Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

martedì 26 marzo 2024

Francia, canarino nella miniera del populismo fiscale

I problemi di bilancio non sono solo italiani. Non significa che siano meno gravi, ma con una Germania in crisi esistenziale e una Francia che sta rapidamente scivolando nel populismo, che mina i conti pubblici, la reintroduzione del Patto di Stabilità della Ue, con la stretta fiscale prevista per fine anno, rischia di essere un detonatore

di Mario Seminerio

Nel 2023, il rapporto deficit-Pil della Francia è stato del 5,5 per cento, contro attese per un valore di 4,8 per cento. Il dato giunge a sorpresa ed è causato, secondo l’interpretazione del ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, da un minore gettito d’imposta per 21 miliardi di euro. Secondo Le Maire, il processo di disinflazione più rapido del previsto avrebbe ridotto gli introiti Iva rispetto al previsto. Prendetela per come è stata detta. Come avrebbero detto i latini, relata refero.

Altra voce di entrata che ha fatto peggio delle stime sono gli introiti legati alle compravendite immobiliari, che secondo l’istituto nazionale di statistica Insee sarebbero risultate inferiori alle attese per il 22 per cento, ossia 4,8 miliardi di euro.

Il rapporto debito-Pil migliora rispetto al 2022, passando da 111,9 per cento a 110,6 per cento, ma fa peggio delle previsioni governative, poste a 109,7 per cento.

Per l’esecutivo transalpino e il presidente della repubblica, Emmanuel Macron, si tratta di una pessima sorpresa che rischia di far deragliare l’obiettivo, affermato solo poche settimane fa, di portare il rapporto deficit-Pil per il 2024 al 4,4 per cento, per conseguire il quale il governo aveva annunciato un piano di risparmi aggiuntivi per quest’anno di 10 miliardi di euro.

Oggi, il costo del servizio del debito pubblico francese è pari a 57 miliardi di euro annui, il doppio rispetto a tre anni addietro, ed è previsto raggiungere gli 87 miliardi di euro nel 2027, superando la spesa per istruzione e quella per la Difesa.

I “risparmi” di Marine
Ora, come prevedibile, è iniziato lo scontro politico. Il governo punta a nuovi risparmi di spesa, coinvolgendo anche gli enti locali, ed esclude aumenti di entrate se non quelli legati a tassazione degli extraprofitti dei produttori di elettricità. Tra le file dell’opposizione la situazione è variegata: a sinistra, quelli de La France Insoumise sostengono che il deficit aggiuntivo deriva da minori entrate e di conseguenza è fuori discussione agire sulle spese. I Repubblicani minacciano una mozione di censura al governo mentre Marine Le Pen si è scoperta paladina dell’equilibrio di bilancio ma presenta “soluzioni” piuttosto cervellotiche e con numeri di pura fantasia, come enunciate in un editoriale-manifesto di qualche tempo fa.

Le Pen ha identificato quattro “cantieri” di risparmi, tutti molto fantasiosi e in linea con l’orientamento ideologico del suo partito. In primo luogo, il costo dell’immigrazione. In termini di accoglienza e costi aggiuntivi di welfare, polizia e giustizia e minori entrate derivanti da ingressi di persone poco qualificate (il che immagino significhi che saranno i francesi a fare determinati lavori). Incassi previsti: ben 16 miliardi di euro annui. Auguri.

Secondo cantiere di risparmi immaginari lepenisti, la lotta alla “frode”: sociale, fiscale e concorrenziale, che varrebbe altri 15 miliardi di euro. Il terzo cantiere è quello del “radicamento” della produzione a livello nazionale (prima le imprese francesi) e la lotta alla ormai ubiqua “concorrenza sleale internazionale”. In sintesi, protezionismo, vecchio cavallo di battaglia di Marine Le Pen.

Da ultimo, riforma del bilancio pubblico, con separazione netta tra spese di investimento, finanziabili a debito, e quelle correnti, soprattutto i trasferimenti sociali. Il tutto basato su cambiamenti nella gestione delle strutture dello stato preposte alle erogazioni. Che significa tutto e nulla, in un paese dove le tensioni sociali stanno visibilmente montando.

Come si nota, questo presunto rigore di bilancio di Le Pen è scritto sull’acqua del solito populismo.

La crisi fiscale e produttiva europea
A parte ciò, perché vi segnalo la sgradevole sorpresa francese? Per molti motivi. In primo luogo, perché possiamo e dobbiamo gettare l’ombelico oltre confine e scoprire che i problemi di bilancio non sono solo italiani. Il che non significa che i nostri siano meno gravi, sia chiaro. Ma con una Germania in crisi esistenziale, una Francia che sta rapidamente scivolando oltre il punto di non ritorno del populismo, che mina i conti pubblici, la reintroduzione del Patto di Stabilità della Ue, con la stretta fiscale prevista per fine anno, rischia di essere il detonatore.

Si dirà, a questo punto, che gli agognati tagli dei tassi attesi da parte della Bce saranno una vera manna dal cielo per i governi europei. Si e no, nel senso che l’eventuale risparmio di spesa per interessi dovrebbe andare a riduzione del deficit, non a finanziare spesa aggiuntiva. Ma che accadrebbe, se un’inflazione persistente ritardasse il calo dei tassi o lo riducesse sensibilmente rispetto alle previsioni?

Qui il rischio è quello di mercati in fibrillazione, e di movimenti di forte volatilità e fuga dal debito sovrano. Un rischio che è presente anche negli Stati Uniti, dove il deficit resta previsto sopra il 6 per cento per molti anni a venire e dove Joe Biden e Donald Trump non sembrano mettere sul piatto delle priorità il risanamento fiscale. E già si levano grida d’allarme, come quelle del watchdog fiscale indipendente del Congresso.

Benvenuti nell’era del populismo fiscale. Quella dove aumentare le entrate è diventato tabù, quasi come tagliare le spese. E dove la riconversione ambientale mette pressione ai bilanci pubblici ma causa anche frustrazione e rabbia nei cittadini, chiamati a sostenere spese rilevanti.

I bondvigilantes osservano
Per l’Italia mal comune, mezzo gaudio, quindi? Non lo so. C’è la possibilità che i governi ricorrano a forme di repressione finanziaria per sostenere il debito pubblico, col rischio di spiazzare il settore privato come sta visibilmente accadendo in Italia da tempo. Su tutto, il rischio di eventi traumatici sui mercati, dove le pressioni inflazionistiche dal lato dell’offerta potrebbero riemergere in qualsiasi momento, data la situazione geopolitica, che pare favorire piattaforme elettorali e politiche dove si strizza l’occhio (e qualcosa di più) al protezionismo.

Di fronte a queste fonti di inflazione (deficit pubblici, protezionismo, shock alle catene di fornitura), le banche centrali reagirebbero rinviando i tagli dei tassi o inasprendo la politica monetaria, scatenando reazioni populistiche contro la “tecnocrazia finanziaria irresponsabile”. Non è un caso se ormai ovunque, anche negli Stati Uniti, si parla di rischio di “momento Liz Truss”, riferendosi al violento shock inflitto dai mercati all’idea dell’ex premier britannica di tagliare le tasse senza copertura. La prossima variazione sul tema potrebbe essere dietro l’angolo, col cocktail di maggiori deficit e tassi persistentemente elevati.

Sto correndo troppo? Sto facendo una delle mie solite sceneggiature catastrofiche? Può essere.
O forse no.

Mario Seminerio per Phastidio.net

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