di Mario Seminerio
Si dice che Donald Trump consideri l’andamento di borsa come l’indicatore del successo della politica economica presidenziale. Solo della sua, visto che durante la presidenza di Joe Biden ha sempre vaticinato crolli di borsa che mai sono avvenuti, anzi. A un certo punto, per trovare una spiegazione all’andamento rialzista del mercato, il suo narcisismo patologico se ne è uscito dicendo che si trattava dell’anticipazione del suo ritorno alla Casa Bianca.
Il suo amico geniale, al secolo Elon Musk (il supereroe noto anche come Ketaman), è impegnato a tagliare la spesa pubblica e liberare risorse. Finora, al netto del teatro e della cacciata di personale federale in periodo di prova, oltre che dell’assassinio dell’agenzia di cooperazione internazionale, Usaid, e di quella posta a tutela dei risparmiatori (Consumer Financial Protection Bureau, Cfpb), i numeri non sono da libri di storia.
Risparmi enormi, oppure no
Il sito di Doge sostiene che sono stati risparmiati 65 miliardi di dollari mentre l’analisi delle voci di risparmio ridimensiona il conteggio a meno di dieci miliardi. Qualcuno afferma che si tratta comunque di un risultato importante perché, a solo un mese dell’insediamento del Trump 2, i tagli sono in corso e non siamo alla mera fase di elaborazione teorica dei medesimi, quella che in passato produceva ponderosi libri bianchi rapidamente archiviati.
Ma è altrettanto evidente che raggiungere l’obiettivo di tagli di Musk, peraltro dimezzato a mille miliardi di dollari, non potrà avvenire esclusivamente tagliando personale federale in periodo di prova o dando a bere agli elettori che ci sono decine di milioni di beneficiari della Social Security che hanno un paio di secoli di età o sono inesistenti.
Il grosso della spesa federale, come sappiamo, sta nella Social Security, nel Medicare e nel Medicaid. Oltre che alla voce interessi sul debito. Che potrebbe scendere in caso Trump ordinasse alla Federal Reserve di trasformarsi in una banca centrale da stato centrafricano o sudamericano, oppure in conseguenza di tagli di bilancio con crescita preservata e rilanciata.Leggi anche: Le radici del deficit statunitense
A questo proposito, come segnala Bloomberg, pare che Musk abbia puntato gli investitori obbligazionari. Durante uno dei suoi flussi di coscienza su X, a inizio febbraio, ha detto:
Attualmente, i mercati obbligazionari non riflettono i risparmi che sono certo possiamo raggiungere. Se stai vendendo allo scoperto le obbligazioni, penso che tu sia dalla parte sbagliata della scommessa.
Quindi, l’idea di Musk è che il taglio di spesa deve tradursi in un tale miglioramento dei conti da indurre i mercati a ridurre i rendimenti e la Fed a essere conseguente, tagliando i tassi ufficiali. Ma per ora, e in attesa che i Repubblicani del Congresso mettano nero su bianco i numeri veri del disegno di legge di bilancio che deve anche tagliare le tasse, i tagli di Musk non si presentano come decisivi, al netto del teatro e dell’ego debordante.
Sentiment depresso
Ma i rendimenti sul dollaro hanno in realtà preso a scendere, di recente. Forse che i mercati si sono convinti che Musk raggiungerà i numeri monstre di taglio della spesa? Oppure altro? A dirla tutta, la discesa dei rendimenti e l’andamento incerto e nervoso di una borsa che ha toccato livelli storicamente altissimi, possono essere dovuti al fatto che si inizia a temere che l’incertezza per le mosse di Trump finirà col deragliare la crescita promessa dall’ondata di deregulation trumpiana.
I sondaggi evidenziano un forte aumento delle aspettative inflazionistiche dei consumatori. Il sentiment index dell’Università del Michigan si è affossato a gennaio, e le aspettative di lungo termine di inflazione (quelle a 5-10 anni) sono balzate al 3,8 per cento, ai massimi dal 1995. Non solo: le aspettative di inflazione nei prossimi 12 mesi sono schizzate al 4,3 per cento, massimo da novembre 2023.
Forte polarizzazione nel campione intervistato, con elettori Repubblicani in estasi da inflazione zero e Democratici e indipendenti molto preoccupati. Tutti i cinque componenti dell’indice sono deteriorati, inclusa un peggioramento delle condizioni di acquisto per i beni di grande valore. Più della metà dei consumatori nel sondaggio si aspetta che il tasso di disoccupazione aumenti il prossimo anno, il valore più alto dal 2020.
Negatività reiterata ieri, alla pubblicazione del dato di fiducia dei consumatori di febbraio elaborato dal Conference Board, sceso di quasi il 7 per cento in un mese e oltre le attese. “Le opinioni sulle attuali condizioni del mercato del lavoro si sono indebolite. I consumatori sono diventati pessimisti riguardo alle future condizioni economiche e meno ottimisti riguardo al reddito futuro,” ha osservato una senior economist dell’istituto. “Il pessimismo riguardo alle prospettive occupazionali future è peggiorato e ha raggiunto un massimo da dieci mesi.” Il campione sondato ha un’aspettativa media di inflazione al 6 per cento, entro dodici mesi.

Mercato azionario preoccupato
Data questa situazione, il mercato azionario non poteva non essere colto da preoccupazioni. Una applicazione estensiva delle tariffe avrebbe un forte impatto inflazionistico. Anche se c’è chi, come il Segretario al Tesoro Scott Bessent, si è già iscritto al nuovo “Transitory Team” affermando che non c’è nulla di più temporaneo di un aumento dei prezzi dovuto ai dazi, le cose stanno in modo meno semplice e semplicistico: dalle aspettative che inflazione guidi inflazione al colpo sui bilanci di famiglie che dispongono sempre meno di risparmi, se non sono agiate.
Ma quindi è vero quello che dicono alcuni osservatori, come quelli di BlackRock, che sostengono che sarà il mercato a disciplinare Trump e contenere i suoi eccessi? Io sarei incline a pensarla allo stesso modo anche perché oggi nessuno sulla terra, neppure il presidente aspirante autocrate della prima superpotenza planetaria, potrebbe invertire d’imperio un’ondata ribassista sui mercati finanziari.
Mercati statunitensi, ricordiamolo, che sono talmente costosi, in termini di multipli, da essere molto vulnerabili a cambi di scenario. La discesa dei rendimenti che osserviamo in questi giorni potrebbe essere l’aumentata probabilità di hard landing, causato da incertezza e vera e propria paralisi che coglierebbe famiglie e imprese di fronte all’azione di Trump.
Si noti che non c’è necessariamente contraddizione tra aumento delle aspettative inflazionistiche e calo dei rendimenti, se il secondo domina il primo nel senso che si sconta che l’economia si impianti. A quel punto, l’inflazione sarebbe effettivamente transitoria nel senso che sarebbe da costi e non da domanda, e la conseguente recessione la “curerebbe” da sola. Ma prima di allora, l’espansione sarebbe ammazzata da una stagflazione.
Assalto della (e alla) realtà
Riguardo alle grandi voci di spesa pubblica, Trump ha di recente espresso il desiderio di avviare un dialogo con Cina e Russia per contenere quella per la Difesa, dopo la spartizione delle sfere di influenza globale. Ricordiamo poi che, durante la sua prima presidenza, Trump aveva espresso l’intenzione di negoziare a muso duro con Big Pharma per contenere la spesa sanitaria. Vedremo se e come riuscirà nell’intento ma nel frattempo teniamo d’occhio gli sviluppi sulle tariffe e tutta l’incertezza che ciò porta con sé. Perché è quello che potrebbe determinare l’arresto della crescita americana.
A quel punto, Trump potrebbe sfogare la sua frustrazione immaginando un assalto alla realtà in stile Capitol Hill, che potrebbe prendere qualsiasi forma. Probabilmente passando dapprima dalla Federal Reserve e tentando poi il colpo finale a ciò che resta della democrazia americana.
Nel frattempo, il zelante Scott Bessent si porta avanti, con la più frusta e lunare delle motivazioni, guardando i numeri: #hastatoBiden. La famosa recessione del settore privato in pieno boom di occupati.
Mario Seminerio per Phastidio.net
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