Anno IX - Numero 29
Tutte le guerre sono combattute per denaro.
Socrate

sabato 29 luglio 2023

Da icona a incognita. Lasciamoci sorprendere dall’innovazione

La X di Musk è inquietante, ma l’uccellino blu non se la passava bene 

di Carlo Alberto Carnevale Maffè*

Da icona a incognita. Ma l’equazione sul futuro di Twitter, con il cambio di logo della piattaforma social che ha seguito la fusione per incorporazione dell’azienda in “X Corp” già avvenuta nei mesi scorsi, non è poi così impossibile da risolvere. Per provare a interpretare l’ennesima mossa di Musk, peraltro ampiamente annunciata, possono essere utili tre chiavi di lettura: economica, tecnologica e socio-politica.
In termini economici, Twitter non poteva continuare come oggi, in quanto risultava non profittevole, nemmeno dopo la brutale cura dimagrante sui costi imposta dalla nuova gestione. Il crollo dei ricavi pubblicitari nei primi mesi del 2023, stimato in oltre il 50 per cento - dopo che il 2022 si era chiuso con la riduzione dell’11 per cento del fatturato rispetto all’anno precedente - ha azzoppato i conti dell’azienda, già appesantita dagli interessi passivi per l’enorme debito contratto per l’acquisizione.

Che Twitter non potesse più basarsi solo sui ricavi pubblicitari era stato chiarito da Musk fin dall’inizio. Tuttavia, la messa a punto di un nuovo modello di business si sta rivelando tutt’altro che semplice e rapida. Finora il processo di introduzione delle utenze certificate a pagamento non ha avuto il successo sperato: si stima (fonte: Similarweb) che dei quasi 400 mila account verificati originali, solo circa un terzo abbia scelto di sottoscrivere l’utenza a canone mensile. Perché un modello ad abbonamento possa arrivare a decine - o meglio centinaia - di milioni di utenti, con un canone mensile medio di 8/11 dollari, servono contenuti e servizi ben più ricchi dell’attuale offerta di Twitter: a confronto, lo sterminato catalogo video di Netflix vanta circa 240 milioni di sottoscrittori paganti con un canone medio mensile poco superiore a 11 dollari. E se non si vuole investire miliardi nello sviluppo di contenuti originali, serve creare gli incentivi corretti affinché siano gli utenti stessi a generare contenuti davvero attrattivi.

Twitter già ospita gran parte delle star mondiali dello spettacolo e dello sport, nonché un’ampia maggioranza di giornalisti e operatori dell’informazione: secondo il Pew Research Center, il 94 per cento di chi lavora nel settore news utilizza Twitter per lavoro. Ma l’attuale versione non offre ai potenziali influencer gli adeguati strumenti di monetizzazione del proprio lavoro, come invece fanno con notevole successo YouTube, Instagram e TikTok: si tratta di piattaforme che privilegiano i contenuti video, rispetto al tradizionale predominio di informazioni testuali proposto da Twitter. Ed è ben noto che la lettura è più faticosa e molto meno popolare del consumo di video.

Se invece si vuole limitare il canone mensile o estrarre valore dagli utenti in altro modo, è necessario sfruttare le economie di scopo e proporre agli account servizi di natura finanziaria, come ad esempio pagamenti e/o borsellini elettronici di deposito e risparmio. Ma tutto questo richiede un radicale ripensamento nell’architettura della piattaforma. E qui serve la seconda chiave di lettura, quella tecnologica.

Per poter competere nel nuovo contesto, Twitter avrà bisogno di integrare diversi layer tecnologici: content management multimediale, modelli di elaborazione del linguaggio naturale basati su intelligenza artificiale e sistemi di pagamento con wallet multi asset. Senza la capacità di gestire non solo video, ma anche gaming interattivo e realtà aumentata/virtuale, nessuna piattaforma di social media può pensare di attirare le nuove generazioni di utenti. Per assicurare un adeguato servizio di moderazione ad alta efficienza e a basso costo, oltre che per profilare gli utenti e alimentare un efficace motore di raccomandazioni, l’intera piattaforma dovrà convergere in una vasta base di conoscenza multi-linguaggio (testi, immagini, video, musica, avatar, ecc.) tramite la quale alimentare sistemi di intelligenza artificiale generativa, in grado sia di interagire direttamente con gli utenti sia di produrre contenuti originali e personalizzati su richiesta. Il tutto dovrà essere integrato con soluzioni finanziarie per pagamenti e gestione di wallet, in particolare per cripto asset, troppo prematuramente dichiarati estinti da analisti alquanto superficiali.

L’esperienza maturata da Musk su questi fronti, da PayPal a OpenAI, segnala che non si tratta di ipotesi pellegrine né di improvvisi colpi di testa. Questa prospettiva dovrà tuttavia affrontare significativi ostacoli regolatori per riuscire a entrare nel mercato finanziario occidentale, specie se oltre ai pagamenti - che godono già di un contesto di ampia interoperabilità e contendibilità - vuole offrire servizi tipicamente bancari come la gestione del risparmio, come ha già iniziato a fare Apple. Il tutto in uno scenario di probabile accelerata introduzione delle Cbdc (central bank digital currencies), sia nell’area dollaro sia in quella euro.

C’è infine la chiave di lettura socio-politica, che Musk ha sempre abilmente - e certo anche strumentalmente - utilizzato per tenere alta l’attenzione sulle proprie iniziative imprenditoriali e che comunque ha sempre caratterizzato il posizionamento di Twitter, che è storicamente il meno tecnologico e il più “politico” dei social media globali.

Le centinaia di milioni di account dell’usignolo sono state finora come le azioni per Enrico Cuccia: bisognava pesarle, e non solo contarle. Twitter costituisce un crocevia dell’influenza politica un po’ in tutto il mondo: si stima che siano presenti l’83 per cento dei leader mondiali. Secondo una ricerca Pew, politici e figure istituzionali o amministrative costituiscono meno dell’uno per cento degli account negli Stati Uniti, ma rappresentano il 20 per cento delle utenze più seguite.

Con il rebranding e l’ampliamento dei servizi preannunciati da Musk, Twitter punta ambiziosamente ad acquisire una centralità funzionale e sociale sempre più ampia, analoga a quella che ha saputo conquistare WeChat in Cina, qualificandosi come megafono di idee e al contempo macchina di profilazione dei comportamenti sociali e gestione del consenso. Che poi quella “X” del nuovo simbolo suoni vagamente inquietante, specie per chi è un fedele cinguettatore fin dai primi vagiti del pennuto californiano, è probabilmente vero. Ma guai a trasformare il Celeste Usignolo in un vitello d’oro: i twitteri più affezionati resistano alla tentazione di costruire tre rassicuranti tende tecnologiche, e rintanarsi sotto quella di Elia, nella nostalgia di un impossibile ritorno ai 140 nudi caratteri della versione originale.

I social media hanno finora contribuito a cambiare il mondo, nel bene a e anche un po’ nel male. Proviamo a lasciarci sorprendere, ancora una volta, dall’innovazione. 

* giornalista pubblicista, membro dell'editorial board di «Harvard Business Review Italia», commentatore economico per il gruppo Mediaset, è docente di Strategia presso la Scuola di Direzione Aziendale dell'Università Bocconi.

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