di Lucrezia Bolla
Le Intelligenze Artificiali generative sono, nelle varie applicazioni di intelligenza artificiale, tra quelle di maggiore diffusione anche tra i quisque de populo, soprattutto dopo la grande operazione di lancio gestita da Open AI con Chat Gpt.
Com’è noto, per IA generative si intende qualsiasi tipo di intelligenza artificiale che può essere utilizzata per creare nuovi testi, immagini, video, audio, codici o dati sintetici. Questo termine molto ampio comprende tanto gli algoritmi predittivi quanto quelli che possono utilizzare suggerimenti di un operatore esterno (“prompt”) per scrivere autonomamente articoli e dipingere immagini; tuttavia le prime applicazioni sono state, probabilmente, software di correzione o ottimizzazione automatica di immagini e audio digitali.
Queste tecnologie, se per il privato possono essere un simpatico mezzo ricreativo, hanno evidenti risvolti di natura commerciale. Considerando esclusivamente il settore terziario, IA generative possono essere diffusamente utilizzate nell’informazione, nel marketing, nell’industria cinematografica, nell’editoria; possono sostituire l’uomo in task routinarie o meno creative del software development, e essere di ausilio in una varietà di professioni intellettuali. Da ultimo, possono venire utilizzate come “strumenti” di espressione artistica in senso lato.
Un rischio dell’(ab)uso di queste tecnologie sta nell’erosione del valore economico attribuibile allo sforzo intellettuale puramente umano: sono saliti recentemente all’onore della cronaca giornalisti sostituiti dalle proprie testate da Chat Gpt, o ancora lo sciopero di Hollywood, dovuto tra le altre ragioni alla proposta dell’Amptp (“Alliance of Motion Picture and Television Producers”) di raccogliere e conservare in archivio l’immagine degli attori per agevolarne lo sfruttamento, e ai timori relativi alla sostituzione degli sceneggiatori con Large Language Models (“Llm”).
Proprio gli artisti, variamente intesi, sono stati tra i primi a segnalare un malessere legato all’utilizzo massiccio dell’IA: è opinione diffusa, anche se difficilmente dimostrabile in tribunale, che i training dataset su cui le IA si “allenano” vengano ottenuti tramite web scraping di contenuti di origine umana anche protetti da privativa.
L’Ue, in cerca di un nuovo primato con l’AI Act per le intelligenze artificiali come già con il GDPR per la protezione dei dati, si è concentrata sulla regolamentazione dell’IA sotto il profilo precipuo del rischio e della liability; ma se l’origine dei dati pone evidenti problemi di privacy e protezione dei dati, oltre che di sviluppo e di uso etico e responsabile, altrettanto sensibili sono le questioni – sicuramente di discreto interesse commerciale – relative ai diritti di proprietà intellettuale.
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