di Andrea Inglese
Nelle pagine più intense e terrificanti di 1984, in una pausa tra le varie sessioni di tortura, a cui Smith, il protagonista del romanzo di Orwell, è sottoposto, avviene una cruciale conversazione tra lui e O’Brien, il dirigente del partito che si occupa della sua “rieducazione”. “We control matter because we control the mind” (Noi controlliamo la materia perché controlliamo la mente).
Solipsismo collettivo
Qualche paragrafo dopo, O’Brien lo definisce il metodo del “solipsismo collettivo”: se tutti dicono che una cosa non esiste, e sono convinti che quella cosa non esiste, nulla può far sì che collettivamente, che socialmente, quella cosa esista. Nella distopia orwelliana, è il partito che attraverso la manipolazione delle coscienze e il terrore impone ai suoi membri il solipsismo collettivo: è vero solo quello che esiste nelle coscienze, nella testa delle persone. Nulla conta di ciò che esiste in una pretesa realtà al di fuori di esse. Nelle democrazie attuali non sono escluse simili forme di solipsismo collettivo, ma esse hanno un valore rassicurante, fungono da allucinazione orchestrata, ma attraverso una concertazione a cui ognuno liberamente partecipa. I ministri dicono certe cose, i portavoce dei ministri le ripetono, e così pure i giornalisti della stampa e della televisione, e poi gli opinionisti, e infine la gente intervistata per strada: continuando a ripetere una cosa o negando la sua esistenza nel discorso, si fa in modo che essa appaia o scompaia secondo il flusso concertante.
Piano Macron per le periferie: Quartieri 2030
Nel 2016, in un incontro pubblico nei quartieri popolari a nord di Parigi (Seine-Saint-Denis), il candidato alla presidenza Emmanuel Macron evoca un progetto per le periferie, affinché i giovani possano emanciparsi e acquistare una libertà d’iniziativa, che appare congelata in quei territori. Passano sette anni, Macron è al secondo mandato presidenziale, ma nulla di decisivo appare su quel fronte. Ne è prova un appello pubblicato su “Le Monde” il 24 maggio di quest’anno e intitolato “Le periferie al limite dell’asfissia”. Il testo è firmato da una trentina di sindaci provenienti da diverse realtà politiche e invita il governo a mobilitarsi contro “la precarietà alimentare e l’innalzamento dei prezzi dell’energia”, e chiede finanziamenti consistenti per “il rinnovo urbano”. All’inizio di settimana scorsa (lunedì 26 giugno) Macron, in visita a Marsiglia, annuncia (finalmente) un piano per le periferie e i quartieri popolari, “Quartiers 2030”. L’annuncio è fatto nel contesto più appropriato: Marsiglia ha sofferto negli ultimi anni dell’inasprimento delle attività criminali (ammazzamenti tra bande rivali) e dell’emergenza connessa all’insicurezza abitativa (evacuazioni e crolli di edifici). Naturalmente, nel piano annunciato, una tematica è del tutto assente, ossia quella dei rapporti tra la gioventù di questi quartieri e le forze di polizia. Il problema non esiste, in quanto è stato ripetuto in tutte le occasioni, sia da uomini politici sia da opinionisti, che non c’è un problema di “sistema”, che l’istituzione poliziesca funziona a dovere, salvo in rari casi, che sono però puntualmente sanzionati. Qualsiasi affermazione che vada in senso contrario è considerata irresponsabile, persecutoria nei confronti delle forze dell’ordine e sediziosa sul piano politico. E soprattutto falsa. Il solipsismo collettivo, se collegialmente usato in una democrazia occidentale illustre come quella francese, ha forse una sua innegabile e benigna efficacia.
La vetusta realtà fa capolino
Il quotidiano di destra “Le Figaro” titola una settimana dopo l’annuncio presidenziale: “La polizia di fronte alla violenza barbara”. Nel giro di una settimana lo scenario appare radicalmente stravolto: periferie e quartieri popolari sono al quinto giorno di rivolte e scontri con le forze di polizia un po’ dappertutto in Francia, anche se l’epicentro riguarda i quartieri a nord di Parigi (Nanterre in particolare). In realtà la concertazione lessicale è un po’ disturbata: si parla di “sommosse”, ma il termine ha una connotazione politica che si vorrebbe immediatamente negare, lasciando spazio a termini di altro tipo: “devastazioni”, “saccheggi”, “vandalismi”. Difficile costruire un racconto condiviso di tale furia distruttiva. I soggetti che ne sono gli autori, in realtà, non hanno neppure la razionalità cinica e senza scrupoli del delinquente. Si tratta piuttosto di “barbari” e “selvaggi”, la cui condotta è completamente incomprensibile. Distruggono e bruciano il loro patrimonio di quartiere: negozi, vetture private, servizi e mezzi pubblici, scuole e centri sportivi, cinema e municipi. Poi se la prendono con quella polizia, che è l’istituzione perfettamente funzionante della repubblica. Rischiano nuovamente di essere uccisi, sfigurati, menomati, in tale scontro, che mobilita addirittura i corpi d’élite, quelli che intervengono in situazioni estreme, di cattura d’ostaggi, azioni terroristiche, ecc. E naturalmente si fanno fermare, malmenare, condurre in questura, incolpare e processare, anche se erano semplici spettatori di qualcosa, anche se non sono stati presi in flagranza di reato, anche se non esistono prove inequivocabili della loro partecipazione a qualche atto criminale. In un caso, però, giungono persino a dare fuoco alla casa di un sindaco, in cui vivono anche la moglie e due figli. Tutto ciò non ha alcun senso, e non può essere quindi che punito nel modo più severo possibile. Anche perché – come dicono sempre i giornalisti del “Figaro” – i danni arrecati sono enormi, quelli relativi ai beni mobili e immobili colpiti, ma anche quelli relativi all’immagine della Francia all’estero.
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