di Luca Rinaldi
La vicenda delle intercettazioni telefoniche nei confronti dei giornalisti operata dalla procura di Trapani è grave. Ancora più grave dal momento in cui nessuno dei soggetti interessati risulta destinatario di un’indagine a proprio carico. Per quanto i garantisti a targhe alterne d’Italia siano pronti in certi casi a gioire per cui «ecco, quelli che hanno sbattuto intercettazioni irrilevanti in prima pagina per anni, adesso apriti cielo fanno le vittime», in realtà questo fatto ha ben poca attinenza con la pubblicazione di “intercettazioni non pertinenti”.
Qui siamo oltre: si è scelto deliberatamente di intercettare persone non indagate che parlano tra loro di un lavoro tra le altre cose tutelato dalla Costituzione e che prevede almeno un livello di segretezza e tutela delle fonti, senza che nessuno di questi parlasse a sua volta con altri indagati. Caso ben diverso pure da quelle “intercettazioni a strascico” (sulla cui rilevanza nell’ambito di certe pubblicazioni si può anche discutere, ma quella è ancora un’altra storia) in cui una persona non indagata si ritrova al telefono con l’utenza di un iscritto nel registro degli indagati. Chi non lo capisce è in malafede. Alternative non ce ne sono.
Non è difesa corporativa: la confidenzialità dei giornalisti con le fonti è tutelata dalla legge e sorvegliare persone non indagate che parlano tra loro è un’eccezione, per altro molto “border-line” e spesso riservata a operazioni di intelligence dei servizi segreti.
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