Anno IX - Numero 14
Quando non si vuole fare i conti con le proprie cose si dovrà alla fine farli con i propri fantasmi.
Soren Kierkegaard

mercoledì 22 marzo 2023

La foresta che emette CO2

Il grande polmone verde della terra, l’Amazzonia, che ha dato ossigeno, vita e bellezza per milioni di anni, in diverse aree non ha solo smesso di assorbire l’anidride…

di Maria Rita DOrsogna

La devastazione continua, e io sono sempre sorpresa di quanto noi umani alla fine ci siamo abituati a queste notizie. Ogni giorno ciò di cui ci parlano i giornali diventa sempre più allarmante, ma noi ogni giorno innalziamo l’asticella della benevola indifferenza e andiamo avanti con le nostre, spesso vuote, vite. Siamo arrivati adesso a che l’Amazzonia, questo grande polmone verde che ha dato ossigeno e vita per milioni di anni, in alcuni punti è diventata “emettitrice” di anidride carbonica invece che “assorbitrice”. Pare niente e invece è qualcosa che dovrebbe fermarci tutti. Siamo distruggendo i nostri stessi polmoni.
Come è successo questo? Deforestazione ed altra deforestazione e altra ancora hanno eliminato la foresta tropicale e portato in parallelo l’arrivo di colture intensive, strade, trivelle, incendi controllati e non. La foresta è diventata savana.

Negli ultimi quarant’anni la temperatura media nella foresta si è innalzata di circa 3 gradi Celsius. Negli ultimi quarant’anni il 17 per cento dell’Amazzonia da foresta è diventata pascolo. Nella parte orientale, questo numero arriva al 30 per cento del totale. Trasformazioni enormi che però non ci fanno preoccupare.

Tutti gli studi e i calcoli degli accordi di Parigi si basano sull’assunto che l’Amazzonia sarà il cuore rigenerativo che assorbe CO2, e invece non è più così. Anche gli studi più catastrofici non potevano predire questo.

Un team di ricercatori guidato da Luciana Gatti (brasiliana, chimico dell’atmosfera) per conto dell’istituto nazionale della ricerca spaziale del Brasile (Inpe) ha preso dei campioni di aria in volo sull’Amazzonia a diverse altitudini fra il 2010 e il 2018. È stato uno studio difficile, condotto con 600 voli - spesso difficili - in lungo e in largo sull’Amazzonia. 

In una foresta tropicale “sana” la concentrazione di CO2 dovrebbe diminuire perché gli alberi dovrebbero assorbire, sequestrare e alla fine “stoccare” CO2 sotto forma di legno. E invece… Invece i campioni della Gatti mostrano che in molti punti la concentrazione di CO2 aumenta man mano che si scende in verticale. Il motivo è uno solo: le foreste sono di meno e non riescono ad assorbire tutto quello che immettiamo in atmosfera. Queste misure sono state ripetute nel corso di otto anni, e i risultati sono stati sempre gli stessi.

I conti finali della Gatti portano alla cifra di circa 300 milioni di tonnellate l’anno che la foresta amazzonica adesso emette. Tanto quanto le emissioni nazionali della Francia. Grazie a sofisticati metodi di valutazione, la Gatti è riuscita pure a stimare che la maggior parte della CO2 catturata sull’Amazzonia proviene da legno bruciato.

Le foreste sono importanti perché mettono umidità nell’aria, fanno abbassare le temperature e contribuiscono alla piovosità. Tutto questo ciclo fa bene alla biodiversità, agli equilibri millenari, e aiutano a creare i micro-clima locali. L’Amazzonia con 400 miliardi di alberi è la regina di questi cicli. Ogni albero della foresta tropicale genera 400 litri di acqua sottoforma di vapore, vapore che raffredda il clima, genera nuvole cariche d’acqua che poi portano alla pioggia. Questa pioggia poi sostiene la vita della foresta, che si rigenera e porta a biodiversità e bellezza. Adesso tutto questo ciclo rallenta perché ci sono meno alberi, meno vapori, meno pioggia. E gli alberi che restano, e che erano “abituati” a condizioni di piovosità sostenuta non possono fare altro che perdere le foglie che abbisognano d’acqua per restare rigogliose. Appunto, la giungla che diventa savana.

E con questo siccità mai viste prima in Amazzonia. La stagione arida che da tre mesi passa a quattro. Piovosità decimata. Incendi fuori controllo. Aumento della temperatura di 3 gradi Celsius. Arrivo delle tempeste di sabbia.

E queste sono solo le conseguenze di meno alberi. Ma il bruciarne significa anche rilasciare CO2 in più stoccata in millenni sottoforma di legno e radici in un ciclo distruttivo che non si fermerà.

Ma come mai tutta questa deforestazione? Per anni vari governi brasiliani hanno visto la foresta come una cosa da sfruttare e non da proteggere, e hanno pure incentivato l’arrivo di contadini e imprenditori territoriali per trasformare l’Amazzonia in campi agricoli intensivi. Intanto la popolazione mondiale aumentava, e la Cina avanzava. La Cina che adesso vuole soia, pascoli, olio da cucina. E questo in aggiunta agli europei e agli americani che le chiedono già da tempo.

Quasi il 70 per cento dell’Amazzonia deforestata è dedicata al pascolo. Certo ci sono leggi per la protezione dell’Amazzonia, ma Bolsonaro non ha aiutato, e i profitti trovano sempre un modo per raggirare le leggi e i satelliti che teoricamente devono monitorare il consumo di suolo nella foresta. Nel 2021, l’ultimo anno della presidenza Bolsonaro, sono stati tagliati 1.000 alberi ogni minuto. Il nuovo presidente Lula dice che fermerà la deforestazione completamente, ma non sappiamo se questo sarà realtà.

L’Amazzonia muore, lentamente, ma muore. E siccome l’ecosistema è uno solo, questo vuol dire che un po, moriamo pure noi.

Maria Rita D'Orsogna per Comune-info

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