Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

martedì 7 novembre 2017

Operazione stipendio sicuro

Per limitare gli effetti negativi della quarta rivoluzione industriale bisogna avviare misure attive di compensazione del reddito per chi perde il lavoro. Negli Usa l’hanno già fatto. Ma anche in Italia, si intravedono i primi passi nella giusta direzione

di Francesco Daveri 

La quarta rivoluzione industriale sconquassa il mercato del lavoro. Abbiamo già discusso in passato di come l’impiego della robotica e dell’intelligenza artificiale per svolgere funzioni umane e offrire servizi automatizzati ma personalizzati – la quarta rivoluzione industriale – rischi di dividere il mercato del lavoro tra i privilegiati dotati di un lavoro appagante e stipendi commisurati e i precari intrappolati in percorsi di carriera discontinui caratterizzati dallo svolgimento di mansioni dequalificate e bassi salari. Non a caso, fioccano le proposte per attenuare gli effetti negativi di una rivoluzione tecnologica tanto pervasiva. Ma invece di tassare l’innovazione o i robot (come proposto da Bill Gates) o di trasformarci in un mondo di persone che vivono di sussidi (come vorrebbero i sostenitori del reddito di cittadinanza), sarebbe meglio aiutare i lavoratori a rimanere tali. Da qui l’importanza di misure attive di prevenzione o compensazione del reddito come programmi di formazione permanente, prestiti a lungo termine a fini di riqualificazione professionale e programmi di assicurazione sui salari.

L’operazione “stipendio sicuro”

Le misure attive di prevenzione e compensazione dei redditi non sono idee campate per aria. La U.S. Bureau of the Census Displaced Workers Survey mostra che nel 2013-15 i lavoratori Usa spiazzati da globalizzazione e tecnologia sono stati 3,2 milioni, più del 2 per cento degli occupati americani. Dei due terzi di questi che avevano ritrovato un lavoro nel gennaio 2016 circa la metà (il 53 per cento) guadagnava più o meno lo stesso reddito di prima. Ma il rimanente 47 per cento si è trovato a guadagnare di meno.

Del resto, di quella che si potrebbe chiamare operazione “stipendio sicuro” aveva parlato anche Barack Obama nel suo discorso sullo stato dell’Unione nel gennaio 2016: “Supponiamo che un americano abituato a lavorare sodo rimanga senza lavoro. A quel punto non dovremmo garantirgli solo un’indennità di disoccupazione, ma anche riqualificarlo perché possa essere assunto da un’altra azienda. E se il nuovo impiego non gli dà lo stesso stipendio di prima, ci vorrebbe un sistema di assicurazione sui salari che gli consenta di sopravvivere decentemente”. Specie se la disoccupazione è tecnologica e riguarda lavoratori esperti, serve predisporre strumenti di compensazione di reddito che durino nel tempo più a lungo dell’indennità di disoccupazione.

Sulla base dell’esperienza passata si possono indicare le caratteristiche generali di un tale intervento. L’integrazione di reddito finanziata con soldi pubblici dovrebbe compensare la perdita di reddito solo parzialmente e in determinate circostanze. Negli Stati Uniti l’Ataa (Alternative Trade Adjustment Assistance) per gli “older workers” prevede soglie di età, di reddito e di status di disoccupazione. Riguarda cioè lavoratori a tempo indeterminato con più di 50 anni e con redditi inferiori ai 50mila dollari che hanno perso il lavoro a causa di crisi aziendali o settoriali (con certificazione dello stato di crisi da un’agenzia statale) e lo hanno recuperato entro sei mesi. L’integrazione è la metà della differenza tra il vecchio e il nuovo stipendio, con un tetto di 10mila dollari.

I dettagli della proposta e il bilancio 2018

Si può discutere dei dettagli, ma i principi sono quelli indicati. Se l’integrazione di reddito prevista vuole essere uno strumento di assicurazione (e di rassicurazione) sociale, la sua durata dovrebbe estendersi oltre quella delle indennità di disoccupazione. Negli Stati Uniti la durata dell’Ataa estesa ai lavoratori anziani è di due anni – il periodo durante il quale avviene il grosso della formazione nel nuovo posto di lavoro. Per esigenze di bilancio pubblico si potrebbe fissare una soglia di copertura più bassa, ad esempio al 25 per cento anziché al 50 per cento della differenza tra vecchio e nuovo reddito. Il rischio è che venga meno la copertura assicurativa e quindi anche la “sicurezza” dello stipendio. Ma a un minor impegno pubblico si potrebbe affiancare uno schema privato di protezione assicurativa, fiscalmente deducibile almeno in misura parziale, a cui partecipino sia l’azienda che il lavoratore.

Il governo italiano sembra prendere sul serio queste idee. Nella legge di bilancio 2018 ci sono due articoli che destinano risorse a piani di integrazione salariale per accompagnare ristrutturazioni aziendali e la ricollocazione di lavoratori presso altre aziende. Nell’articolo 19 si stanziano fino a 100 milioni di euro annui per prorogare l’intervento straordinario di integrazione salariale nel caso di processi di riorganizzazione aziendale particolarmente complessi per gli investimenti richiesti e per le scelte di reintegro occupazionale. Nell’articolo 20 (comma 4) il lavoratore che accetta l’offerta di un contratto di lavoro con un’altra impresa viene esentato dal pagamento dell’Irpef sul Tfr, oltre al diritto a ricevere un contributo mensile pari a metà del trattamento straordinario di integrazione salariale che gli sarebbe stato altrimenti corrisposto con l’articolo 19. Per il datore di lavoro è previsto il dimezzamento dei contributi previdenziali (fino a 4.030 euro su base annua). Sono primi passi nella direzione giusta.

Francesco Daveri per Lavoce.info