di Loredana Bellone
San Didero, Piazzale del Baraccone lato ferrovia, al tramonto di una luminosa domenica dei primi di maggio, in attesa di vedere arrivare la festosa biciclettata da Bussoleno. Dall’altra parte della strada, oltre lo sbarramento dei militari, si intravede a malapena il container che fino al 12 aprile (la notte delle requisizioni) fungeva da Punto informativo per il Movimento NoTav. Su quello spiazzo posteggiavi la macchina prima di addentrarti a piedi nel boschetto che era ricresciuto rigoglioso intorno a quell’obbrobrio di cemento che già negli anni ’70 era stato concepito come Autoporto, e che i giovani del Movimento NoTav avevano recuperato dal degrado eleggendolo a Presidio in Bassa Valle. Nonostante decenni di sversamenti, interramenti di nocività e veleni di ogni genere, quel bosco era diventato l’habitat di una straordinaria biodiversità – incredibile il potere di rigenerazione della natura! Adesso anche quel parcheggio è pattugliato giorno e notte dalle Forze dell’ordine, benché la proprietà sarebbe non demaniale ma del Comune di San Didero: non a caso il sabato mattina vi si svolgeva il mercato, unica opportunità di commercio per un paesino così defilato da non avere neppure un negozio.
Su questa parte della strada però il movimento non si è perso d’animo, e il 25 aprile, a conclusione del partecipatissimo corteo proveniente da San Giorio, è atterrata una casetta. Che non potrà eguagliare per poesia di forme e materiali di recupero quel capanno sorto come per magia in cima al Presidio requisito, con quel tetto a punta che virava verso la montagna e la più bella vista su tutta la valle e però: c’era una volta un bellissimo capanno… ma eccone già un altro, nuovo di zecca. Il segno più tangibile di continuità nella storia di una resistenza che in tutti i suoi momenti più cruciali ha saputo costruire qualcosa. Da qui in poi, però, che succede? E soprattutto come si metabolizza ciò che è successo?
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