Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

martedì 10 settembre 2019

Governi del cambiamento, differenza tra racconti e realtà

Attivate le suggestioni degli elettori, quello che resta sono obblighi derivanti da vincoli di varia natura, finanziari, strutturali e ambientali. Tutti gli interventi che si stanno ipotizzando non cambieranno di una virgola le tendenze strutturali dell'Italia: più debiti, meno spesa

di Natale Forlani*

È nell'ordine delle cose che ogni nuovo Governo si presenti al Paese autodefinendosi "del cambiamento". Un modo come un altro per attivare suggestioni negli elettori e per attribuire la responsabilità dei problemi "a quelli che c'erano prima". Dopodiché prevalgono il principio di realtà e i vincoli di varia natura, finanziari, strutturali e ambientali, che ridimensionano di molto le ambizioni e i propositi, riportando gli interventi nell' ambito delle cose possibili.
Per il governo Rosso-giallo, il principio di realtà impone a breve una manovra complessiva di circa 35 miliardi di euro: 23 legati alla necessità di evitare gli aumenti automatici dell'Iva, 7 per coprire le spese indifferibili e 5, secondo i propositi del programma, per avviare la riduzione del cuneo contributivo o fiscale sui salari.
Ora proviamo a valutare dalle indiscrezioni che emergono sui mass media, e dagli ambienti della ragioneria, cosa potrebbe fare questo governo. Ovvero cosa avrebbe potuto fare, sempre sulla base degli annunci, quello che l'ha preceduto con il medesimo Presidente del consiglio.
Il primo elemento di continuità si riscontra nella richiesta di una maggiore flessibilità sul deficit alle autorità della Ue per avvicinarlo alla soglia del 3% annuo.
Il precedente governo lo faceva in modo ostile e un poco sguaiato, l'attuale in modo conciliante, facendo leva su argomenti solidi legati all'esigenza di considerare il ciclo economico negativo. Ma sempre più debiti sono. E destinati a far fronte agli sforamenti della spesa corrente, in particolare della spesa previdenziale e assistenziale, e non per gli investimenti come si vuol far credere.
Anche immaginando uno sconto sostanzioso da parte della Ue, una buona dose di tagli della spesa si imporrà comunque. Altrimenti il 3% sarebbe sforato semplicemente per l'effetto dei mancati introiti Iva.
E qui veniamo alla sostanza. Per contenere il deficit sotto la soglia ipotizzata e finanziare lo sgravio sul cuneo sarebbe necessario tagliare la spesa o assicurare nuove entrate per almeno 15/18 miliardi di euro. Come?
Senza far troppo rumore, l'ex ministro dell'economia Tria un pacchetto di tagli e nuovi introiti li aveva messi assieme: il contingentamento della spesa per reddito di cittadinanza e quota 100 (per circa 3 miliardi, n.d.r.) e maggiori introiti dalla messa a regime della fatturazione elettronica e la regolazione delle pendenze fiscali per altri 5 miliardi.

Ulteriori 2 miliardi potrebbero derivare dai risparmi sugli interessi sul debito se si stabilizza la riduzione dello spread. E questo è un merito da ascrivere alla attuale coalizione politica.
E gli altri? Molto semplice, si rimodulerà la spesa per investimenti come sempre fatto nel passato, prendendo atto che il sistema non tira e rinviando al futuro i buoni propositi.
Si taglierà la spesa dei ministeri, leggi conferma di buona parte del blocco del turnover del personale, come sempre fatto in precedenza. Compreso l'ultimo governo.
Tagli a quota 100 e reddito di cittadinanza scordateveli. Anzi, da evitare assolutamente annunci sbagliati per non ritrovarsi sul gobbo le domande di pensione di chi ha già maturato i requisiti, circa 100.000 soggetti.

Per il reddito di cittadinanza il rischio è ancora più evidente se sarà allargato, come penso, il requisito di accesso agli immigrati lungo soggiornanti, per un potenziale ulteriore di 800.000 beneficiari (a proposito: è curioso il fatto che il governo Conte bis contesti alla regione Friuli Venezia Giulia l'incostituzionalità per aver limitato l'accesso alle prestazioni sociali agli immigrati con meno di 5 anni di residenza dopo averlo a sua volta introdotto, al tempo del primo Governo Conte, nel reddito di cittadinanza per quelli con meno di 10 anni di residenza).

Infine facciamo il raffronto fra le proposte di tipo espansivo: la precedente flat tax e l'attuale riduzione del cuneo fiscale. Sulla carta radicalmente diverse tra loro. Allo stato attuale sono in competizione due ipotesi diverse del taglio del cuneo: la prima, sostenuta dai 5 Stelle, prevede di accompagnare l'introduzione di un salario minimo legale di 9 euro l'ora con una riduzione dei contributi per la cassa integrazione e per l'indennità di disoccupazione in favore delle imprese. Ipotesi assai complicata, perché comporterebbe un'invadenza indebita nella struttura retributiva dei contratti collettivi che le associazioni delle imprese e i sindacati non vogliono. Oltretutto lo sgravio contributivo riguarderebbe solo una parte dei datori di lavoro mettendo perennemente in capo allo Stato i costi per i sussidi al reddito.

La seconda ipotesi, più realistica, è sostenuta dal Pd e prevede di implementare il bonus degli 80 euro per i lavoratori dipendenti per una cifra di 1500 euro annuali con effetto decrescente per i redditi fino a 50.000 euro anno. A ben guardare una proposta in buona parte equivalente a quella che circolava negli ambienti della Lega che ipotizzava un allargamento della flat tax con aliquota del 15%, già prevista per i lavoratori autonomi, ai lavoratori dipendenti con redditi familiari sino ai 50.000 euro, tenendo conto dei carichi familiari.

Per il resto? Per le promesse varie, evergreen new deal, in gran parte fondate su buone intenzioni e in molti casi per ambiti che non sono nemmeno di competenza dello Stato: chi vivrà vedrà. 
Resta il fatto che tutti gli interventi che si stanno ragionevolmente ipotizzando non cambieranno di una virgola le tendenze strutturali del nostro paese: il declino demografico, l'incapacità di elevare i tassi di occupazione e di recuperare i divari generazionali e territoriali.
Roba buona per i convegni: non è quello che può passare l'attuale convento.

* Natale Forlani è direttore generale dell'Immigrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali; estensore, insieme a Marco Biagi ed altri autori, del Libro Bianco sul Lavoro, dal 1995 al 1999 è stato Consigliere di Vigilanza dell'Inail e, dal 2000, ad di Italia Lavoro, Agenzia strumentale del Ministero del Lavoro. È stato segretario confederale della Cisl.



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