Anno IX - Numero 29
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Socrate

sabato 5 agosto 2023

Perché le Ai funzionino serve che le intelligenze umane facciano lavori noiosissimi

The Verge racconta i compiti ingrati e ripetitivi svolti dai lavoratori, spesso in paesi in via di sviluppo, per “educare” i software

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Da Dall·E a ChatGpt, negli ultimi mesi sono stati presentati al pubblico tantissimi nuovi software piuttosto complessi basati sul machine learning, ovvero su attività di apprendimento automatico dei computer a partire da milioni di dati, definiti genericamente intelligenze artificiali. Le aziende e gli individui che investono sullo sviluppo di queste tecnologie spesso ne parlano con toni tra l’enfatico e il profetico, sostenendo che nei prossimi anni la cosiddetta “intelligenza artificiale” renderà obsoleti tantissimi compiti o interi lavori oggi svolti da esseri umani. Nelle ultime settimane, però, diverse inchieste hanno esplorato un tema di cui le stesse aziende sembrano avere molta meno voglia di parlare: quello dei milioni di persone che svolgono lavori noiosi e spesso poco pagati per assicurare che quelle stesse tecnologie risultino utili e utilizzabili.
«L’attuale ascesa dell’intelligenza artificiale – i chatbot che suonano umani; le opere d’arte generate a partire da semplici suggerimenti; le valutazioni multimiliardarie delle aziende che lavorano a queste tecnologie – è stata resa possibile da un’impresa senza precedenti fatta di lavori noiosi e ripetitivi», ha scritto il giornalista Josh Dzieza in un approfondito articolo su The Verge.

Infatti, dopo anni di stasi nei tentativi di migliorare le reti neurali di riconoscimento delle immagini – una delle tecnologie che hanno reso possibili gli algoritmi che oggi chiamiamo “intelligenze artificiali” – il campo tornò a evolvere quando, nel 2007, la professoressa dell’università di Princeton Fei-Fei Li si rese conto che queste reti dovevano essere addestrate su milioni, e non soltanto decine di migliaia, di immagini. Tutte quelle immagini andavano però “etichettate” manualmente da esseri umani, ovvero descritte con un certo grado di dettaglio e secondo categorie specifiche in modo da essere rese leggibili dai computer.

Per farlo, la squadra di Li si rivolse a Mechanical Turk, una piattaforma appartenente ad Amazon che permette di reclutare persone in tutto il mondo e chiedere loro di completare piccoli lavori a distanza a basso costo. Il risultato di quegli sforzi fu ImageNet, un massiccio set di dati che contiene oltre 14 milioni di immagini, tutte annotate manualmente con descrizioni degli oggetti che rappresentano, divise in più di 200mila categorie. Il database, messo a disposizione gratuitamente online, è considerato centrale nel rapido sviluppo delle intelligenze artificiali degli ultimi anni.

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