Anno IX - Numero 15
Quando non si vuole fare i conti con le proprie cose si dovrà alla fine farli con i propri fantasmi.
Soren Kierkegaard

martedì 28 maggio 2024

La lezione antifascista di Matteotti oggi è più utile che mai

Il fantasma di Matteotti serve come guida per tanti sentieri diversi. Rendendolo uno dei protagonisti di “M. Il figlio del secolo”, Antonio Scurati ha reso un omaggio importante al principale antagonista nella strada della conquista del potere

di Christian Raimo

Ogni giorno migliaia di macchine a Roma si bloccano in un punto del lungotevere Arnaldo da Brescia, all’altezza della curva da cui poi si prende la salita del Muro Torto. Lì c’è un semaforo in cui puntualmente si crea un piccolo imbuto: molti automobilisti superano a destra per scavalcare la fila, le altre macchine suonano, rischiano ogni volta di tamponarsi. A tre metri da quel semaforo c’è un monumento in bronzo composto da una stele sinuosa e da una composizione informale. Somiglia a un gruppo di uomini stilizzati che urlano tra le fiamme. È la scultura che nel 1974 Jorio Vivarelli realizzò per il cinquantesimo anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti. Il punto dove venne collocata si trova poco distante dal luogo dove Matteotti il 10 giugno 1924, poco dopo le 16, venne sequestrato da un gruppo di sicari legati al fascismo – Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo – e caricato a forza su una Lancia Lambda.

Sono passato anche io centinaia di volta davanti al monumento a Matteotti senza fermarmi, né ci ho visto mai nessuno; ed è più probabile trovare bottiglie rotte e cartacce che fiori o biglietti accanto alle cinque piccole lapidi di commemorazione, una persino del Psdi.

La rappresentazione pubblica del fascismo è ancora così evidente a Roma – il ministero della marina a fianco ha una scritta su cui è scritto “Nil difficile volenti” e solo un chilometro e mezzo più a nord c’è l’obelisco con la scritta Dux – che è facile riesca ancora a nascondere e rimuovere la rappresentazione dell’antifascismo; l’unica ragione per cui recentemente si è parlato del monumento di Vivarelli è perché nel 2017 qualcuno l’ha sfregiato.

Idee e denunce
Dalle 16.30 del 10 giugno 1924 nessuno vide più vivo Matteotti. Tutto fa supporre che fu ammazzato pochi minuti dopo il rapimento, direttamente nella macchina. Il suo assassinio l’aveva profetizzato lui stesso – secondo la vulgata storica – dopo aver denunciato le violenze e i brogli che avevano portato alla vittoria del fascismo alle elezioni dell’aprile 1924. “Io il mio discorso l’ho terminato, ora preparate il discorso funebre per me”, è la frase che fa pronunciare Carlo Lizzani a Franco Nero nel film Il delitto Matteotti. La scena avviene alla fine dell’arringa in parlamento il 30 maggio di quell’anno, con Nero-Matteotti circondato dai (pochi) socialisti che lo sostenevano nella sua idea di opposizione più dura a quello che stava platealmente diventando un regime. “Uccidete pure me, ma non ucciderete mai le idee che sono in me” è la frase scritta su una delle lapidi davanti al monumento di Vivarelli.

È innegabile che Matteotti sia stato ucciso per le sue idee, ma soprattutto per le sue denunce. Comincia nel 1921 a raccogliere le informazioni sulle azioni delle squadracce; in una lettera di dicembre 1922 scrive a Filippo Turati che vuole metterle insieme per pubblicare un libretto. Meticolosamente annota tutto in un dossier che pubblica nel gennaio 1924 con il titolo Un anno di dominazione fascista, un’inchiesta che è anche il primo saggio militante sul fascismo per come lo intendiamo oggi. Nella parte iniziale ci sono le centinaia di citazioni dai comizi di Mussolini o dalla stampa fascista, Il Popolo d’Italia in primis, che incitano alla violenza squadrista; nella seconda quello che Matteotti stesso chiama “i fatti”.

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