Anno X - Numero 9
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Seneca

venerdì 28 febbraio 2025

Linea Adriatica, la «dorsale del gas» che spaventa i cittadini

Il suo progetto circola dal 2004 ma dal 2022 è considerata dal governo tra le opere chiave per rendere lItalia uno snodo del gas europeo, come vorrebbe Meloni. I comitati temono però il rischio sismico e lo spreco di fondi pubblici

di Margherita Capacci, Cecilia Fasciani e Sofia Turati

«La Linea Adriatica è uno dei più importanti progetti italiani di trasporto del gas mai realizzati, il maggiore degli ultimi dieci anni». La descrizione è di Snam, la società di infrastrutture energetiche controllata dal Gruppo Cassa Depositi e Prestiti incaricata della sua realizzazione. Nel logo di “No hub del gas”, una rete di comitati locali contrario all’opera a cui appartengono cittadini di diverse regioni italiane, il gasdotto appare invece come una specie di lombrico con i denti aguzzi. «Il mostro dell’Appennino», lo chiamava Left in un articolo del 2017.

Secondo Snam e secondo gli ultimi governi, però, non c’è nulla da temere: la Linea Adriatica sarà centrale sia per l’approvvigionamento del gas in Italia e in Europa sia in ottica di transizione energetica. «Il suo obiettivo – prosegue Snam nella descrizione sul sito – è incrementare di dieci miliardi di metri cubi all’anno la capacità di trasporto del metano lungo la direttrice sud-nord». Secondo i comitati, invece, l’opera fa paura perché attraversa zone ad alta pericolosità sismica e rischia di essere solo un inutile spreco di soldi pubblici.

Un progetto nato vent’anni fa
Composta da 687 chilometri di tubi posti a cinque metri di profondità, la Linea Adriatica, quando completata, collegherà Massafra, in Puglia, a Minerbio, in Emilia Romagna. È suddivisa in cinque tratte, autonome tra loro. Due di queste, tra Puglia e Molise, sono già operative, una dal 2012 e l’altra dal 2016. Le altre tre sono state autorizzate dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase) tra il 2015 e il 2024. L’opera vale nel suo complesso 2,5 miliardi di euro, di cui 375 milioni finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per la centrale di compressione di Sulmona, in provincia de L’Aquila, a poco più di metà del percorso.

Il progetto della Linea Adriatica è nato nel 2004. All’epoca si parlava di distribuire gas fornito dal Nord Africa mentre oggi una delle fonti di approvvigionamento principali, l’unica che in previsione dovrà aumentare nei prossimi anni l’export verso i Paesi europei, è il giacimento di Shah Deniz in l’Azerbaijan, il cui gas entra in Italia a Melendugno, in Puglia, attraverso la Trans adriatic pipeline (Tap), ultimo tratto del Corridoio meridionale del gas (Scg).

Inizialmente prevista come un’infrastruttura costiera, la Linea Adriatica è poi stata deviata lungo la dorsale appenninica, prima nel 2005 poi nel 2011.

«L’entroterra appenninico è composto da piccoli nuclei abitativi con una popolazione ridotta e in forte trend di spopolamento, provata dai terremoti degli ultimi 15-20 anni – spiega a IrpiMedia Enrico Stagnini, già direttore di Legambiente Abruzzo –. Per Snam è più conveniente far passare il gasdotto qui, piuttosto che lungo la costa, dove la popolazione è più numerosa, meglio organizzata e con una massa critica maggiore». Interrogata sul punto, Snam replica che «la modifica del percorso risponde a criteri di opportunità e adeguata pianificazione, anche alla luce di ulteriori valutazioni fatte».

Il Comune di Sulmona (AQ), che si trova circa a metà del tragitto, non ci sta però a essere attraversato dal progetto Linea Adriatica. Secondo l’ultima relazione finanziaria di giugno 2024 di Snam, l’amministrazione comunale ha aperto due contenziosi contro la società: il primo davanti al Tar dell’Abruzzo per la centrale di compressione, nell’ottobre del 2023, in cui impugna la Valutazione d’impatto ambientale (Via) – la procedura con cui si prevedono gli effetti di un progetto su ambiente, salute e benessere umano – del 2013. La seconda, invece, pende di fronte al Consiglio di Stato da aprile 2024: chiede l’annullamento della Via del 2011 di un tratto specifico dell’opera, quello tra Sulmona e Foligno.

«Riteniamo che tra l’emissione della Via e le tempistiche per l’apertura dei lavori non rispettate ci sia una discrepanza troppo ampia – spiega Piero Di Paolo, avvocato e membro del comitato “No hub del gas” –. Sono passati tredici anni».

Negli anni, durante varie Conferenze di servizi – gli incontri tra pubbliche amministrazioni a più livelli per facilitare le pratiche di autorizzazioni, licenze e permessi – le due Regioni Abruzzo e Umbria avevano espresso parere contrario all’opera nel suo complesso, evocando soprattutto il rischio sismico. Poi però è intervenuto il governo per sbloccare l’iter di realizzazione.

Dall’invasione russa dell’Ucraina del 2022 è diventato prioritario diversificare le forniture energetiche dell’Italia. Il 6 ottobre del 2022 il consiglio dei ministri dell’allora governo Draghi ha deciso di conseguenza di superare per decreto i dinieghi imposti dalle amministrazioni locali a un tratto della Linea Adriatica, uno degli otto progetti sbloccati nell’occasione. Nel 2023, il governo Meloni ha poi inserito la Linea Adriatica nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), documento redatto la prima volta nel 2020 in cui si indicano le priorità italiane per la transizione energetica da qui al 2030.

Nel testo la Linea Adriatica è ritenuta un «intervento indispensabile per poter incrementare i flussi verso il nord Europa». «È un’opera fondamentale – ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in occasione della cabina di regia del Pnrr del giugno 2024 – anche nel quadro di quella che sapete essere una priorità del governo: rendere l’Italia l’hub di approvvigionamento energetico dell’intero continente, sfruttando la nostra straordinaria posizione geografica di piattaforma nel Mediterraneo».

«Pronta per l’idrogeno» o «inutile»?
Mario Pizzola fa parte del comitato “No hub del gas” dal 2004 e conosce le bellezze della Valle Peligna come le sue tasche . Si trova vicino al cantiere per la centrale di compressione di Sulmona, proprio alle pendici del Morrone, oggi circondato da cartelli che segnalano lavori in corso e dalle inconfondibili reti arancioni.

«Insistiamo soprattutto su un punto: quest’opera non serve – sostiene –. Il progetto è nato venti anni fa, e oggi i dati sul consumo del gas ci dicono che le infrastrutture presenti nel Paese sono già abbastanza».

I dati sul consumo di gas in Italia indicano in effetti una discesa da una media di 73.366 miliardi di metri cubi tra il 2016 e il 2021 a 61.695 miliardi nel 2024.

«Le nuove infrastrutture, tra cui la Linea Adriatica, sarebbero necessarie solo se la domanda si mantenesse ai livelli del 2023 – racconta Francesca Andreolli, coautrice di Lo stato del gas: quali infrastrutture servono all’Italia?, report del think tank italiano sul cambiamento climatico e le politiche energetiche Ecco –. Ma con una domanda in calo, queste opere diventano superflue». Andreolli sottolinea inoltre che la riduzione della domanda è un trend inarrestabile, non solo in Italia ma anche in Europa. È dunque fuorviante auspicarsi che il gas non consumato in Italia possa essere venduto ad altri Paesi europei. Mentre scende la domanda di gas, sale quella delle fonti alternative, con le rinnovabili che oggi pesano per il 24,5% della domanda con l’obiettivo di superare il 40% nel 2030.

La Linea Adriatica, però, come il rigassificatore che sarà spostato da Piombino a Vado Ligure, conviene alla società che la realizza e la gestisce, Snam, anche nel caso rimanesse sottoutilizzata. Per due ordini di motivi: il primo è l’applicazione del meccanismo del “ricavo regolato (o remunerato)”, cioè una forma di finanziamento pubblico stabile, regolato dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) a prescindere dall’utilizzo di una singola infrastruttura ma sulla base del valore complessivo dei beni di cui dispone l’operatore, cioè Snam in questo caso.

Questo punto è molto criticato da organizzazioni non governative e attivisti. Il secondo invece lo adduce Snam quando parla, nella relazione integrativa sul progetto Linea Adriatica del novembre 2022, di una grande utilità dell’opera in «un’ottica di più lungo periodo». Il gasdotto può essere riadattato (repurposing è il gergo tecnico inglese) per trasportare non solo il gas naturale ma anche molecole decarbonizzate come biometano e idrogeno, «in quanto (l’infrastruttura è, ndr) realizzata con materiali hydrogen-ready», spiega Snam a IrpiMedia.

Come altri operatori, Snam assicura della facile realizzabilità di questo adattamento. Come già raccontato da IrpiMedia, però, ci sono vari ostacoli tecnici affinché questa possibilità si realizzi. Il primo è legato alla sicurezza dell’impianto: l’idrogeno dovrebbe transitare nel gasdotto miscelato con il gas, ma non potrà superare una quota del 10-15% per non danneggiare le tubature, secondo diverse ricerche scientifiche.

«Le linee di trasporto vengono chiamate hydrogen-ready ma poi la percentuale di idrogeno che trasportano è comunque molto bassa», commenta Andreolli. Il secondo problema è invece di natura “logistica”: avverte Andreolli che quando si parla di idrogeno, ci si riferisce all’idrogeno verde, la cui produzione è ancora complessa. Per essere davvero verde, infatti, deve essere prodotto al 100% da fonti rinnovabili le quali, temono ricercatori e analisti, potrebbero trovarsi in luoghi diversi dai punti di approvvigionamento dell’infrastruttura attuale e in costruzione.

Dal rischio sismico agli scavi archeologici
L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) è la massima autorità sul tema del rischio sismico, il tema che storicamente ha unito di più il fronte del “no” al progetto Linea Adriatica. È stato coinvolto prima per uno studio sulla centrale di Sulmona, nel 2020, poi, a seguito di un accordo del 2022 stretto con Snam e con il Mase, come «“ente terzo” per svolgere attività di verifica ed eventuale integrazione dei dati e per esprimere una valutazione sulla risposta sismica locale» per il tratto autorizzato dal ministero proprio nel 2022, da Sulmona a Foligno. Lo spiega lo stesso Ingv a IrpiMedia, aggiungendo però che i risultati sono stati consegnati a Snam in modo che la società possa prendere delle decisioni, in quanto i pareri di Ingv «non entrano nel merito delle strategie progettuali, fasi e dettagli costruttivi per la realizzazione dell’intera opera».

Interpellata da IrpiMedia, Snam replica che «la rete dei gasdotti e degli impianti è stata progettata e realizzata sulla base delle più restrittive normative nazionali e internazionali di riferimento, che garantiscono l’esercizio in condizioni di massima sicurezza, anche in presenza di eventi sismici. Snam in particolare, e come sempre in questi casi, effettua gli studi di dettaglio e di approfondimento […] volti a definire la risposta sismica locale di dettaglio delle aree attraversate, nell’ottica di individuare le soluzioni costruttive più idonee».

Resta quindi un fatto: dei tre tratti della Linea Adriatica autorizzati ma ancora da realizzare, solo uno è stato analizzato dall’Ingv per il rischio sismico. Per completare gli studi che realizza l’Istituto sul resto della tratta servono almeno un paio d’anni ma Snam, avendo già ricevuto l’ok sull’intero progetto, non ha intenzione di aspettare.

«Il cantiere della centrale di compressione sorge nella valle Peligna, in una larga conca circondata da montagne. La faglia del monte Morrone è a circa tre chilometri dal luogo dove è in costruzione la centrale», spiega il geologo Francesco Aucone. Per anni Aucone ha studiato la sismicità della zona per conto dei comitati, trovando che i primi studi di Snam avessero «sottovalutato molto» il rischio sismico. In caso di scosse e smottamenti, i cittadini temono che la centrale e il gasdotto possano produrre gravi danni. Potrebbe avere un «effetto terribile», afferma Maria Clotilde Iavarone, geologa del comitato “No hub del gas”.

Alle critiche per il rischio sismico, se ne sono aggiunte altre nel corso degli anni. La prima è legata agli effetti che la costruzione avrà sul paesaggio: «Denunciamo l’imposizione di questa grande opera che avrà un impatto irreversibile sulla naturalezza del luogo, sulla sua salute idrogeologica e sulla sopravvivenza dell’orso marsicano», prosegue Iavarone. L’animale, in via di estinzione, transita abitualmente nella Valle Peligna, tra il torrente Vella e il fiume Gizio, proprio dove sorgerà la centrale.

La seconda critica è legata al valore archeologico e culturale dell’area. A inizio settembre 2024, infatti, durante gli scavi di archeologia preventiva, nell’area della località Case Pente, dove sorge al centrale, sono stati ritrovati ulteriori importanti reperti archeologici: «Nel sito, dunque, vi era un vero e proprio villaggio protostorico, il che dimostra che il nostro territorio era abitato già 3.500 anni fa, prima della fondazione di Sulmona», dichiara Mario Pizzola del comitato “No hub del gas”. Tuttavia, spiega la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di L’Aquila e Teramo a IrpiMedia, l’area non è mai stata sottoposta a vincolo archeologico e i «reperti mobili» ritrovati durante gli scavi sono stati rimossi e messi al sicuro, rendendo «disponibile l’area per la realizzazione di quanto già autorizzato». Per due edifici di epoca romana «è stata assicurata la permanenza in situ e l’inserimento in un percorso di visita che è in fase di progettazione», aggiunge la Soprintendenza.

«Dopo 16 anni, non firmerei mai, mai e poi mai»
In un ufficio comunale degli Usi Civici di Paganica, frazione de L’Aquila, l’intera Linea Adriatica al momento ha le sembianze di una tratto viola che taglia a metà molte delle mappe appese alle pareti. Secondo il tracciato approvato, il gasdotto attraverserebbe molte aree a uso civico, terreni destinati all’uso collettivo delle comunità locali gestiti proprio da quell’ufficio, dove i residenti hanno diritti tradizionali come pascolo, legnatico o raccolta di risorse naturali.

Fernando Galletti è il presidente dell’amministrazione separata degli Usi Civici di Paganica e San Gregorio. Indicando sulle mappe commenta: «Su terreni scoscesi la fascia di impatto del gasdotto è di 40 metri a destra e 40 a sinistra, mentre su quelli pianeggianti 20 metri per lato. E per il trasporto dei materiali, come faranno per far passare tir e tubi lunghi sei-dodici metri? Questo progetto attraversa fasce alberate e immense tartufaie, distruggeranno tutto».

Per costruire, Snam ha bisogno di ottenere il diritto a utilizzare il terreno. Le modalità vanno dalla “servitù di passaggio”, una soluzione per cui il terreno non cambia di proprietà ma permette il passaggio del gasdotto, fino all’esproprio. Alcuni proprietari dell’area di Paganica raccontano che Snam ha fatto firmare loro contratti di servitù di passaggio ed esproprio nel 2008, con ulteriori convocazioni del 2012.

Alfredo Federici, anziano agricoltore di circa ottanta anni, è tra questi. Mostrando il giardino di fronte a casa, dove tiene i suoi attrezzi, il trattore parcheggiato, e cura il suo orto, indica dove passerà il tubo, accanto a un palo che mostra il limite dei 20 metri dall’abitazione.

«Adesso, dopo 16 anni, non firmerei mai, mai e poi mai. Non abbiamo documenti, solo un invito a presentarsi al notaio. Per noi è come un terremoto dell’ottavo grado», dice.

Insieme ai familiari, ricorda com’è avvenuta la firma: in una sala comunale, i tecnici di Snam mostrarono alcune tavole del progetto e dissero che i residenti avrebbero avuto una compensazione, ma non chiarirono in cosa consistesse né, a detta dell’agricoltore, l’ampiezza e la pericolosità del progetto. Oggi, a far paura all’agricoltore, è il ricordo delle tre esplosioni ravvicinate del metanodotto di Snam a Mutignano, in provincia di Teramo, nel marzo 2015, causate da una frana. Ci sono state otto persone ferite. Esplosioni per smottamenti ci sono state anche in Calabria, a Tarsia, nel febbraio del 2010 e ancora nel 2015 nell’aretino.

A Prata d’Ansidonia, paesino di circa 400 abitanti situato sulla Piana di Navelli, abita Francesco Giannini. A gennaio 2024, è stato contattato da Snam per firmare un contratto di servitù di passaggio per il gasdotto. All’interno della sua proprietà, indica la coltivazione di zafferano, su cui non potrà lavorare per molti mesi, la tartufaia che dovrà sradicare, la siepe che verrà distrutta e poi la propria abitazione, che disterà solo 18 metri dal tubo.

«Per legge, in questa fascia di 18-20 metri non posso costruire nulla. La compensazione economica c’è stata e ci sarà l’indennizzo per il mancato raccolto, ma rimane il fatto che ho un tubo ad altissima pressione nella mia proprietà, e non posso dire nulla», commenta. «Il danno morale e la preoccupazione di un impianto così vicino a casa non vengono ripagati», continua Giannini. «Se avessi avuto scelta, avrei preferito pagare di tasca mia per non cedere parte del mio terreno. Ma non ho avuto scelta. Gli operatori (di Snam, ndr) hanno specificato: o firma, o l’esproprio verrà fatto in maniera coattiva, rischiando di prendere anche meno. Singolarmente, non possiamo fare nulla. Doveva esserci una volontà politica a fermare quest’opera».

Interrogata da IrpiMedia sulle compensazioni, Snam afferma di essere «costantemente in dialogo con enti preposti e amministrazioni locali per valutare ogni possibile ottimizzazione che limiti l’impatto del progetto», e che «si registra un positivo trend di adesione alla costituzione volontaria di servitù di gasdotto; ad oggi sono stati sottoscritti accordi bonari per circa il 70% del tracciato, caratterizzato da un grande frammentazione particellare».

Margherita Capacci, Cecilia Fasciani e Sofia Turati per IrpiMedia

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