Anno X - Numero 39
Il tempo degli eventi è diverso dal nostro.
Eugenio Montale

venerdì 26 settembre 2025

Unendo i puntini, spunta una Fed alla giapponese

Gli Stati Uniti attraversano un periodo di “dominanza fiscale”: i deficit persistono e si allargano, i soldi non bastano mai. Anche se Trump riuscisse a forzare un maxi taglio dei tassi ufficiali, cioè quelli a breve termine, non motivato dalla congiuntura, i tassi a lungo termine aumenterebbero per aspettative inflazionistiche e aumento del premio al rischio di ridotta credibilità della Fed. Che ne penseranno gli elettori?

di Mario Seminerio

Come da attese, la Federal Reserve ha tagliato i tassi d’interesse di un quarto di punto percentuale. Il cosiddetto dot plot, cioè il diagramma in cui i suoi governatori si cimentano a divinare il futuro indicando dove vedono il tasso sui fondi federali nel futuro più o meno prossimo, e che è ormai assurto ad arte divinatoria dell’entropia e lettura dei fondi del caffè, a questo giro è stato condizionato dalla posizione di Stephen Miran, nuovo governatore “a tempo”, ufficialmente sino a fine gennaio, ma in aspettativa non retribuita dalla direzione del Council of Economic Advisers della Casa Bianca.
Il segno di Miran
Miran, confermato dal Senato secondo linee partitiche con 48 voti a favore e 47 contrari, ha votato in solitario dissenso perché voleva un taglio di mezzo punto. Poi si è cimentato coi diagrammi di tassi e crescita, che infatti mostrano un outlier: meno inflazione, tassi bassi e più crescita. I voti sono anonimi ma diciamo che, in questo caso, ce n’è uno che ricorda i brogli elettorali classici, quelli dove si manda la foto del proprio voto al capo corrente o al mandante, in attesa di ricevere la mercede.



Interessante il fatto che Miran, almeno a questo giro, non si sia portato dietro gli altri “trumpiani”, Christopher Waller e Michelle Bowman. Se da un lato ciò rassicura in termini relativi e conferma quanto affermato dallo stesso Powell in conferenza stampa (“Un voto conta per un voto, in un board di 12 membri”), dall’altro suscita inquietudine perché, con questo esito, Miran raccoglie punti-fragola, o meglio arancio, agli occhi di Donald Trump, che potrebbe convincersi che lui è l’unico affidabile per essere chair al posto di Powell, in attesa di controllare almeno altri tre voti del Board (su sette) e fare filotto anche con le Fed regionali, da mettere sotto tutela perché troppo spesso allevano falchi anti-inflazione.

San Sebastiano Powell, in conferenza stampa, ha espresso moderata preoccupazione per il mercato del lavoro, ribadito che da qui in avanti sarà tutto guidato dai dati (e vabbè), e che questo taglio è una sorta di misura di “gestione del rischio”, il che non sarà musica alle orecchie del Segretario al Tesoro, Scott Bessent.

Ad ogni modo, la dispersione delle “visioni” sui tassi si è accentuata, e non solo perché Miran vuole 125 punti base di tagli da qui a fine anno. Un partecipante al Fomc, nello stesso periodo, vede addirittura un rialzo (cercheranno di scoprire con ogni mezzo di chi si tratta), altri sei vedono tassi invariati, in nove prevedono due tagli da 25 centesimi. Faites vos jeux.

Il mercato si è agitato, anzi shakerato, come da contratto, e poi si è quietato chiudendo poco mosso. Un apparente non evento sotto la cui superficie tutto resta fluidamente in ebollizione. La situazione del mercato del lavoro è in effetti un enigma: crollata la creazione di nuovi impieghi ma non il tasso di occupazione. Alcune interpretazioni riconducono il fenomeno alla riduzione contestuale di domanda e offerta di lavoro, e segnalano che i consumi reggono ancora benissimo, quindi non pare esservi un clima pre-recessivo. Tuttavia, uno dei classici indicatori anticipatori, la disoccupazione dei lavoratori di colore, sta lampeggiando ambra.

Il “terzo mandato” (immaginario)
Durante l’audizione di conferma in Senato, Miran ha estratto dal cilindro una teorizzazione piuttosto ardita, che subito ha fatto impazzire i Fed Watcher (una categoria quanto e più fantasiosa dei nostri retroscenisti politici): il terzo mandato della Fed.

“Il Congresso ha saggiamente incaricato la Fed di perseguire la stabilità dei prezzi, il massimo livello occupazionale e moderati tassi d’interesse a lungo termine”, ha detto Miran. Ohibò, e questi “moderati tassi d’interesse a lungo termine”, da dove escono? Dai libri di testo sappiamo che una banca centrale influenza i tassi a breve, mentre quelli a lungo si muovono soprattutto per aspettative inflazionistiche e premio al rischio, su cui incide la credibilità della banca centrale.

Lo stesso Powell, in conferenza stampa, ha confermato il principio. La realtà è che la Casa Bianca e il suo Tesoro hanno in mente altro: probabilmente, controllare la parte a lunga scadenza della curva dei rendimenti, un po’ “alla giapponese”. Lo stesso Powell ha ribadito che la Fed è “pronta a preservare il regolare funzionamento della trasmissione della politica monetaria”, che è un po’ una formula magica che i banchieri centrali usano quando c’è di mezzo anche la politica, in senso lato.

Del resto, siamo in un periodo di ormai manifesta “dominanza fiscale”: i deficit persistono e si allargano, i soldi non bastano mai e i conservatori fiscali sono finiti nelle riserve indiane, dove potranno dedicarsi all’alcolismo per dimenticare la finaccia che hanno fatto.

Ove mai Trump riuscisse a forzare un maxi taglio dei tassi ufficiali, cioè quelli a breve termine, non motivato dalla congiuntura, i tassi a lungo termine aumenterebbero per aspettative inflazionistiche e aumento del premio al rischio di ridotta credibilità della Fed. A quel punto, Bessent suggerirebbe che la Fed deve controllare la parte a lunga scadenza della curva, comprandola. In quel modo, si ridurrebbe per magia l’onere della spesa per interessi, l’immobiliare ripartirebbe a razzo e gli investimenti pure. Ma non è meraviglioso, tutto ciò? Qualcuno, peraltro, potrebbe dire: “Embè, non è già accaduto col Quantitative Easing? Nulla si inventa”.

È qui la festa (per ora)?
Persino il mercato azionario, alla vista di tassi reali in calo, correrebbe a mettere la testa nel punch bowl, che la mitopoiesi sostiene fosse compito della Fed portar via nel bel mezzo della festa. Controindicazioni? Dipenderà dalle attese inflazionistiche. I mercati potrebbero svegliarsi improvvisamente, ricordarsi che è stata accesa la miccia del disordine monetario e iniziare a panicare invertendo la rotta anche sull’azionario e comprandosi altro oro e (forse) bitcoin.

Ma non precorriamo i tempi. Io credo si vada decisamente verso una fase in cui la Fed si “giapponesizza”, con o senza il bastone di Trump e dei suoi sicofanti, e “pilota” al ribasso i rendimenti di lungo termine, nominali e anche reali. Curioso, però: tutto ciò accadrebbe mentre la Bank of Japan sta cercando di “degiapponesizzarsi”, alzando i tassi ufficiali e lasciando salire i rendimenti di mercato. Il tutto ricordando che la BoJ è stata spinta dalla persistente deflazione dei tempi che furono, condizione che non si ravvisa negli USA. A meno di uno scoppio della bolla degli investimenti in AI, hai visto mai?

Una Fed contromano in autostrada rischia di essere uno spettacolo inizialmente inebriante e poi spaventevole. Ma ci sarà modo per discuterne.

In tutto ciò, una domanda oziosa: che ne penseranno gli elettori?

Mario Seminerio per Phastidio.net

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