Anno IX - Numero 31
Avere il senso dell'etica è il motivo per cui si diventa quello che diventa.
Soren Kierkegaard

giovedì 14 novembre 2024

Contro il falso femminismo

Perché se il femminismo diventa moralismo non è più femminismo, e perché noi veri femministi esaltiamo le potenti e bellissime metafore di “strega” e “puttana”

di Davide Donadio

Da qualche anno mi ero ripromesso di non esprimere più la mia opinione sull’attualità sociale e politica. Avevo preso questa decisione per due motivi. Il primo, è che la società impazzita che si rispecchia nei social media è talmente ricolma di opinionisti, di professione e occasionali, che si può sicuramente fare a meno della mia testimonianza. Nel rumore di fondo, ogni opinione diventa solo altro rumore. Il secondo motivo è che dedicare il tempo a tematiche meno effimere rispetto all’attualità, mi faceva sentire meno superficiale e mi dava l’illusione di contribuire in misura maggiore alla mia crescita personale e – detto con ironia – a quella dell’umanità. Perché allora fare un’eccezione, adesso? Perché questa volta le tematiche dell’attualità coincidono con quelle di un mio percorso: lo studio del femminismo. Questo tema mi interessa sia da un punto di vista strettamente filosofico e politico, ma anche e soprattutto per come viene declinato nella letteratura e in genere nei fatti di cultura antropologicamente rilevanti. Scrittrici e personaggi femminili che rappresentano il destino delle donne in un mondo di uomini è uno dei centri dei miei interessi negli ultimi anni, anche se mi interessa soprattutto declinato in specifici contesti linguistici e geografici (quelli dell’Asia Orientale).

C’è un altro motivo che mi fa sentire l’urgenza di esprimermi su questo tema. Un senso di disagio. Ho notato negli ultimi decenni il ritorno preoccupante del moralismo relativo al corpo e alla sessualità. Questo nuovo moralismo è travestito da pensiero progressista. E come quello antico, anche questo nuovo moralismo si dedica con particolare ossessione al corpo della donna. Non è una novità, purtroppo.

È un processo inquietante, proprio perché è una forma di pensiero che dissimula se stesso e vuole apparire come il suo contrario: progressista, appunto. Questa forma è più pericolosa del moralismo “onesto”, quello becero e conservatore che ti dice come ti devi comportare, come devi gestire la tua sessualità perché te lo dice una certa divinità o un certo libro sacro.

Recentemente ho ascoltato un’interessante lezione del professor Massimo Raveri, storico delle religioni e studioso della filosofia orientale. Questa lezione riguardava la figura della donna nel pensiero religioso giapponese, ma, come sempre in Raveri, la tematica era estesa in senso molto più ampio. Riassumerò alcuni concetti brevemente perché penso siano molto utili anche per la finalità che mi pongo qui, scrivendo questo articolo.

Raveri spiegava che l’identificazione della donna come “impura” in quasi tutte le culture umane ha una specifica motivazione antropologica. La necessità di classificare il mondo e di renderlo comprensibile razionalmente, ha portato ad individuare la norma di ciò che è umano nella corporeità e nella fisicità maschile. L’ambiguità del corpo doppio non era facilmente assimilabile. Se l’uomo è quindi diventato la norma, la donna è diventava l’altro, la diversità da controllare e da riportare all’ordine.

Continua la lettura sul blog di Davide Donadio

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