di Erminia Voccia
Negli ultimi dieci anni, la Repubblica Popolare ha investito oltre cinquanta miliardi di dollari a favore della propria industria di pannelli solari, dieci volte più dell’Europa, e dal 2011 ha creato più di trecentomila nuovi posti di lavoro in questo settore. Sei delle prime dieci aziende più importanti al mondo per la produzione di turbine eoliche sono cinesi. La Goldwind, con sede nella capitale, si colloca al terzo posto dopo la danese Vestas e la spagnola Siemens Gamesa.
Pechino è stata in grado di costruire le catene di approvvigionamento di energia pulita più integrate ed efficienti al mondo. Nessun altro Paese si è impegnato così tanto per l’economia della transizione energetica. Ancora negli ultimi dieci anni, la produzione globale dei sistemi fotovoltaici si è spostata sempre di più da Stati Uniti, Europa e Giappone verso la Cina. Un punto di partenza non favorevole, se si considera che tale tecnologia costituisce il fulcro della spinta del blocco europeo per realizzare la neutralità carbonica entro il 2050.
Pechino, insomma, domina il mercato. Pertanto, il paradosso è che l’Europa, nell’ottica di ridurre la propria dipendenza dal gas russo, in piena transizione energetica, si scopre vulnerabile e dipendente da Pechino per la fornitura di elementi chiave per le rinnovabili.
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