di Pier Virgilio Dastoli
Come sanno i cultori del Trattato di Lisbona, la procedura per la formazione del «governo» europeo è stata il frutto di un compromesso fra i vari punti di vista espressi nella Convenzione sull’avvenire dell’Europa che andavano da un sistema presidenziale sul modello statunitense con l’elezione diretta del presidente dell’Unione allo stesso tempo delle elezioni europee a sistemi misti con poteri maggiori attribuiti o ai governi o al Parlamento europeo. Lo stesso dibattito si svolse nel Parlamento europeo durante l’elaborazione del «Progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea» del 1984 che optò per una formula bicamerale in cui il Consiglio europeo nomina il presidente della Commissione che forma a sua volta la Commissione che entra in funzione quando il Parlamento europeo avrà votato la fiducia in una situazione in cui il presidente del Consiglio non esercitava alcuna leadership.
Il Trattato di Lisbona prevede invece cinque tappe che coinvolgono il Consiglio europeo, il Consiglio, il Parlamento europeo e il presidente della Commissione con una inefficace diarchia fra quest’ultimo e il presidente stabile (per due anni e mezzo rinnovabili una sola volta) del Consiglio europeo che ha provocato soprattutto nella difficile convivenza fra Ursula von der Leyen e Charles Michel tensioni grottesche nelle relazioni esterne rese ancora più acute per il ruolo che il Trattato attribuisce all’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza. Nel 2013 l’allora presidente SPD del Parlamento europeo, Martin Schulz, propose di introdurre il metodo battezzato dallo stesso Schulz degli Spitzenkandidaten (da cui l’espressione in tedesco) che fu definito da Le Monde «une fausse bonne idée» e non è stato mai accettato dal Consiglio europeo. Un metodo che è stato apparentemente applicato per la presidenza Juncker frutto già prima delle elezioni europee del 2014 di un accordo fra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy e che è stato ignorato dal Consiglio europeo nel 2019 con la scelta di Ursula von der Leyen sulla base di un accordo fra la stessa Angela Merkel ed Emmmanuel Macron che impose il liberale Charles Michel alla presidenza del Consiglio europeo aprendo la strada al socialista David Sassoli per la presidenza del Parlamento europeo.
Consci della farraginosità della procedura di formazione del « governo » europeo, i negoziatori-diplomatici del Trattato di Lisbona suggerirono al Consiglio europeo e al Parlamento europeo di raggiungere un accordo sulle modalità di scelta del candidato alla presidenza della Commissione sulla base di una sorta di protocollo interistituzionale ma il Consiglio europeo e il Parlamento europeo si sono guardati bene dal tentare di accettare il consiglio dei negoziatori-diplomatici che era fondato sull’idea di una responsabilità comune delle due istituzioni.
Nel definire le modalità di elezione del presidente del Consiglio europeo nel suo nuovo ruolo di una funzione stabile il Trattato ha evidentemente escluso che egli (o ella) potesse mantenere un incarico nazionale ma non ha formalmente escluso la possibilità di una presidenza unica di Commissione e Consiglio europeo sostenuta nel Praesidium dal vicepresidente della Convenzione Giuliano Amato e dal membro francese della Convenzione Pierre Lequiller per evitare i rischi – poi apparsi in tutta evidenza in questi quattro anni – di una grottesca guerilla istituzionale e personale piuttosto che della coabitazione in salsa francese.
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