di Carlos Corvino e Francesco Giubileo
Ottantatré per cento, ripetiamo ottantatré per cento, è questa la percentuale che dovete ricordare: nel 2022 su oltre 8.100.000 nuove assunzioni, appena il 17 per cento era a tempo indeterminato. La “precarietà” si evidenzia nell’enorme difficoltà di stabilizzare questo esercito di contratti atipici: confrontando, infatti, i dati annuali delle comunicazioni obbligatorie con il cartogramma delle forze lavoro Istat, possiamo presumere che solo un quinto dei circa 3,2 milioni di lavoratori a termine abbiano una possibilità di stabilizzazione e il calcolo non tiene conto dei circa 300 mila tirocini extra-curriculari, quindi il dato reale è peggiore di quanto è possibile stimare.
Il peso dei contratti atipici resta marginale (meno del 20 per cento) rispetto al totale dei contratti di lavoro in Italia, seppur dal 2013 siano cresciuti notevolmente (oltre 30 per cento); il problema è la prospettiva con cui si leggono questi dati, soprattutto se a guardarli sono persone che devono entrare nel mercato del lavoro.
In Italia, se sommiamo ai 2,5 milioni di lavoratori atipici non stabilizzati, i disoccupati (circa 2 milioni) e gli inattivi disponibili al lavoro (circa 2,4 milioni) raggiungiamo la non inviabile cifra di 7 milioni di individui. Si tratta di una quota enorme di soggetti che rappresentano il “lato oscuro” del mercato del lavoro, caratterizzato spesso da carriere professionali discontinue; per gli inattivi la quota è costituita da persone che non cercano lavoro perché impossibilitate a causa della cura di un non autosufficiente (bimbi o anziani) o perché “scoraggiati” per effetto della cosiddetta “depressione da ricerca”, amplificata e non diminuita con la rivoluzione digitale e la ricerca del lavoro online.
Pochissima di questa disoccupazione è dovuta a un problema di mismatch di competenze, dove si presuppone che esisterebbe un mercato del lavoro di posti stabili ben remunerati pronti a essere colti, basta acquisire le giuste competenze. Sia ben chiaro, entrambi gli autori dell’articolo sostengono che la precarietà va contrastata attraverso nuove competenze appetibili sul mercato del lavoro, ma questa tesi è una visione “macro”, spesso troppo accademica, che si scontra con la realtà di attuare un progetto del genere in un contesto come quello italiano.
Qualsiasi operatore dei servizi per l’impiego potrà confermare che è estremamente difficile riqualificare la quasi totalità di queste persone verso una professione che richiede un percorso di medio-lungo periodo con un esame finale: se va bene, si riesce a coinvolgere il 10 per cento, di cui forse quasi la metà arriverà ad acquisire una nuova qualifica professionale.
La qualità delle offerte di lavoro
Supponiamo che su 7 milioni di persone, miracolosamente si riuscisse a coinvolgerne 700 mila, tra lavoratori poco qualificati, disoccupati e inattivi e di conseguenza si realizzasse un maxi-progetto di qualificazione professionale per adulti (che richiederebbe anni): ci sarebbero poi opportunità di impiego in linea con le competenze acquisite? Qui sorge un altro problema, la qualità dei lavori offerti.
Mettendo insieme l’analisi delle forze lavoro per “branca di settore economico” e le analisi delle principali qualifiche professionali nel Rapporto annuale sulle Cob 2022 (pag. 37), emerge che quello italiano sia in termini di stock e di flusso un mercato a bassissime qualifiche, quindi ci chiediamo dove sono questi milioni di posti di lavoro altamente qualificati che spesso emergono da indagini sulle difficoltà di reperimento della domanda di lavoro?
Avevamo già evidenziato che i tanto criticati navigator, di cui oggi molte regioni avrebbero urgente necessità, avevano contattato 300 mila aziende, attraverso azioni di marketingsul territorio e spesso la qualità delle proposte di lavoro raccolte era pessima: poche offerte, di scarsa qualità e spesso di brevissimo periodo. Fino a oggi, poche regioni, tra cui il Friuli-Venezia Giulia, hanno creato uno stabile servizio dedicato a contattare in modo continuativo le aziende per raccogliere “vacancies” su cui fare l’incontro con l’offerta di lavoro.
La difficoltà a “piazzare” sul mercato persone qualificate deriva spesso dalla mancata realizzazione di protocolli (se non in rarissimi episodi) tra associazioni datoriali o singole realtà imprenditoriali e i servizi formativi del lavoro regionali. In diversi casi, dopo clamorosi annunci giornalistici, molti imprenditori si sono tirati indietro nel momento di prendersi “impegni formali”, come ad esempio percentuali di assunzioni dei disoccupati formati a spese del pubblico.
Su questo segnaliamo un piccolo esercizio realizzato qualche anno fa, che mostra un limite oggettivo sull’affidabilità nel tempo delle stime previsionali. L’Osservatorio del mercato del lavoro del Friuli-Venezia Giulia, in una ricerca del 2021, aveva evidenziato come solo in parte le previsioni emerse dall’indagine Excelsior fossero confermate dalle analisi realizzate con le comunicazioni obbligatorie e dai dati del Servizio regionale alle imprese, dove si osservava, da un lato, l’esistenza di numerose offerte di lavoro a bassa qualifica e, dall’altro, una discreta quantità di offerte di tecnici e qualifiche specializzate.
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