Dopo anni di dominio incontrastato, le star di Instagram tremano. Accuse, delusioni, discorsi negativi, comunità di liberazione dal marketing del sé e dei prodotti sponsorizzati. Ma è vera crisi?
di Laura Fontana
Da un anno a questa parte, su Twitter si assiste a un fenomeno curioso: ogni volta che Paola Turani va in tendenza, l’hashtag che si diffonde è #taolapurani e non #paolaturani. Paola Turani è un’influencer di fascia medio-alta, con due milioni di follower su Instagram, nota per nulla in particolare tranne che per le tipiche cose da influencer: molti selfie, molti fit check, messa in mostra del proprio stile di vita. E allora perché #taolapurani scala i trending topic di Twitter? A quanto pare, intorno a questo hashtag si è raccolta una community che commenta giornalmente le gesta di molte influencer, oltre a Paola Turani, e non con il tono adorante del follower tipico ma con il piglio critico di chi ha mangiato la foglia, motivo per cui spesso gli utenti che partecipano sono scambiati per hater o invidiosi. Queste community in realtà fanno debunking: investigano, sviscerano nello storytelling delle influencer; propongono una contro-narrazione più realistica, notano i buchi nelle sceneggiature di queste vite così perfettamente rappresentate, mettono in risalto le incongruenze tra i messaggi che le influencer vorrebbero far passare e quello che poi effettivamente dicono. La maggioranza degli utenti che scrolla distrattamente i profili delle influencer difficilmente nota incongruenze, tranne nei casi più gravi e quando scoppiano shitstorm: allora si scopre che, per esempio, l’influencer che diceva di essere un’economista in realtà non aveva nessuna laurea.
Questo balletto tra influencer e community di de-influenzati in realtà non è nuovo. Il primo esempio italiano di blog che ha fatto influencer-debunking si chiamava “La faccia avvilita di Misha Burton” (oggi solo “La faccia avvilita”) ed era dedicato principalmente a Chiara Ferragni. La pagina ha avuto un momento di gloria agli inizi degli anni Dieci, ma poi si è ridimensionata con il passare degli anni e con il crescere dell’importanza delle influencer stesse. È da un anno che invece si assiste a una controtendenza per cui le influencer non sono più intoccabili ma anzi sono apertamente scrutinate su Twitter. Fino a qualche anno fa chi osava criticare invariabilmente subiva un discredito pubblico da parte dell’influencer, che magari con il commento negativo faceva un contenuto ad hoc, in modo da far linciare l’hater invidioso dai suoi follower. Spesso, infatti, ci si scorda che essere odiate online alle influencer in un certo senso fa comodo. Lo scontro di opinioni, cioè quello che viene chiamato il drama, porta attenzione (hype) e polarizzazione (engagement). Hype ed engagement sono ciò che le influencer offrono ai brand per farsi sponsorizzare, diventare il loro “ambassador”, ottenere contratti e omaggi. Insomma, per una influencer avere degli hater è utile per due motivi: il primo è rimanere al centro dell’attenzione, in secondo luogo si ha una scusa già pronta in caso di controversie online, quando ci si può dichiarare “vittime di odio e di invidia”. Dunque, da un lato le influencer devono tenere sotto controllo la loro reputazione, dall’altro è anche possibile che alcuni loro contenuti siano formulati per tenere viva l’attenzione nei loro confronti.
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