresso, il dato si collocherà al 6,7 per cento.
Si tratta del peggior risultato in assenza di una crisi, come è stata quella del Covid-19, della grande crisi finanziaria e della seconda guerra mondiale. Si pone quindi l’obbligo di comprendere le determinanti di tale buco, anche per fini di analisi politica.

Individuare le fonti del deficit federale
Ci aiuta un’analisi di Bloomberg, che raffronta entrate e uscite con la media quarantennale, in termini di incidenza sul Pil. Criterio arbitrario quanto si vuole, ma da qualche parte occorre iniziare a mettere un punto fermo. Ecco i risultati.

Quest’anno, le entrate in percentuale del Pil si collocano al 17,6 per cento secondo la stima del OMB, non troppo discosto dalla media 1984-2023, che è stata di 17,2 per cento. La vera devianza rispetto alla media di lungo termine è nelle spese: 24,2 per cento contro 21,1 per cento. Questo dato sembrerebbe quindi dare ragione ai Repubblicani, che imputano all’Amministrazione Biden una sfrenata propensione alla spesa.

Eppure, disaggregando quest’ultima, si scoprono cose interessanti. Ad esempio, che la spesa discrezionale, che viene allocata ogni anno dal Congresso a mezzo di un appropriations bill a capitoli quali difesa nazionale, aiuti alla cooperazione, istruzione e trasporti, quest’anno sarà pari al 6,4 per cento, inferiore alla media quarantennale del 7,5 per cento. Quindi, non è da considerare “colpevole”.

Per contro, la spesa è lievitata nei due altri grandi capitoli: i programmi sociali, cioè quelli che originano dai cosiddetti entitlements e che sono determinati dal numero degli aventi diritto, e la spesa per interessi. Negli entitlements ci sono la Social Security, il Medicare e il Medicaid. Tali spese obbligatorie sono cresciute costantemente nel corso degli anni e sono destinate a raggiungere il 14,6 per cento del Pil quest’anno fiscale, ben 3 punti percentuali al di sopra della media quarantennale.

Questa crescita è guidata in gran parte dalla previdenza sociale e dai programmi sanitari che si sono ampliati con il rapido aumento del numero di americani over 65. La Social Security Administration stima che nel 2024 oltre 67 milioni di persone riceveranno sussidi, con un aumento di oltre 8 milioni rispetto al 2015. L’aumento del numero di anziani e del costo dei trattamenti sanitari è alla base dell’espansione di spesa.

E poi c’è il capitolo spesa per interessi. Da quando la Federal Reserve ha iniziato ad alzare i tassi, il costo medio dei Treasuries è raddoppiato, al 3,3 per cento. La spesa per interessi, in incidenza sul Pil, è ai massimi dal 1991, al 3,2 per cento.

Ad oggi, non ci sono piani formali per ristrutturare la previdenza sociale, che si prevede terminerà i fondi per pagare tutti i benefici nel 2033, o il Medicare, che potrebbe restare a secco nel 2036. E qui entra in gioco la politica: diversi repubblicani sono favorevoli al taglio di alcuni benefici o all’aumento dell’età di fruizione dei benefici. Alcuni democratici hanno proposto di aumentare le tasse sui più abbienti per generare maggiori entrate per i programmi. La soglia di reddito oltre la quale chiedere di più alle famiglie era stata fissata da Joe Biden in 400.000 dollari annui.

Il bivio politico
In sintesi: malgrado l’età media più bassa rispetto ad altri paesi occidentali, gli Stati Uniti stanno soffrendo di problemi socio-demografici simili a quelli europei. Da questa considerazione discende il bivio politico: intervenire in redistribuzione oppure tagliare i benefici. Oppure, ovviamente, un mix delle due leve d’intervento.

Non scordiamo, come detto, il crescente onere della spesa sanitaria, che spinge molti progressisti a chiedere di evolvere verso modelli cosiddetti single payer di tipo europeo, dove cioè è l’acquirente pubblico che entra in negoziati di sostanziale monopsonio con l’industria farmaceutica.

Da queste componenti del bilancio federale originerà lo spartiacque della politica statunitense per i prossimi anni. Ricordando l’antica definizione liberal del governo federale degli Stati Uniti: un esercito con attaccata una compagnia assicurativa. Che potrebbe tornare prepotentemente e trasversalmente di moda, se le guerre culturali non si trasformeranno in guerra civile guerreggiata: il più grande e sanguinoso diversivo verso cui gli Stati Uniti oligarchizzati sono incamminati.

Nel frattempo, dati gli scricchiolii di questi giorni nella congiuntura economica, fate un esperimento del pensiero: se, in tempo di espansione superiore al 2 per cento, il rapporto deficit-Pil si approssima al 7 per cento, dove potrebbe finire in ipotesi di recessione conclamata?

Mario Seminerio per Phastidio.net

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