di Alessio Celant
La postura della nuova amministrazione statunitense nei confronti del Canada si è rivelata da subito contradditoria e ostile: durante l’inaugurational address Trump lo ha definito il 51° Stato americano, appellandosi all’allora primo ministro Justin Trudeau con il termine “Governatore” minimizzandone il ruolo. Successivamente, il Tycoon ha accusato Ottawa di favorire l’introduzione di oppioidi in Usa; cosa difficilmente credibile in quanto il traffico illegale di Fentanyl interessa quasi totalmente il confine meridionale con il Messico: nel 2024, alla dogana settentrionale sono stati confiscati solo 43 libbre di tale sostanza, a fronte delle 21.000 prelevate a sud. In aggiunta, il Canada è stato il primo Paese ad essere colpito da pesanti dazi (25% sulla quasi totalità dei beni, fatta eccezione per le risorse energetiche gravate del 10%), poiché incolpato di “arricchirsi” sulle spalle del popolo americano e di adottare una politica commerciale scorretta in relazione alle elevate tariffe canadesi sui prodotti caseari, tra l’altro concesse dall’accordo commerciale “United States-Mexico-Canada Agreement” (Usmca).
Sebbene la cooperazione tra Canada ed Usa sia ancora stretta in alcuni settori, Mark Carney, per legittimare la sovranità, nonché l’identità canadese, si è esposto duramente nei confronti di Donald Trump sancendo la fine, o il ridimensionamento, dei rapporti economici e militari tra i due Stati. Il neo Primo Ministro, dopo la recente vittoria elettorale, ha anche affermato di voler costruire nuove alleanze durature con altri leader occidentali, tra i quali Australia, Gran Bretagna e soprattutto Unione Europea. Infatti, in un sondaggio condotto a fine febbraio ha evidenziato che il 44% dei cittadini canadesi sarebbe favorevole ad un ingresso in Ue; malgrado sia difficilmente realizzabile, tutto ciò fa pensare ad un rafforzamento dei rapporti su più fronti tra i due partner.
Le opportunità commerciali
Il solido legame commerciale tra Canada e Vecchio Continente è dovuto al “Comprehensive Economic and Trade Agreement” (Ceta), accordo entrato in vigore nel 2016 che abbatte i dazi sul 98% della merce esportata e ha incrementato gli scambi totali del 65% in 6 anni; più specificatamente, nel 2023, il commercio combinato tra i due partner ha raggiunto un valore di 157,3 miliardi di dollari e, secondo gli ultimi dati disponibili, le filiali canadesi delle aziende europee impiegano 439.397 lavoratori. Tra i prodotti maggiormente importati dal “Paese della foglia d’acero” figurano macchinari, prodotti agricoli e farmaceutici; noi europei, invece, acquistiamo per lo più beni strategici: si tratta di risorse naturali ed energetiche i cui criteri sono regolati dal partenariato strategico Canada-UE sulle materie prime e sull’energia, volto a costruire nuove supply chain e promuovere la sicurezza energetica attraverso fonti pulite. Il Ceta, oltre a dare un impulso al commercio, ha posto le basi per una crescita economica comune, incentivando flussi di capitale canadese in Ue e viceversa, per un totale di 445 miliardi dollari, orientati in settori mirati e con ampie prospettive di crescita come quello aerospaziale, farmaceutico, energetico e minerario.
In risposta alla politica doganale statunitense, questa fitta rete di interessi commerciali e finanziari con l’Europa può rappresentare per Carney una solida base su cui costruire una partnership maggiormente integrata, basata sulla condivisione di obiettivi e valori comuni, nonché maggiormente orientata sulla componente strategica, vista la natura dei beni scambiati. Le barriere ideologiche e culturali tra le due parti sono poche, in quanto condividono molte posizioni: entrambi condannano l’invasione russa in Ucraina, sono favorevoli alla transizione ecologica, promuovono un’economia mista basata sul “Welfare” e soprattutto sono in cerca di un alleato affidabile in Occidente.
L’Economist, infatti, scrive: “All’Europa servono spazio e risorse, mentre al Canada le persone. Possono iniziare a trattare”. Non a caso, Ottawa è il terzo detentore mondiale di riserve petrolifere (173 miliardi di barili) e 4° produttore di gas naturale; risorse di cui il Vecchio Continente ha costante bisogno, pertanto un serio impegno su questo fronte ci permetterebbe di ridurre la dipendenza energetica con i Paesi del Golfo e la Russia. D’altro canto, l’idea di un mercato di merci e capitali libero risulta essere molto allettante per i canadesi poiché darebbe un impulso all’economia interna sicuramente svantaggiata da fattori geografici, ambientali e demografici, ma caratterizzata da una scarsa competitività: basti pensare che le imprese multinazionali straniere rappresentano meno dell’1% delle aziende totali, ma sono responsabili del 12% dell’occupazione totale e del 15% del Pil canadese (dati al 2021).
Le premesse per una cooperazione efficace e duratura ci sono, tuttavia è evidente che questo processo di integrazione economica debba essere accompagnato da una riforma più ambiziosa del “Ceta” e da una rivisitazione dei partenariati strategici che prevedano un piano di azione comune in più settori chiave. Inutile citare, poi, anche la necessità di uno sviluppo infrastrutturale che effettivamente permetta un massiccio scambio di risorse energetiche visto che ad oggi non sono presenti gasdotti e oleodotti che colleghino Canada ed Ue direttamente.
Un avvicinamento strategico e militare
Dal punto di vista strategico, invece, le relazioni bilaterali sono coordinate dal “Joint Ministerial Committee“ (Jmc) che riunisce il Ministro degli Affari Esteri canadese e l’Alto Rappresentante dell’Ue per gli Affari Esteri in materia di politica estera e sicurezza transatlantica. Il Jmc ha lo scopo di delineare gli obiettivi comuni, supervisionare i trattati e fornire una direzione politica su temi globali. L’azione di questo comitato non solo ha permesso il raggiungimento dell’accordo “Ceta”, ma anche un rafforzamento della cooperazione militare parallela alla Nato: nel 2022 il Canada è entrato a far parte del progetto “Military Mobility”, che, in primis, punta a migliorare e facilitare la logistica militare per operazioni in Europa ed, in secondo luogo, consentirà una maggiore interoperabilità tra le truppe canadesi ed europee.
Inoltre, sempre in tema di difesa comune, secondo il New York Times Canada e Ue stanno discutendo i dettagli di un coinvolgimento nordamericano nella produzione militare di sistemi europei come il Saab Gripen, un jet concorrete dello statunitense F-35, fabbricato dalla Lockheed Martin. Una maggiore indipendenza militare dalla Nato e dagli Stati Uniti è parte integrante del “Rearm Europe Plan” e il Canada, ricco di materie prime e di un comparto industriale con alte prospettive di crescita, può rivelarsi un alleato chiave. D’altro canto, Carney godrebbe di un accesso privilegiato al mercato europeo per l’equipaggiamento militare, determinante per incrementare la spesa destinata agli armamenti richiesta dalla Nato.
Il giogo degli Usa
Non c’è dubbio che la postura di Trump nei confronti degli alleati abbia dato un impulso alla cooperazione strategica tra questi due partner, fortemente intenzionati a ridurre il grado di dipendenza nei confronti degli Stati Uniti; tuttavia, si tratta di attori che per troppo tempo hanno fatto affidamento sui mezzi dello “Zio Sam” e che adesso si ritrovano rallentati e disuniti nel reagire alle mosse del Tycoon. Per citare un esempio: un basso sviluppo infrastrutturale e un carente incentivo alla specializzazione economica hanno fatto sì che in Canada le esportazioni verso gli Usa siano più alte rispetto agli scambi tra regioni interne e che le importazioni di beni di consumo dall’America siano pari al 35% di quelle totali. Con l’imposizione dei dazi e il loro effetto destabilizzante, è evidente che Ottawa sia alla ricerca di nuove possibilità oltreoceano, ma difficilmente, nel breve periodo e senza ingenti investimenti, Bruxelles riuscirà a porsi come suo principale fornitore e cliente. Aldilà della componente commerciale, il Vecchio continente non dispone ancora degli strumenti geopolitici per offrire a Carney un’alternativa funzionale all’influenza statunitense: difesa, tecnologia, soft power e supply chain strategiche sono ancora più che saldamente in mano a Washington.Ad oggi, quindi, il rafforzamento dei legami tra Canada e Unione Europea, sebbene condividano valori comuni e mostrino una crescente sintonia, rappresenta più una strategia complementare che una vera alternativa all’asse con gli Stati Uniti, sottolineando come le aspirazioni di autonomia strategica debbano ancora confrontarsi con la persistente asimmetria di potere all’interno dell’Occidente. Ciononostante, Il rapporto è destinato a svilupparsi e approfondirsi in considerazione della crescente competizione con gli Stati Uniti.
Alessio Celant per Geopolitica.info
Nessun commento:
Posta un commento