di Claudio Velardi
Le Regioni vengono “previste” dalla Costituzione del 1947 (nel famoso titolo V, poi modificato), ma De Gasperi - nella sua infinita saggezza - non ci pensa neppure a istituirle effettivamente. E così i governanti che seguono, salvo dover cedere alla fine degli anni ’60 alle pressioni della sinistra, che reclamava poteri per le cosiddette regioni rosse (Emilia, Toscana, Umbria). Quando, negli anni ’90, comincia a prendere piede la Lega – che non solo pretende più autonomia per le regioni del Nord, ma minaccia il secessionismo – la sinistra al governo risponde con la riforma del titolo V, nell’illusione demenziale di arginare così le spinte separatiste. Questa, sommariamente, la vicenda delle regioni nei suoi termini essenziali.
Chi, nella storia repubblicana, non ha mai reclamato alcuna autonomia o crescita di poteri è stato l’intero Sud (salvo il fenomeno indipendentista siciliano del dopoguerra, fiammata di breve durata). Ma perché il Mezzogiorno è sempre stato centralista? Perché è sempre stato dipendente e foraggiato in varie forme dal governo nazionale, e non a caso elettoralmente dominato dalla Dc negli anni della cosiddetta Prima Repubblica (dopo la storia cambia parzialmente, il Sud alterna il suo radicato governismo con qualche spinta ribellistica, ma sempre evitando come la peste ogni rivendicazione di autonomia).
Spero quindi che non mi si accusi - che so - di “neoborbonismo” se dico che storicamente, oggettivamente, la debolezza strutturale del Sud, il divario con il Nord che cresce, la carenza insopportabile di servizi accettabili, la pochezza delle sue classi dirigenti, sono tutti fattori quantomeno legati alla sua storia fatta di subordinazione e dipendenza. Le cose sarebbero andate diversamente con un Sud più autonomo? Non lo so, la domanda è legittima. Ma il dato di fatto è sotto gli occhi di tutti. Tutti gli standards di crescita, sviluppo, formazione, infrastrutture, qualità della vita etc… dicono che il Sud è indietro, sempre più indietro.
Le Regioni vengono “previste” dalla Costituzione del 1947 (nel famoso titolo V, poi modificato), ma De Gasperi - nella sua infinita saggezza - non ci pensa neppure a istituirle effettivamente. E così i governanti che seguono, salvo dover cedere alla fine degli anni ’60 alle pressioni della sinistra, che reclamava poteri per le cosiddette regioni rosse (Emilia, Toscana, Umbria). Quando, negli anni ’90, comincia a prendere piede la Lega – che non solo pretende più autonomia per le regioni del Nord, ma minaccia il secessionismo – la sinistra al governo risponde con la riforma del titolo V, nell’illusione demenziale di arginare così le spinte separatiste. Questa, sommariamente, la vicenda delle regioni nei suoi termini essenziali.
Chi, nella storia repubblicana, non ha mai reclamato alcuna autonomia o crescita di poteri è stato l’intero Sud (salvo il fenomeno indipendentista siciliano del dopoguerra, fiammata di breve durata). Ma perché il Mezzogiorno è sempre stato centralista? Perché è sempre stato dipendente e foraggiato in varie forme dal governo nazionale, e non a caso elettoralmente dominato dalla Dc negli anni della cosiddetta Prima Repubblica (dopo la storia cambia parzialmente, il Sud alterna il suo radicato governismo con qualche spinta ribellistica, ma sempre evitando come la peste ogni rivendicazione di autonomia).
Spero quindi che non mi si accusi - che so - di “neoborbonismo” se dico che storicamente, oggettivamente, la debolezza strutturale del Sud, il divario con il Nord che cresce, la carenza insopportabile di servizi accettabili, la pochezza delle sue classi dirigenti, sono tutti fattori quantomeno legati alla sua storia fatta di subordinazione e dipendenza. Le cose sarebbero andate diversamente con un Sud più autonomo? Non lo so, la domanda è legittima. Ma il dato di fatto è sotto gli occhi di tutti. Tutti gli standards di crescita, sviluppo, formazione, infrastrutture, qualità della vita etc… dicono che il Sud è indietro, sempre più indietro.
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