di Carlo Pelanda
C’è attesa per capire se il tetto di 60 dollari al barile del petrolio russo (10% della produzione mondiale) deciso dall’Unione Europea e e dal G7, con inizio il 5 dicembre e quello relativo ai prodotti raffinati previsto il 5 febbraio prossimo, avranno un impatto inflazionistico/di scarsità per i sanzionatori oppure no.
Il primo fattore da osservare riguarda il comportamento dell’Opec+: se questo cartello di produttori, a cui la Russia partecipa come membro aggiunto e non organico, restringerà la produzione il pericolo sarà minore. L’Opec è in stato di attesa. Gli Stati Uniti hanno migliorato le relazioni con l’Arabia, Paese leader dell’Opec, con un’azione recente di realpolitik: hanno concesso l’immunità al principe regnante saudita per un caso di omicidio di un dissidente. Washington, inoltre, temendo riverberi negativi sul prezzo dei carburanti in casa propria (e forse non volendo esasperare oltre modo Putin), pur essendo tra i massimi produttori, ha premuto per una sanzione “morbida” convergendo con le nazioni europee portatrici della medesima preoccupazione, fino al punto da far dichiarare a Zelensky che non servirà per definanziare lo sforzo bellico di Mosca.
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