Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

martedì 3 luglio 2018

Il sorteggio salverà la democrazia?

Con una delle sue provocazioni, Beppe Grillo ha proposto di designare i membri del Senato mediante un sorteggio e non con le elezioni. Il sorteggio fu in effetti a lungo lo strumento privilegiato dalle democrazie antiche e dalle repubbliche medievali, che diffidavano delle elezioni, ritenute strumenti destinati a favorire i gruppi sociali più abbienti. Anche di recente varie voci hanno sostenuto l'opportunità di integrare i meccanismi elettivi con il ricorso al sorteggio, e alcune sperimentazioni hanno tradotto in pratica (con molti limiti) questa idea

di Damiano Palano
Una battuta di spirito attribuita a Clement Attlee dice che la democrazia è il governo attraverso la discussione, ma che il governo può effettivamente attuarsi solo se a un certo punto si riesce a far smettere le persone di parlare. Al di là del sarcasmo, la frase di Attlee coglie la tensione strutturale tra la partecipazione e la decisione che caratterizza la forma democratica, e che per molti versi ne garantisce la vitalità. Secondo molti osservatori dei nostri sistemi politici proprio la relazione tra questi due elementi sembra oggi entrare in crisi. Per un verso, molti segnali testimoniano la crescita della sfiducia dei cittadini non tanto verso la forma democratica, quanto verso la classe politica, i suoi leader e i partiti. Per l’altro, gli strumenti a disposizione dei governi sembrano sempre più inadeguati a controllare e regolare i flussi di un mondo globalizzato. Se più o meno tutti gli studiosi sono concordi nel rilevare i sintomi del «disagio» delle nostre democrazie, le opinioni sono però molte diverse a proposito del riconoscimento delle cause profonde del processo. E naturalmente sono abissalmente distanti soprattutto le soluzioni proposte per rivitalizzare le istituzioni democratiche.

In questo fitto dibattito si inserisce anche Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico (Feltrinelli, pp. 158, euro 14.00), un pamphlet del saggista e poeta belga David van Reybrouck, già noto in Italia per il reportage Congo(Feltrinelli). La tesi di van Reybrouck è in fondo molto semplice (e probabilmente semplicistica). Secondo la sua lettura, la «sindrome da stanchezza democratica» è causata principalmente dal fatto che la democrazia rappresentativa odierna si basa esclusivamente sulle elezioni. «Abbiamo ridotto la democrazia a una democrazia rappresentativa e la democrazia rappresentativa a delle elezioni», scrive per esempio l’intellettuale belga. Se fino a qualche decennio fa le elezioni erano il «combustibile fossile della politica», ora la situazione sembra infatti almeno parzialmente cambiata. In primo luogo, la logica della ‘campagna permanente’ induce i leader politici a pensare alle prossime elezioni, più che all’efficacia della propria attività di governo. Inoltre, la legittimità degli attori politici – esposti costantemente sotto la luce dei riflettori – tende a diventare sempre più fragile. E così una democrazia che si basi ‘soltanto’ sulle elezioni rischia di diventare, al tempo stesso, meno efficiente e meno legittima.
L’aspetto più controverso del pamphlet di van Reybrouck consiste però nella proposta di reintrodurre il sorteggio come criterio per selezionare i rappresentanti politici. A differenza di quanto facciamo oggi, nell’Atene democratica del V secolo a.C., l’elezione era considerata uno strumento quasi inevitabilmente oligarchico. Al contrario, l’estrazione a sorte dei magistrati era concepita come lo strumento in grado di consentire la legittimità e l’efficacia degli organi politici: perché garantiva una reale rappresentanza della base sociale, perché impediva la concentrazione del potere in gruppi ristretti, e perché rendeva possibile la partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere.

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