Anno X - Numero 39
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Eugenio Montale

martedì 31 agosto 2021

Il destino delle telco

Periodicamente riemerge il dibattito su quale sia il ruolo degli operatori di telefonia al tempo di Internet. Mentre gli incumbent continuano a vedere contrarsi i margini e aumentare i costi per competere ed offrire servizi di qualità agli utenti, altri attori sfruttano la rete ricavando margini superiori e mettendo in crisi modello di business e l’equilibrio dei conti delle telco. La questione resta da anni di fronte allo stesso bivio: le telco devono essere operatori integrati capaci di offrire servizi a valore aggiunto oltre a comunicazione e connettività oppure l’avvento della commutazione a pacchetto (e delle reti digitali) ha creato un mercato delle telecomunicazioni strutturato come quello dell’informatica in cui i layers orizzontali agiscono sostanzialmente indipendentemente l’uno dall’altro?

di Alfonso Fuggetta

Periodicamente riemerge il dibattito su quale sia il ruolo (e destino) degli operatori di telefonia al tempo di Internet. Specialmente gli incumbent (ma non solo) vedono i loro margini contrarsi sempre di più, a fronte di ingenti investimenti richiesti per poter continuare a competere ed offrire servizi di qualità agli utenti. Al tempo stesso, sono emersi negli scorsi 15 anni una serie di attori che offrono servizi che sfruttano la rete riuscendo ad avere ricavi e margini superiori. Spesso si dice che questi operatori (over the top, Ott) hanno nei fatti sottratto quote di ricavi alle telco, indebolendole e mettendo in crisi il loro modello di business e l’equilibrio dei loro conti.
In generale, si scontrano due visioni. Nella prima, la telco è un operatore che vuole essere più o meno verticalmente integrato in quanto oltre ai servizi di comunicazione e connettività offre anche altri servizi a valore aggiunto. Nella seconda, si prende atto che con l’avvento della commutazione a pacchetto e delle reti digitali il mercato delle telecomunicazioni si è strutturato come quello dell’informatica, creando diversi layers orizzontali sostanzialmente indipendenti l’uno dall’altro.

Fin da metà degli anni 2000 scrissi (come altri) che il destino delle telco era di operare nel secondo scenario e, quindi, gli operatori dovevano attrezzarsi per poter essere competitivi e svilupparsi in un mondo che è diverso da quello nel quale sono nati e si sono affermati (si veda questo white paper che scrissi nel 2007: The net is flat). Per una serie di motivi, questo adattamento è avvenuto molto parzialmente per gli incumbent e molto più velocemente (vorrei dire che sono nati già “nel mondo nuovo”) per i nuovi entranti (pensiamo a Iliad di cui poi parlerò più diffusamente). Oggi il discorso riemerge in modo prepotente alla luce dei bisogni crescenti di connettività, emersi in modo lampante a causa della drammatica emergenza pandemica, e dei corposi investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) lanciato dalla Ue e dal nostro Paese. Come spendere questi soldi? Chi ne deve usufruire e perché? Con quale visione di lungo termine? Come cambierà il mercato delle telecomunicazioni a fronte di questo nuovo scossone che ha così profondamente trasformato la nostra società?

Come è cambiato il trasporto aereo
Nel white paper che scrissi nel 2007 e che ho citato poco fa, ricordavo la storia delle compagnie del trasporto aereo. Esse nacquero “uccidendo” una storica categoria di “dinosauri”, i grandi transatlantici che collegavano l’Europa agli Stati Uniti. Con l’avvento del Boeing 707 e del DC8 quei transatlantici scomparvero o si trasformarono in qualcosa di totalmente diverso: le grandi navi da crociera che oggi solcano i mari (Covid permettendo).

Tuttavia, anche le grandi società del trasporto aereo sono cambiate. Parecchi anni fa Southwest negli Stati Uniti e Ryanair in Europa hanno stravolto il mercato introducendo il concetto di low-cost: offrono il solo trasporto, senza alcun servizio aggiuntivo, ad un costo paragonabile a quello del trasporto su gomma o ferro. Molti viaggiatori non aspettavano altro. Oggi chiunque può muoversi spendendo cifre molto basse o comunque abbordabili soprattutto nel corto e medio raggio (viaggi fino alle 2–3 ore) per i quali tutto sommato non è un problema avere posti un po’ sacrificati e non godere di particolari servizi a terra e a bordo. I grandi operatori tradizionali (società come Air France, Singapore Airlines, Lufthansa) non si sono messi a competere con questi operatori, ma hanno cercato o sviluppato altri segmenti di mercato dove la clientela (specialmente quella business) è disposta a pagare un prezzo premium: il lungo raggio. Ciò si riflette nella composizione delle flotte: Ryanair e Southwest hanno solo Boeing 737 per il corto e breve raggio, così come Easyjet con gli Airbus 320; il grosso delle flotte di operatori come Air France o British Airways è invece costituito dai wide body, aerei che possono percorrere tratte molto lunghe che durano anche 15–18 ore. Venendo a casa nostra, il principale problema di Alitalia è stato l’avere una struttura dei costi da vettore aereo internazionale classico con rotte sempre più di corto raggio ormai dominio incontrastato delle low-cost, avendo per di più lasciato il presidio del mercato business con il dehubbing di Malpensa.

Non sappiamo ancora come il mercato del trasporto aereo si riorganizzerà a fronte della pandemia. Secondo alcuni viaggeremo comunque di meno perché, specialmente per motivi di lavoro, ci stiamo abituando alle comunicazioni digitali. Per altri, le persone vorranno comunque muoversi sia per turismo, ma anche perché in tanti settori professionali il contatto umano è insostituibile. E comunque vorremo tornare a volare, a muoverci, a visitare posti lontani. È probabile, quindi, che la segmentazione di cui parlavo poco fa continui ad esistere.

Queste vicende possono essere utili per comprendere quel che è successo e sempre più succederà nel mercato delle telecomunicazioni.

Cosa vogliamo noi utenti?
La “connessione ad Internet” è ormai un servizio essenziale. Anzi, chi ancora non ne usufruisce è considerato come penalizzato, qualunque sia la motivazione che stia causando questa mancanza. Cosa intendiamo per “connessione ad Internet”?

È la disponibilità di un canale digitale che connetta i nostri dispositivi alla rete Internet, ovunque ci troviamo, sia per motivi professionali che personali.

Quando usiamo il nostro smartphone, abbiamo bisogno “dei giga” che ci permettono di spedire e ricevere informazioni, mandare foto, ricevere video chiamate. Lo stesso accade sul posto di lavoro, quando i nostri sistemi informativi e reti aziendali devono essere “connesse a Internet” per poter offrire al personale tutti i servizi necessari allo svolgimento del proprio lavoro.

Oggi non abbiamo più bisogno di qualcuno che ci faccia “telefonare”. La “telefonata” è ormai solo uno dei tanti servizi di cui usufruiamo ed è sempre più anch’essa realizzata attraverso applicazioni che trasformano voce e immagini in una sequenza di bit trasmessa sulla rete. Anche gli SMS sono di fatto scomparsi e rimpiazzati da una molteplicità di servizi di comunicazione offerti grazie alla disponibilità della rete.

Se prima “compravamo” la possibilità di “fare una telefonata”, oggi “compriamo giga” per essere connessi e ricevere e spedire bit.

È una trasformazione profonda, radicale, indotta da un strutturale cambio tecnologico (il passaggio dalla commutazione di circuito a quella a pacchetto) prima ancora che da decisioni regolatorie. Il mercato è cambiato perché le tecnologie l’hanno stravolto. Come il Boeing 707 ha reso vetusto il transatlantico, Internet ha ucciso il telefono e il mondo che attorno ad esso era stato creato.

Non si può capire come cambia e cambierà il mondo delle telecomunicazioni se non si prende innanzi tutto atto di questa rivoluzione che è nei fatti e non nelle intenzioni o nei desideri di qualcuno.

In questo nuovo mondo, il singolo o l’impresa vuole poter comperare “giga per accedere a Internet” e poter poi essere libero di usare i servizi che desidera. Non è in generale interessato ai servizi dell’operatore telefonico che o non li ha oppure non è in grado di competere con la miriade di fornitori (piccoli e grandi) di servizi disponibili una volta che un dispositivo e collegato alla rete. Rispetto al mondo del trasporto aereo, i margini di manovra per le telco sono molto più ridotti: non esiste l’equivalente del lungo raggio per cui servono aerei più grandi e costosi e servizi che accompagnino il viaggiatore nelle lunghe ore durante le quali deve restare a bordo o in una lounge per fare “connection”. Una volta che un dispositivo è connesso alla rete, poche cose contano e devono sempre valere (sia per il fisso che per il mobile):
  • la connessione deve essere stabile;
  • la connessione deve essere disponibile in tutte le zone dove l’utente si trova ad operare (la casa, l’impresa, in mobilità per i dispositivi mobili);
  • la connessione non deve limitare o rallentare le mie attività, anzi le deve abilitare e accelerare.
È questo ciò che viene richiesto alle telco, non altro. Questi sono gli elementi per i quali un utente è disposto a pagare. Certamente, ci possono essere servizi di connettività specializzati per le imprese (reti private virtuali, servizi di connessione ad alta affidabilità, …), ma resteranno comunque al livello della connettività. È inutile illudersi di poter competere con colossi come Netflix, Salesforce, Aws e Azure o con servizi specializzati come EasyPark o Satispay: come recita un proverbio lombardo (“ofelè fa el to mesté”, pasticciere fa il tuo mestiere) ognuno deve fare bene il suo mestiere. Ancor più importante, gli utenti vogliono poter cambiare fornitore, sia a livello di connettività che di servizi. Per questo ogni integrazione verticale o “bundling” è vista in modo negativo o accettata solo se è a costo zero o comunque non significativo rispetto al costo del servizio di connessione. Che fare quindi?

Quale futuro per le telco?
Nei fatti gli operatori stanno già cambiando o quanto meno ci provano. Alcuni cercano di trovare nuovi ricavi vendendo dispositivi mobili. Altri hanno provato di offrire i propri servizi in bundle con operatori Ott o creando propri servizi Ott (senza riuscire peraltro a cambiare le dinamiche complessive del business). Tutti stanno significativamente riducendo il personale per ridurre i costi. Tutti stanno cercando di condividere infrastrutture e investimenti.

In generale, è necessario allineare la struttura dei costi a quella dei ricavi. Soprattutto, è ormai ineludibile dimensionare la struttura aziendale tenendo conto del fatto che il business delle telco è e sarà sempre più fornire connettività. Non servono più grandi strutture centrali per creare e sviluppare servizi. Alla fine si tratta di gestire la rete (fisica o virtuale), le tariffe e i rapporti con il cliente. Tutto ciò è conseguenza innanzi tutto e soprattutto del cambio tecnologico che, come tale, è ineludibile. Non si tratta di una mia preferenza o di un mio auspicio: è nei fatti e non è reversibile.

Come scrivevo nel 2007 (e non ero il solo a pensarlo) e come ho ribadito nel mio saggio Il Paese Innovatore (Egea, 2020), il mercato si sta sempre più strutturando su tre livelli:
  1. infrastrutture fisiche, fisse e mobili (operatori wholesale). I ricavi derivano dall’affitto dell’infrastruttura agli operatori retail;
  2. servizi agli utenti (operatori retail). I ricavi derivano dai servizi di connettività offerti agli utenti finali;
  3. servizi applicativi (Ott e in generale tutte le imprese che usano la rete per offrire servizi). I ricavi derivano dalla vendita dei servizi applicativi o da pubblicità.
Gli incumbent oggi vorrebbero coprire o coprono tutti e tre i livelli. Sul terzo non sono in grado di competere. Sul primo, il volume degli investimenti richiesto è elevatissimo e quindi è necessaria una condivisione dei costi o con altri operatori privati o con il pubblico. In generale, è necessario che l’offerta di ciascun livello sia neutrale rispetto a quella del livello superiore per garantire la concorrenza e una reale apertura del mercato. Non per niente, gli operatori infrastrutturali (che offrono cioè servizi di livello 1 e 2) offrono le proprie infrastrutture fisiche anche ad operatori di livello 2 che non dispongono di proprie infrastrutture o non ne hanno nella zona dove un certo cliente deve essere servito. Con il passare del tempo, sempre più le telco si specializzeranno sul livello 1 o 2. Sicuramente sarà molto difficile per loro competere al livello 3.

Iliad è un esempio abbastanza illuminante di questo trend. È un operatore di livello 2 (in parte ha anche una sua rete) che ha una struttura dei costi molto snella e tarata sulla fornitura di un puro servizio di connettività. È una Ryanair delle telecomunicazioni. Openfiber è un operatore wholesale di livello 1 che vende connettività ad altri operatori retail come Vodafone.

Si tratta di un trend che si consoliderà, con dinamiche e tempi e diversi nel caso del fisso e del mobile (che richiede costi e investimenti molto differenti), ma che dal punto di vista del cliente finale consoliderà la visione dell’operatore di telecomunicazioni come un fornitore di servizi di pura connettività. Potrà piacere o meno, ma credo che questo sia il trend ineludibile che la rivoluzione avvenuta a partire dagli anni ’70 con l’avvento della commutazione a pacchetto ha imposto, indipendentemente dalla volontà delle imprese e degli enti regolatori.

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