L’idea di fondo è che le imprese debbano essere forzate a perseguire obiettivi che vanno ben oltre la loro responsabilità stretta
di Istituto Bruno Leoni
Si è conclusa (il 18 marzo, n.d.r.) la consultazione pubblica organizzata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in merito allo schema di recepimento della Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd), relativa agli obblighi di redazione dei bilanci di sostenibilità da parte delle aziende. La direttiva impone alle imprese di rilevare e divulgare informazioni relative alle loro attività e ai relativi impatti sulle persone e l’ambiente, in modo da canalizzare i capitali verso gli investimenti “sostenibili”. Sembra tutto ragionevole e utile a una maggiore trasparenza, ma dietro questa logica si nascondono rischi enormi.
Il primo rischio riguarda le modalità e i criteri adottati per il monitoraggio e la rendicontazione degli impatti delle attività delle imprese.
Vi è poi un secondo rischio, i cui effetti abbiamo già osservato nel corso della crisi energetica del 2022. Nella nostra fetta di mondo possiamo anche imporre gli standard più restrittivi, ma non necessariamente il resto del mondo farà lo stesso. Così, per effetto della regolamentazione e delle pressioni degli investitori, in Occidente, e in particolare tra le imprese quotate in borsa, si è registrato un drastico calo degli investimenti nel settore delle fonti fossili. Ma poiché la minore offerta non si traduce necessariamente in minore domanda, il risultato che abbiamo ottenuto è stato quello di causare un disallineamento che ha fatto esplodere i prezzi e che ha comportato uno spostamento dalle imprese occidentali a quelle di altri paesi, caratterizzati tipicamente da minore trasparenza e standard meno rigorosi nel rispetto dell’ambiente.
Infine, la nuova direttiva estende questi obblighi anche a decine di migliaia di Pmi, caricando queste ultime di oneri amministrativi che non sempre sono in grado di sostenere, e che sarà praticamente impossibile verificare a meno di non costruire un’impalcatura di controlli insostenibile per estensione e pervasività. Sicché non è improbabile che si diffonderanno software che redigono automaticamente il bilancio di sostenibilità delle Pmi, in modo da rispettare formalmente le norme senza fornire alcuna reale informazione al mercato.
L’idea di fondo, però, è che le imprese e il sistema finanziario debbano essere forzati a perseguire obiettivi che vanno ben oltre la loro responsabilità stretta (generare valore per gli azionisti) e che scavalcano perfino la pur generosa definizione della loro responsabilità sociale. È come se le imprese fossero viste alla stregua di un’appendice dello Stato e fossero quindi trattate come meri soggetti attuativi di decisioni prese altrove. Al di là di tutte le giuste preoccupazioni sui costi e le implicazioni di questo nuovo sistema, il problema principale è proprio che comporta non solo una sorta di esproprio silenzioso delle imprese stesse, ma anche una statalizzazione di fatto dei loro obiettivi.
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