di Maurizio Ambrosini
Definire l’accordo raggiunto a Lussemburgo sulle politiche dell’asilo (provvisorio, perché va ancora ratificato dal Parlamento europeo) come una svolta storica, secondo le dichiarazioni del governo italiano, suona francamente eccessivo. Peggio ancora però avallarlo come “la strada giusta sui migranti”, come ha titolato il Corriere della Sera. Per la precisione, il Consiglio affari interni dell’Ue ha approvato due pacchetti, che nell’insieme formano un libro di circa 300 pagine, uno sulle procedure di frontiera e uno sull’asilo e l’accoglienza. Dopo sette anni di trattative infruttuose, va riconosciuto il fatto che l’accordo prefigura un parziale cambio di passo in direzione del superamento dei vincoli della convenzione di Dublino: ossia delle norme che caricano l’onere dell’accoglienza sul primo paese di approdo, dispensandone gli altri, e soprattutto vincolando le persone in cerca di asilo a rimanere in quel paese, anche se hanno legami con altri paesi, o comunque l’aspirazione a raggiungerli.
Il principale aspetto positivo dell’accordo è appunto questo: il maggiore coinvolgimento dell’Ue nel suo insieme nella gestione del dossier dell’asilo, un principio tanto elementare quanto politicamente scomodo. Sicché fin qui non è stato possibile affermarlo. Il principio dovrebbe concretizzarsi in una forma di “solidarietà obbligatoria”, ossia nella redistribuzione di una quota annuale di richiedenti asilo verso altri paesi dell’Ue; ma il testo dice, aspetto sfuggito a molti commentatori, “in caso di aumento improvviso degli arrivi”. Non sarà facile accordarsi sulla definizione di “aumento improvviso” e del riconoscimento di uno “stato di necessità”. Né gli sbarchi del 2011, all’epoca delle primavere arabe, né l’arrivo di un milione di siriani nel 2015-2016 in Germania avevano convinto le istituzioni europee ad adottare le misure eccezionali già allora possibili e scattate soltanto in occasione dell’invasione dell’Ucraina. La redistribuzione, se avverrà, dovrebbe partire con 30 mila posti all’anno, che diventerebbero 60 mila l’anno successivo, poi 90 mila, fino a 120 mila dal quarto anno in poi. Meglio di oggi, certo, ma non granché se si pensa che nel 2022 gli stati dell’Ue hanno ricevuto oltre 960 mila richieste di asilo. Per tutti gli altri l’accoglienza rimane attribuita al paese di primo ingresso, e non per un anno, come aveva richiesto il Parlamento europeo, bensì per due.
La redistribuzione
I governi che vorranno sottrarsi alla redistribuzione potranno inoltre avvalersi di un’alternativa: versare una compensazione di 20 mila euro per ogni profugo rifiutato. Sembra una soluzione fin troppo generosa per gli oltranzisti delle chiusure, ma il governo polacco ha già dichiarato che non solo non accoglierà nessuno, ma non verserà neppure un euro in contraccambio. Anche su questa clausola dell’accordo pesa dunque un’incertezza, in vista della sua effettiva attuazione. La redistribuzione era già stata introdotta nell’accordo del 2015, quello che aveva istituito gli hotspot e obbligato Italia e Grecia ad accogliere decine di migliaia di profughi che avrebbero preferito transitare e chiedere asilo altrove. Allora non aveva funzionato, e tra la mitezza della sanzione economica, le opposizioni già annunciate e le modeste quote comunque previste non si vede come il nuovo testo possa davvero cambiare le cose.
Le novità sull’asilo
Altre due sono le principali novità, e non stupisce che abbiano subito destato preoccupazione tra i difensori dei diritti umani e grande soddisfazione sul fronte sovranista. La prima è l’annuncio di una procedura accelerata per l’esame delle domande, basata su una lista di paesi considerati sicuri, perché meno del 20 per cento delle richieste d’asilo di profughi provenienti da quei paesi sono state in precedenza accettate. Chi, dunque, proviene da un paese della lista avrà la sua domanda esaminata in tre mesi, e potrà nel frattempo essere detenuto, con l’evidente previsione di respingere la domanda e di poterlo più facilmente espellere. Gli interrogativi investono il livello di approfondimento della valutazione di queste domande e il rispetto dei diritti dei richiedenti, incluso quello di appello. Si rischia di introdurre procedure sommarie e difficilmente appellabili, basate su una presunzione d’infondatezza delle istanze.
L’altra novità, a quanto si è appreso, è stata voluta proprio dal governo italiano, che incidentalmente ha rifiutato di ricevere compensazioni in denaro in caso di mancata redistribuzione dei richiedenti asilo, con ciò ritrattando uno dei principali argomenti della retorica sovranista, cioè il costo dell’accoglienza. La norma introdotta prevede che il richiedente diniegato possa essere espulso non verso il suo paese di origine, ma anche verso un paese con cui abbia comunque dei legami, per il fatto per esempio di esservi transitato, magari perché trattenuto contro la sua volontà. Si apre dunque la strada a respingimenti verso la Libia e i suoi campi di detenzione, o verso la Tunisia delle campagne xenofobe del presidente Kais Saied. È probabile che l’obiettivo sia la deterrenza, come per le deportazioni verso il Ruanda varate dal governo del Regno Unito, ma non si vede come la norma possa conciliarsi con il rispetto dei diritti umani.
In conclusione, l’Ue è riuscita finalmente a trovare un accordo per un parziale superamento della convenzione di Dublino, ma al prezzo di sostanziali cedimenti alle posizioni di chiusura nei confronti del diritto di asilo e dell’accoglienza delle persone in fuga da guerre, repressioni, persecuzioni, scontri interni, conflitti ad alta e bassa intensità. La paura dell’onda montante dei populismi di destra, insieme ai veti delle capitali già conquistate da quelle forze, sta portando la costruzione europea ad allontanarsi sempre più dai valori che l’hanno ispirata.
Definire l’accordo raggiunto a Lussemburgo sulle politiche dell’asilo (provvisorio, perché va ancora ratificato dal Parlamento europeo) come una svolta storica, secondo le dichiarazioni del governo italiano, suona francamente eccessivo. Peggio ancora però avallarlo come “la strada giusta sui migranti”, come ha titolato il Corriere della Sera. Per la precisione, il Consiglio affari interni dell’Ue ha approvato due pacchetti, che nell’insieme formano un libro di circa 300 pagine, uno sulle procedure di frontiera e uno sull’asilo e l’accoglienza. Dopo sette anni di trattative infruttuose, va riconosciuto il fatto che l’accordo prefigura un parziale cambio di passo in direzione del superamento dei vincoli della convenzione di Dublino: ossia delle norme che caricano l’onere dell’accoglienza sul primo paese di approdo, dispensandone gli altri, e soprattutto vincolando le persone in cerca di asilo a rimanere in quel paese, anche se hanno legami con altri paesi, o comunque l’aspirazione a raggiungerli.
Il principale aspetto positivo dell’accordo è appunto questo: il maggiore coinvolgimento dell’Ue nel suo insieme nella gestione del dossier dell’asilo, un principio tanto elementare quanto politicamente scomodo. Sicché fin qui non è stato possibile affermarlo. Il principio dovrebbe concretizzarsi in una forma di “solidarietà obbligatoria”, ossia nella redistribuzione di una quota annuale di richiedenti asilo verso altri paesi dell’Ue; ma il testo dice, aspetto sfuggito a molti commentatori, “in caso di aumento improvviso degli arrivi”. Non sarà facile accordarsi sulla definizione di “aumento improvviso” e del riconoscimento di uno “stato di necessità”. Né gli sbarchi del 2011, all’epoca delle primavere arabe, né l’arrivo di un milione di siriani nel 2015-2016 in Germania avevano convinto le istituzioni europee ad adottare le misure eccezionali già allora possibili e scattate soltanto in occasione dell’invasione dell’Ucraina. La redistribuzione, se avverrà, dovrebbe partire con 30 mila posti all’anno, che diventerebbero 60 mila l’anno successivo, poi 90 mila, fino a 120 mila dal quarto anno in poi. Meglio di oggi, certo, ma non granché se si pensa che nel 2022 gli stati dell’Ue hanno ricevuto oltre 960 mila richieste di asilo. Per tutti gli altri l’accoglienza rimane attribuita al paese di primo ingresso, e non per un anno, come aveva richiesto il Parlamento europeo, bensì per due.
La redistribuzione
I governi che vorranno sottrarsi alla redistribuzione potranno inoltre avvalersi di un’alternativa: versare una compensazione di 20 mila euro per ogni profugo rifiutato. Sembra una soluzione fin troppo generosa per gli oltranzisti delle chiusure, ma il governo polacco ha già dichiarato che non solo non accoglierà nessuno, ma non verserà neppure un euro in contraccambio. Anche su questa clausola dell’accordo pesa dunque un’incertezza, in vista della sua effettiva attuazione. La redistribuzione era già stata introdotta nell’accordo del 2015, quello che aveva istituito gli hotspot e obbligato Italia e Grecia ad accogliere decine di migliaia di profughi che avrebbero preferito transitare e chiedere asilo altrove. Allora non aveva funzionato, e tra la mitezza della sanzione economica, le opposizioni già annunciate e le modeste quote comunque previste non si vede come il nuovo testo possa davvero cambiare le cose.
Le novità sull’asilo
Altre due sono le principali novità, e non stupisce che abbiano subito destato preoccupazione tra i difensori dei diritti umani e grande soddisfazione sul fronte sovranista. La prima è l’annuncio di una procedura accelerata per l’esame delle domande, basata su una lista di paesi considerati sicuri, perché meno del 20 per cento delle richieste d’asilo di profughi provenienti da quei paesi sono state in precedenza accettate. Chi, dunque, proviene da un paese della lista avrà la sua domanda esaminata in tre mesi, e potrà nel frattempo essere detenuto, con l’evidente previsione di respingere la domanda e di poterlo più facilmente espellere. Gli interrogativi investono il livello di approfondimento della valutazione di queste domande e il rispetto dei diritti dei richiedenti, incluso quello di appello. Si rischia di introdurre procedure sommarie e difficilmente appellabili, basate su una presunzione d’infondatezza delle istanze.
L’altra novità, a quanto si è appreso, è stata voluta proprio dal governo italiano, che incidentalmente ha rifiutato di ricevere compensazioni in denaro in caso di mancata redistribuzione dei richiedenti asilo, con ciò ritrattando uno dei principali argomenti della retorica sovranista, cioè il costo dell’accoglienza. La norma introdotta prevede che il richiedente diniegato possa essere espulso non verso il suo paese di origine, ma anche verso un paese con cui abbia comunque dei legami, per il fatto per esempio di esservi transitato, magari perché trattenuto contro la sua volontà. Si apre dunque la strada a respingimenti verso la Libia e i suoi campi di detenzione, o verso la Tunisia delle campagne xenofobe del presidente Kais Saied. È probabile che l’obiettivo sia la deterrenza, come per le deportazioni verso il Ruanda varate dal governo del Regno Unito, ma non si vede come la norma possa conciliarsi con il rispetto dei diritti umani.
In conclusione, l’Ue è riuscita finalmente a trovare un accordo per un parziale superamento della convenzione di Dublino, ma al prezzo di sostanziali cedimenti alle posizioni di chiusura nei confronti del diritto di asilo e dell’accoglienza delle persone in fuga da guerre, repressioni, persecuzioni, scontri interni, conflitti ad alta e bassa intensità. La paura dell’onda montante dei populismi di destra, insieme ai veti delle capitali già conquistate da quelle forze, sta portando la costruzione europea ad allontanarsi sempre più dai valori che l’hanno ispirata.
Maurizio Ambrosini per Lavoce.info
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