Anno IX - Numero 14
Quando non si vuole fare i conti con le proprie cose si dovrà alla fine farli con i propri fantasmi.
Soren Kierkegaard

martedì 24 gennaio 2023

Quando i conti della Banca d’Italia vanno in rosso

Le banche centrali dei paesi avanzati registreranno probabilmente forti perdite nei prossimi anni. Sono la conseguenza delle politiche monetarie non convenzionali adottate a partire dalla crisi finanziaria. Come la banca d’Italia affronterà la situazione

di Rony Hamaui

Quando a maggio Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, leggerà le sue ultime considerazioni finali, dovremo non solo valutare attentamente le sue analisi sul quadro economico e finanziario, ma anche prestare molta attenzione al bilancio d’esercizio dell’Istituto. Il saldo, infatti, potrebbe ridursi e, per la prima volta, potrebbe risultare in pareggio, situazione che certamente peggiorerà nei prossimi anni. Le importanti perdite che tutte le principali banche centrali dei paesi avanzati presumibilmente registreranno nei prossimi anni sono la conseguenza delle politiche monetarie non convenzionali adottate a partire dalla crisi finanziaria, che hanno portato a zero o sottozero i tassi d’interesse e accresciuto enormemente gli attivi degli istituti di emissione con l’acquisto di titoli pubblici. Ora che i tassi sono rapidamente saliti, a fronte di attività poco remunerative, ci sono depositi bancari ben più onerosi.
Ad esempio, l’ufficio di bilancio del Regno Unito ha stimato che nei prossimi cinque anni la Bank of England avrà bisogno di 133 miliardi di sterline per coprire le perdite che è destinata ad accumulare a seguito dell’aumento dei tassi d’interesse. Probabilmente in Italia la situazione è meno grave, anche perché i rendimenti dei titoli pubblici italiani acquistati dalla Banca d’Italia sono rimasti più alti di quelli di altri paesi. Tuttavia, vale la pena capire che conseguenze avranno i rischi assunti dal nostro istituto di emissione negli anni passati in termini di stabilità finanziaria, politica monetaria, credibilità e conti pubblici.

Rischi e riserve della Banca d’Italia
Fra il 2010 e il 2022 il totale delle attività detenute dalla Banca d’Italia è passato da poco più di 300 miliardi di euro a quasi 1.600 miliardi grazie alle politiche monetarie non convenzionali messe in campo dalla Banca centrale europea. Questo ha permesso di accrescere i profitti realizzati dal nostro istituto di emissione fino a toccare l’enorme cifra di circa 20 miliardi negli ultimi tre anni (2019-2021). Dopo aver pagato tasse per circa 1,3 miliardi all’anno, la Banca d’Italia ha devoluto allo stato italiano oltre 5 miliardi in ogni esercizio. Così, nell’ultimo triennio lo stato ha incassato in forma diretta o indiretta poco meno di 7 miliardi di euro ogni anno. L’azzeramento di queste entrate o addirittura la necessità di ricapitalizzare la Banca d’Italia porrebbe degli indubbi problemi ai nostri conti pubblici già pesantemente stressati dall’enorme debito accumulato negli scorsi decenni, anche a causa della crisi finanziaria prima, della pandemia poi e infine della crisi energetica.

Per fortuna, in questi anni la Banca d’Italia ha accantonato importanti riserve volte a fronteggiare i rischi derivanti dalla sua complessa attività. Negli ultimi tre anni, ad esempio, sono stati accumulati oltre 6 miliardi di euro di riserve, il massimo imposto dalla legge (20 per cento degli utili). Così a fine 2021 il patrimonio dell’Istituto ammontava a oltre 26 miliardi (di cui 7,5 di capitale). La cifra dovrebbe essere sufficiente ad affrontare con tranquillità le perdite attese e garantire stabilità e indipendenza. Tuttavia, se l’inflazione dovesse mostrarsi più perniciosa e richiedesse un più forte e prolungato aumento dei tassi, la situazione finanziaria della Banca d’Italia, come quella di molte altre banche centrali, diventerebbe più critica. La vendita anticipata dei titoli in bilancio poi non farebbe altro che aumentare le perdite registrate. Sebbene sia vero, come ci ricorda il Financial Times, che, in determinati periodi storici, alcune banche centrali (quali quella cecoslovacca, svedese, cilena, messicana e israeliana) hanno avuto capitale negativo e che possono comunque stampare moneta, nondimeno, non sarebbe la politica monetaria ottimale in un momento di alta inflazione.

Certamente, le banche centrali non hanno tra i loro obiettivi quello di generare profitti, ma di mantenere la stabilità dei prezzi. Tuttavia, la situazione attuale produce un potenziale conflitto d’interesse. Se infatti ogni aumento dei tassi d’interesse procura un appesantimento della loro situazione finanziaria, è possibile che non esercitino la sufficiente fermezza per combattere l’inflazione. Sul fronte della vigilanza risulta poi paradossale che le banche centrali, dopo avere per anni perorato la causa dell’aumento del capitale degli intermediari finanziari e la riduzione della loro leva, si trovino in una situazione di carente gestione prudenziale dei loro rischi.

Più in generale, la storia probabilmente ci porterà a una rilettura critica dell’efficacia delle politiche monetarie non convenzionali che ci hanno accompagnato negli ultimi anni e una più attenta valutazione dei loro costi e benefici.

Un’ultima parola meritano le oltre 170 istituzioni finanziarie azioniste (“partecipanti”) della Banca d’Italia a cui negli ultimi anni, in base alla legge, è stato distribuito un dividendo di 340 milioni (pari al 6 per cento del capitale versato). Nonostante l’esistenza di uno speciale fondo di stabilizzazione degli utili distribuiti, è probabile che anche loro, nei prossimi anni, debbano accettare una riduzione di quella che ritenevano una rendita certa.

Rony Hamaui per Lavoce.info

Nessun commento:

Posta un commento