Anno X - Numero 39
Il tempo degli eventi è diverso dal nostro.
Eugenio Montale

venerdì 14 maggio 2021

Quattro domande per la rivoluzione del lavoro

Viviamo tempi complicati, e ci sono cose che restano per noi assolutamente incomprensibili. Una di queste è la totale mancanza di emergenza che partiti e dei sindacati continuano a riservare alla riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro. Su questo tema che vi rivolgo alcune domande per sapere come la pensate

di Oscar Giannino

È un’emergenza vera o no? Oppure meglio aspettare che in qualche modo riparta tutto, a campagna di vaccinazione ben più avanzata? La mia risposta è gridata: è un’emergenza assoluta. 

Abbiamo avuto, in un anno, un milione di poveri assoluti in più e quasi un milione di occupati in meno (e no, non date retta a chi dice che non ha senso la riclassificazione che anche Istat ha adottato seguendo il criterio europeo: a non aver senso era considerare occupati i cassintegrati a zero ore per più di tre mesi e gli autonomi fermi da più di tre mesi, serviva solo a indorare la pillola e a dire che in fondo rispetto ad altri paesi Ue il governo Conte ha fatto meglio…). Abbiamo perso in un solo anno più di tutti gli occupati aggiuntivi che in Italia avevamo a stento realizzato da inizio 2015 a fine 2019. Di cos’altro c’è bisogno di peggio, per considerare emergenza assoluta la riforma del lavoro? Se avete creduto nel blocco dei licenziamenti protratto per legge e nella Cig per tutti come panacea, direi che questi dati bastano e avanzano per non credere che basta ripartire e tutto tornerà magicamente come prima. Di sicuro non nei settori come moda, commercio, ristorazione, alberghiero, turismo e industria culturale. Ma anche industria e manifattura devono ristrutturare e innovare: non sono cose che si fanno a parità di perimetro e con gli stessi occupati di prima, sia per numero che per profilo.

Serve ancora la Cig?
Mia risposta: assolutamente no. Né serve semplicemente estenderla a tutti i settori – tantissimi, fuori dall’industria – che non ne beneficiavano, come a fatica, tardi e male si è fatto nei mesi del Covid. Né serve sfoltirne la molteplicità, tra Cig ordinaria, straordinaria, in deroga e Covid-Cig. Diverse per procedure, gestione e rateo di copertura, solo la Covid-Cig è integralmente a carico dello Stato, in quella ordinaria le imprese beneficiarie erano storicamente in posizione di saldo netto finanziario, cioè pagavano più contributi di quante ore poi fossero in concreto “tirate”, cosa diversa da “autorizzate”. Serve tutt’altra cosa: un nuovo ammortizzatore universale davvero, cui contribuiscano tutte le imprese secondo criteri omogenei (senza l’attuale incredibile varianza di contribuzione per settore), una Naspi riformata (cioè non protraibile per anni a zero ore, come può capitare oggi) e soprattutto basata su precise condizionalità di formazione. La formazione è oggi vietata per legge in regime di Cig. Non voglio aggiungere altro, perché la formazione è il pilastro per pensare di unire due obiettivi necessari: tenere al lavoro sia le coorti anagrafiche avanzate, sia immettere le più giovani. La formazione permanente va concepita e offerta come un diritto inalienabile della persona, come tale riconosciuto nei contratti (vedi l’ultimo avanzato esempio con il rinnovo di quello dei metalmeccanici).

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