di Andrea Capocci
Nel decreto che proroga la partecipazione italiana alle missioni Nato e rifinanzia la sanità calabrese approvato martedì in Senato, la maggioranza ha «nascosto» la riforma dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) che indebolisce un’istituzione fondamentale per la tutela della salute pubblica. Salvo sorprese alla Camera, dove la norma verrà discussa a giorni, l’emendamento modifica in profondità l’assetto dell’Aifa cancellando la figura del direttore generale. Inoltre, abroga la commissione tecnico-scientifica e la commissione «prezzi e rimborsi» sostituendole con una «Commissione scientifica ed economica» di soli dieci membri che dovrà valutare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci e negoziare con le aziende la quota del loro prezzo di cui si fa carico il servizio sanitario nazionale.
Un terremoto, per un’agenzia che ha il ruolo delicato di garantire il diritto alla cura con farmaci di qualità e economicamente sostenibili. E che si confronta quotidianamente con la pressione esercitata da aziende farmaceutiche di dimensione transnazionale e che non gradiscono ostacoli. La riforma va a loro favore, a giudicare dalle parole di ieri del ministro della salute Orazio Schillaci, secondo cui «l’approvazione dei dossier deve diventare più rapida». Anche a costo di indebolire l’agenzia.
Il direttore Generale che sparirà, infatti, è la figura che garantisce l’indipendenza dell’Agenzia, mentre il presidente viene espresso dalle Regioni. Concentrare il potere nelle mani di quest’ultimo sposterà il baricentro a favore della politica, più condizionabile e meno attenta alle evidenze scientifiche in materia sanitaria. Anche la valutazione dei farmaci affidata a soli dieci membri, in luogo dei venti delle commissioni precedenti indebolisce l’agenzia, secondo molti esperti. «Dieci tecnici, nominati non si sa da chi, non bastano» spiega al manifesto il farmacologo Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’istituto «Mario Negri». «Oggi la farmacologia è una materia molto più complessa di prima, richiede competenze diverse in molti settori scientifici ed economici. Così si limita la capacità di controllo dell’Aifa».
Infilare la riforma dell’Aifa nella ratifica parlamentare di impegni già presi è il metodo ideale per farla passare senza il dibattito che avrebbe meritato. Dall’opposizione, in ogni caso, giungono solo deboli malumori. Il Pd si è limitato all’astensione sul provvedimento, giudicato «un colpo di mano» dalla responsabile sanità Beatrice Lorenzin. Tace l’ex-ministro della salute Roberto Speranza, che pure aveva lavorato a una riforma dell’Agenzia poi sfumata.
La riforma conclude il duro scontro tra l’attuale direttore generale, il farmacologo Nicola Magrini, e il presidente, il virologo Giorgio Palù indicato dalla Lega con il fine non troppo nascosto di ammorbidire l’indirizzo troppo “rigoroso” impresso dal dg all’Agenzia durante la pandemia. La cancellazione del dg prevista dalla riforma indica chiaramente chi esca vincitore dallo scontro.
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Nel decreto che proroga la partecipazione italiana alle missioni Nato e rifinanzia la sanità calabrese approvato martedì in Senato, la maggioranza ha «nascosto» la riforma dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) che indebolisce un’istituzione fondamentale per la tutela della salute pubblica. Salvo sorprese alla Camera, dove la norma verrà discussa a giorni, l’emendamento modifica in profondità l’assetto dell’Aifa cancellando la figura del direttore generale. Inoltre, abroga la commissione tecnico-scientifica e la commissione «prezzi e rimborsi» sostituendole con una «Commissione scientifica ed economica» di soli dieci membri che dovrà valutare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci e negoziare con le aziende la quota del loro prezzo di cui si fa carico il servizio sanitario nazionale.
Un terremoto, per un’agenzia che ha il ruolo delicato di garantire il diritto alla cura con farmaci di qualità e economicamente sostenibili. E che si confronta quotidianamente con la pressione esercitata da aziende farmaceutiche di dimensione transnazionale e che non gradiscono ostacoli. La riforma va a loro favore, a giudicare dalle parole di ieri del ministro della salute Orazio Schillaci, secondo cui «l’approvazione dei dossier deve diventare più rapida». Anche a costo di indebolire l’agenzia.
Il direttore Generale che sparirà, infatti, è la figura che garantisce l’indipendenza dell’Agenzia, mentre il presidente viene espresso dalle Regioni. Concentrare il potere nelle mani di quest’ultimo sposterà il baricentro a favore della politica, più condizionabile e meno attenta alle evidenze scientifiche in materia sanitaria. Anche la valutazione dei farmaci affidata a soli dieci membri, in luogo dei venti delle commissioni precedenti indebolisce l’agenzia, secondo molti esperti. «Dieci tecnici, nominati non si sa da chi, non bastano» spiega al manifesto il farmacologo Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’istituto «Mario Negri». «Oggi la farmacologia è una materia molto più complessa di prima, richiede competenze diverse in molti settori scientifici ed economici. Così si limita la capacità di controllo dell’Aifa».
Infilare la riforma dell’Aifa nella ratifica parlamentare di impegni già presi è il metodo ideale per farla passare senza il dibattito che avrebbe meritato. Dall’opposizione, in ogni caso, giungono solo deboli malumori. Il Pd si è limitato all’astensione sul provvedimento, giudicato «un colpo di mano» dalla responsabile sanità Beatrice Lorenzin. Tace l’ex-ministro della salute Roberto Speranza, che pure aveva lavorato a una riforma dell’Agenzia poi sfumata.
La riforma conclude il duro scontro tra l’attuale direttore generale, il farmacologo Nicola Magrini, e il presidente, il virologo Giorgio Palù indicato dalla Lega con il fine non troppo nascosto di ammorbidire l’indirizzo troppo “rigoroso” impresso dal dg all’Agenzia durante la pandemia. La cancellazione del dg prevista dalla riforma indica chiaramente chi esca vincitore dallo scontro.
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