di Andrea Boda
Il mestiere delle Banche Centrali di questi tempi è particolarmente complicato. Il rischio che la crescita economica, ancora fragile e legata per lo più ad un impulso di rimbalzo post-crisi pandemica, possa frenare comporta la necessità di politiche monetarie ultra espansive (tassi vicini a zero e acquisti di titoli sul mercato), dalle quali può scaturire inflazione, peraltro una cosa a lungo cercata, ma l’inflazione da una parte è un evento monetario, dall’altra è comportamentale.
Il mestiere delle Banche Centrali di questi tempi è particolarmente complicato. Il rischio che la crescita economica, ancora fragile e legata per lo più ad un impulso di rimbalzo post-crisi pandemica, possa frenare comporta la necessità di politiche monetarie ultra espansive (tassi vicini a zero e acquisti di titoli sul mercato), dalle quali può scaturire inflazione, peraltro una cosa a lungo cercata, ma l’inflazione da una parte è un evento monetario, dall’altra è comportamentale.
L’inflazione
Dall’inizio degli anni ’80 in poi, l’inflazione è stata a lungo contrastata, poi nei primi anni ’90 la caduta del comunismo (e il conseguente processo di globalizzazione) e l’ascesa di Internet e dalla rivoluzione nell’elettronica hanno accelerato enormemente la crescita della produttività.
Alla fine degli anni ’90, questo aveva depresso l’inflazione al punto che, durante la “crisi delle tigri asiatiche”, si è cominciato a parlare di rischio deflazione (una cosa che evocava scenari da Grande Depressione anni ’30).
Per prevenire la deflazione era necessario stimolare la domanda dell’economia, ma la globalizzazione aveva creato un surplus globale di lavoro, mettendo pressione sui salari. Quindi occorreva aumentare la disponibilità di denaro per dare sostegno alla domanda. Ma cittadini e imprese si erano già indebitati, e per prendere loro ulteriore denaro le banche centrali hanno avviato una nuova politica: oltre a deprimere progressivamente i tassi d’interesse, iniziarono a creare grandi quantità di denaro da far fluire nei mercati finanziari, gonfiandone i prezzi.
È stata così creata una inflazione degli asset finanziari anziché nei prezzi al consumo. Di conseguenza, i vecchi debiti sono stati compensati non dall’erosione del valore del denaro, ma da valori di asset sempre più alti.
Dall’inizio degli anni ’80 in poi, l’inflazione è stata a lungo contrastata, poi nei primi anni ’90 la caduta del comunismo (e il conseguente processo di globalizzazione) e l’ascesa di Internet e dalla rivoluzione nell’elettronica hanno accelerato enormemente la crescita della produttività.
Alla fine degli anni ’90, questo aveva depresso l’inflazione al punto che, durante la “crisi delle tigri asiatiche”, si è cominciato a parlare di rischio deflazione (una cosa che evocava scenari da Grande Depressione anni ’30).
Per prevenire la deflazione era necessario stimolare la domanda dell’economia, ma la globalizzazione aveva creato un surplus globale di lavoro, mettendo pressione sui salari. Quindi occorreva aumentare la disponibilità di denaro per dare sostegno alla domanda. Ma cittadini e imprese si erano già indebitati, e per prendere loro ulteriore denaro le banche centrali hanno avviato una nuova politica: oltre a deprimere progressivamente i tassi d’interesse, iniziarono a creare grandi quantità di denaro da far fluire nei mercati finanziari, gonfiandone i prezzi.
È stata così creata una inflazione degli asset finanziari anziché nei prezzi al consumo. Di conseguenza, i vecchi debiti sono stati compensati non dall’erosione del valore del denaro, ma da valori di asset sempre più alti.
Il dilemma
L’inflazione, dicevamo è fatta di elementi monetari e di elementi comportamentali.
Visto che, per proteggere la fragile crescita, iniettare liquidità continua ad essere necessario, per evitare che l’inflazione si incendi diventa cruciale minimizzare gli aspetti comportamentali. Ecco perché le Banche Centrali insistono, e continueranno a dire, che l’inflazione è temporanea: se credessimo il contrario potrebbero doverla fermare con tapering e rialzo tassi.
Dicono la verità?
Nemmeno loro lo sanno. Quello che sanno è che dicendolo diventa più probabile che si avveri, e in ogni caso, fosse anche una bugia, sarebbe una “bugia bianca” di quelle che vanno dette, a fin di bene.
La Fed proclama che l’inflazione è transitoria e che i suoi strumenti funzionano come previsto.
Porta qualche esempio come prova.
Gli operatori di mercato si comportano come se lo credessero vero. Come suol dire… “Don’t fight the Fed”. È così che funziona il mercato.
Perché alzare i tassi e fare tapering implica un peggioramento delle condizioni e quindi un rallentamento della crescita, se fatto troppo presto potrebbe addirittura generare una recessione, e con i debiti pubblici già espansi dall’emergenza pandemica, non è il momento di rischiare recessioni.
Quindi cosa vorrebbero ottenere le Banche Centrali?
Mantenere tassi bassissimi a lungo, con un po’ di (ma non troppa) inflazione, finché la crescita non diventa più solida. In questo schema i rapporti debito/Pil degli Stati si assorbono più velocemente con una miscela di crescita+inflazione.
È un equilibrio delicato, che richiede continui aggiustamenti:
- quando l’inflazione spara, bisogna essere convincenti e dire che poi rientra
- se la crescita è forte fa salire i tassi
- se crescita e inflazione tornano indietro si allungano i tempi di risanamento debiti
Il rischio principale oggi è che l’inflazione metta radici, facendo incrementare la velocità di circolazione della tanta moneta disponibile, attivando una spirale. Per contenere questo rischio, dovendo evitare interventi concreti, alla Fed e alla Bce resta la dialettica: rassicurandoci dicendo che l’inflazione è “temporanea”.
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