di Sergio Ferrari*
Cambiamenti climatici repentini ed eventi estremi hanno nuovamente colpito la produzione agricola e hanno cospirato contro la produttività, mettendo il continente di fronte alle conseguenze di un aumento della fame e della malnutrizione. Nel 2023, la fame ha colpito 41 milioni di persone nella regione e un bambino su dieci sotto i cinque anni soffrirà di malnutrizione cronica.
Il rapporto delle Nazioni Unite pubblicato di recente, Panorama Regional de Seguridad Alimentaria y la Nutrición 2024 (Regional Overview of Food Security and Nutrition 2024), spiega che i cambiamenti climatici, così come gli eventi estremi come siccità, inondazioni e uragani, hanno influenzato la produttività agricola, interrotto le catene di approvvigionamento alimentare e causato aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari (https://news.un.org/es/story/2025/01/1536046).
Ciò rende l’America Latina e i Caraibi la seconda regione del pianeta più esposta alle intemperie, dietro solo all’Asia. Almeno 20 Paesi del sub-continente, il 74% di quelli analizzati, devono affrontare un’alta frequenza di eventi estremi. Secondo le Nazioni Unite, questi eventi mettono a rischio i risultati regionali ottenuti nel decennio precedente nella riduzione della fame e della malnutrizione.
Secondo questo rapporto, redatto congiuntamente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao), dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad), dall’Organizzazione Panamericana della Sanità (Paho), dal Programma Alimentare Mondiale (Pam) e dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef), tra il 2019 e il 2023 (periodo che include l’impatto della pandemia Covid19) la prevalenza della sottonutrizione è aumentata di 1,5 punti percentuali in tutti i Paesi colpiti da eventi climatici estremi. Secondo il rapporto, l’impatto negativo dei fenomeni naturali è aggravato da elementi strutturali come conflitti locali e internazionali, rallentamento economico (vedi appendice statistica) e crisi di ogni tipo.
Questo si aggiunge a fattori di fondo come gli alti livelli di disuguaglianza e la mancanza di accesso a diete sane. Nei Paesi in recessione economica, sottolinea il rapporto, i settori più vulnerabili della popolazione sono particolarmente colpiti perché meno capaci di adattarsi a queste situazioni aggravanti.
La fame non è inevitabile
I 41 milioni di latinoamericani e caraibici colpiti dalla fame nel 2023 rappresentano una leggera diminuzione di 2,9 milioni rispetto al 2022 e di 4,3 milioni rispetto al 2021. Tuttavia, esistono notevoli disparità tra le sottoregioni. Ad esempio, negli ultimi due anni, il tasso di fame è aumentato nei Caraibi al 17,2% attuale, mentre è rimasto relativamente invariato in Mesoamerica, dove colpisce il 5,8% della popolazione.
Anche per quanto riguarda l’insicurezza alimentare moderata o grave, il continente ha registrato un progresso per il secondo anno consecutivo (19,7 milioni in meno rispetto al 2022) e nel 2023 è stato al di sotto della media globale per la prima volta in dieci anni. Tuttavia, le cifre totali effettive rimangono drammatiche: più di 187 milioni di persone (su un totale di 630 milioni) hanno sperimentato l’insicurezza alimentare. Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, questa leggera tendenza alla diminuzione si spiega con la ripresa economica di diversi Paesi sudamericani, oltre che con i programmi di protezione sociale, gli sforzi economici post-pandemia e le nuove politiche mirate a migliorare l’accesso al cibo.
L’insicurezza alimentare è più pronunciata nelle comunità rurali e tra le donne. In termini di malnutrizione, il rapporto rileva che l’arresto della crescita ha colpito l’11,5% dei bambini sotto i cinque anni nel 2022, al di sotto della media globale (22,3%). Tuttavia, la tendenza è preoccupante se si considera che i progressi nella regione dell’America Latina e dei Caraibi sono rallentati negli ultimi anni.
L’impossibilità economica di accedere a diete sane è uno dei sintomi più preoccupanti. Corollario di ciò è l’aumento del sovrappeso e dell’obesità, condizioni che aumentano il fattore di rischio per le malattie non trasmissibili. Sebbene una dieta sana sia alla base della salute, del benessere, della crescita ottimale e dello sviluppo umano, nel 2023 il 50% della popolazione dei Caraibi non potrà permettersi questo diritto fondamentale. E nemmeno il Mesoamerica (26,3%) e il Sud America (26%). Alla luce di queste disparità, il rapporto invita gli Stati a dare priorità alle popolazioni vulnerabili esposte a eventi climatici estremi.
Da parte loro, i principali movimenti sociali rurali internazionali, come La Via Campesina, continuano a chiedere una migliore distribuzione della terra e la promozione di un modello di produzione agro-ecologico che garantisca la sovranità alimentare. Questa proposta si contrappone all’agrobusiness, basato su grandi proprietà terriere e finalizzato esclusivamente all’esportazione.
Lo scorso gennaio, la riunione di coordinamento nazionale del Movimento dei lavoratori rurali senza terra (Mst) in Brasile ha sancito la necessità di attuare una riforma agraria popolare. La considera “una possibile via per superare la distruzione dell’ambiente, la concentrazione della ricchezza e la disuguaglianza sociale”. Il documento, firmato da 400 leader del Mst provenienti dai 23 Stati del Paese, denuncia il modello distruttivo dell’agrobusiness e impegna il movimento ad avanzare su due punti fondamentali entro il 2025. Il primo è la difesa della terra, del territorio e dei beni comuni, opponendosi “alla speculazione sulle parcelle della riforma agraria e a tutte le forme di vessazione capitalistica nei nostri territori”. Il secondo è la produzione di cibo sano per tutti i brasiliani. Per questo, il Mst ritiene essenziale “promuovere l’agroecologia, rispettare la diversità dei biomi, lottare contro gli agrotossici e rafforzare la cooperazione contadina e l’agroindustrializzazione per organizzare la vita collettiva nella produzione, nel lavoro e nelle relazioni umane”.
Orizzonte buio per quest’anno
Nel valutare la realtà e le tendenze continentali nel 2025, il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) individua in un documento diffuso a gennaio i cinque fattori più importanti che segneranno la dinamica integrale del continente: il cambiamento climatico, la debole crescita economica, la bassa produttività, le disuguaglianze strutturali e la sfiducia nel sistema e nella politica.
“Il cambiamento climatico”, sottolinea l’Undp, “non è più una minaccia lontana, ma una realtà quotidiana. Ci si riferisce, ad esempio, alle frequenti e gravi siccità che colpiscono quotidianamente l’agricoltura, il commercio e la produzione di energia. Se le attuali tendenze climatiche dovessero continuare, l’Undp sostiene che, senza ulteriori azioni, “queste pressioni potrebbero compromettere la qualità della vita e la resilienza della popolazione”. In assenza di cambiamenti significativi, quasi la metà dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi sarà presto priva di acqua sufficiente, con una grave crisi idrica entro il 2080 (https://www.undp.org/es/latin-america/blog/cinco-tendencias-de-desarrollo-en-america-latina-y-el-caribe-para-2025).
In termini di crescita economica, il Undp prevede un tasso del 2,5%, appena superiore al livello dell’anno precedente, ma ancora inferiore alla media mondiale. Questo lento ritmo di crescita economica, caratteristico della regione da decenni, ostacolerà gli sforzi per ridurre la povertà. Le famiglie delle città, strettamente legate alle dinamiche di mercato, sono particolarmente vulnerabili agli shock economici. E mentre la povertà rurale rimane più elevata, quella delle aree urbane sta aumentando più rapidamente, con le nuove pressioni sui centri urbani che questa dinamica comporta.
Per quanto riguarda la bassa produttività, uno dei maggiori ostacoli storici alla crescita della regione, il Programma delle Nazioni Unite raccomanda che il continente si concentri sulla “creazione di posti di lavoro e di imprese basati sulla conoscenza e sull’innovazione, in particolare nei settori della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (Stem)”. Questa proposta si scontra con la realtà politica di molti Paesi, come l’Argentina, dove lo smantellamento sistematico della scienza e della ricerca nell’ultimo anno e la significativa riduzione dei budget per l’istruzione vanno contro ciò che gli specialisti internazionali raccomandano come priorità.
Il quarto fattore, le profonde disuguaglianze strutturali nella regione, sta iniziando a manifestarsi in nuove situazioni, come il divario digitale. Secondo il Undp, l’America Latina e i Caraibi non saranno in grado di beneficiare appieno della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale finché le famiglie a basso reddito e le aree rurali rimarranno scollegate da infrastrutture di base come Internet. Nel campo dell’istruzione, questo divario aggrava ulteriormente il problema, come dimostrano i risultati del Programma per la valutazione internazionale degli studenti (Pisa), con notevoli difficoltà da parte degli studenti nel padroneggiare competenze complesse come quelle matematiche e scientifiche. Le disuguaglianze sociali, come il carico di cura sproporzionato delle donne, limitano il loro contributo economico.
Infine, ma non meno importante, la sfiducia nel sistema e nella politica. Secondo l’Undp, questa sfiducia deriva dalla persistente disuguaglianza che ha eroso la fiducia dei cittadini nella democrazia e nelle sue istituzioni. Quando lo Stato non riesce a rispondere alle esigenze e alle aspettative di base delle comunità locali, queste tendono a disimpegnarsi da esso, intensificando le divisioni anche all’interno dello stesso Paese. In tali circostanze di sfiducia nel sistema democratico, molte persone sarebbero disposte a giustificare anche soluzioni radicali, come un colpo di Stato, se questo potesse migliorare le loro condizioni di vita e di sicurezza.
Diverse crisi in una, in un continente che nonostante il suo grande potenziale naturale continua a zoppicare. Condannato sempre più a un ruolo secondario, agro-esportatore, dipendente dagli umori mutevoli dei grandi centri di potere. Un’America Latina e i Caraibi che oggi rischia di perpetuare un modello di dipendenza invece di costruire attivamente l’autonomia nell’unità.
Sergio Ferrari per World Politics Blog
*Versione italiana a cura del Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (GIGA)
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