Anno IX - Numero 16
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Buddha

mercoledì 26 giugno 2024

Gafam e sanzioni europee: quali rischi per l'innovazione digitale?

Mentre a parole i politici europei invocano l’innovazione digitale, nei fatti la combattono. La decisione della Commissione Ue contro il brand di Cupertino non interviene davvero a tutela della concorrenza nel mercato interno, e soprattutto sul lungo periodo potrebbe danneggiare i consumatori. Stiamo tagliando i ponti tra Europa e innovazione digitale?

di Istituto Bruno Leoni

La Commissione europea ha fatto la prima mossa nel grande gioco della regolamentazione digitale: dovendo far vedere che le nuove regole servono a qualcosa, non poteva non sanzionare qualcuno; e dovendo sanzionare qualcuno, la scelta non poteva che cadere sul più grosso di tutti, cioè Apple. Bruxelles ha pubblicato gli esiti di un’indagine preliminare, secondo cui la compagnia di Cupertino starebbe violando alcune norme del Digital Markets Act (Dma) relative agli obblighi dei cosiddetti “gatekeepers” (cioè le grandi piattaforme online, quasi tutte statunitensi).

In particolare, Apple avrebbe imposto agli sviluppatori di app dei vincoli per impedire di indirizzare gli utenti verso promozioni esterne al suo App Store. Uno dei capisaldi del Dma, infatti, è che qualunque ecosistema deve essere aperto: e ciò contraddice la politica di Apple di avere un sistema “chiuso” per proteggere al massimo la sicurezza dei suoi utilizzatori.

C’è una questione di merito e una, per certi versi più importante, di metodo. Per quanto riguarda il merito, il Dma muove dall’ipotesi che la concorrenza può svolgersi solo all’interno di un unico modello di business (ne abbiamo discusso in questo paper). Sicché, tutti gli operatori devono essere ricondotti a pratiche e prodotti direttamente confrontabili. Come se gli individui non fossero in grado di compiere una scelta consapevole tra un ambiente più aperto (e quindi strutturalmente più pluralistico ma anche esposto a maggiori rischi) e uno con caratteristiche opposte e come se, magari, proprio da questa differenza non venga la scelta di un operatore piuttosto che di un altro. Né sembra contare il fatto che Apple serve una fetta del mercato che, pur significativa, è minoritaria (circa il trentadue per cento in Europa).

Neppure ha rilevanza in questa analisi il fatto che – in un contesto sostanzialmente duopolistico – proprio la diversità dei modelli di business e delle relative proposizioni di valore rappresenta il più efficace baluardo contro forme anche implicite di collusione. Vedremo come si svilupperà il caso. A prescindere dalle conseguenze che effettivamente si realizzeranno dall’applicazione del Dma, un effetto si è comunque già prodotto: Apple ha dichiarato che non renderà disponibili in Europa alcune nuove funzionalità per timore che anch’esse possano porsi in contrasto con le nuove norme.

Qui arriviamo alla questione di metodo. Apple non è la prima tra le Big Tech a disegnare, nel proprio scenario, una traiettoria per l’Europa diversa (e probabilmente penalizzante) rispetto al resto del mondo. Pochi mesi fa, era stata Meta a subordinare alla sottoscrizione di un abbonamento i servizi di Facebook e Instagram per coloro che non desiderano ricevere inserzioni pubblicitarie (mentre resta disponibile la versione gratuita per chi le accetta). Fino a che punto è sostenibile e giustificabile la divaricazione delle strategie tra l’Europa e il resto del mondo? La scelta di Meta è di far emergere il costo della compliance per gli utenti; quella di Apple è semplicemente di ridurre le proprie innovazioni per il pubblico europeo. Di tutto ciò sono perfettamente consapevoli le istituzioni europee, che non solo non sembrano esserne preoccupate, ma addirittura se ne vantano. Emblematico il commento del Commissario all’Industria, Thierry Breton: «Il nuovo slogan di Apple dovrebbe essere “act different”. Oggi abbiamo intrapreso ulteriori passi per obbligare l’azienda a rispettare le norme».

Tutti devono rispettare le leggi. Ma i policy-maker (che le leggi le fanno) e gli elettori (che li delegano a farle) dovrebbero anche chiedersi se il fine di tali norme è desiderabile e se il mezzo è proporzionale al fine. La nostra sensazione è che il fine non sia desiderabile e che il mezzo sia sproporzionato. Stiamo cominciando a vederne i risultati. Prima e a prescindere dell’inevitabile contenzioso, dovremmo chiederci se non stiamo tagliando i ponti tra l’Europa e l’innovazione digitale, che i politici europei tanto invocano a parole, quanto combattono nei fatti.

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