di Matteo Bassetti De Angelis
Nel titolo obbligo di prestare soccorso, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 prevede l’obbligo per il comandante di una nave di prestare soccorso a chiunque si trovi in mare in condizioni di pericolo. Questo, non deve però in alcun modo mettere a repentaglio l’imbarcazione stessa, l’equipaggio o i propri passeggeri. La norma pattizia è, inoltre, parte del diritto internazionale consuetudinario.
Analogamente, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare, nella versione del 1974, impone in capo agli Stati di «accertarsi che tutte le necessarie disposizioni siano prese per la sorveglianza delle coste e per il salvataggio delle persone in pericolo lungo le loro coste».
Inoltre, il salvataggio in mare prevede, a norma della Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979, che nel rispetto della disciplina circa l’area di competenza degli Stati firmatari, «venga fornita assistenza ad ogni persona in pericolo in mare […] senza tener conto della nazionalità […], né delle circostanze nelle quali è stata trovata».
Il principio di non respingimento e il divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti
Il divieto di respingimento consiste nell’obbligo statale, nello specifico caso del soccorso in mare, di non consegnare o trasportare alcuno al proprio Stato nazionale qualora egli possa subire, una volta arrivato, trattamenti inumani o degradanti. Non di rado i migranti che decidono di scappare dalle proprie terre di origine, spesso affette da un deficit di democraticità, sono sottoposti a ingiusti processi e alla carcerazione in violazione di numerose Convenzioni internazionali in materia e non solo.
Sia il principio del non respingimento che il divieto di trattamenti inumani sono norme appartenenti allo jus cogens: esse si pongono cioè al vertice del sistema internazionale delle fonti del diritto ed è escluso che qualunque Stato possa derogare a tali regole.
Questo principio è inoltre codificato nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra, dall’art. 19 della Convenzione di Nizza e dalla giurisprudenza della Corte Edu in materia.
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Analogamente, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare, nella versione del 1974, impone in capo agli Stati di «accertarsi che tutte le necessarie disposizioni siano prese per la sorveglianza delle coste e per il salvataggio delle persone in pericolo lungo le loro coste».
Inoltre, il salvataggio in mare prevede, a norma della Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979, che nel rispetto della disciplina circa l’area di competenza degli Stati firmatari, «venga fornita assistenza ad ogni persona in pericolo in mare […] senza tener conto della nazionalità […], né delle circostanze nelle quali è stata trovata».
Il principio di non respingimento e il divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti
Il divieto di respingimento consiste nell’obbligo statale, nello specifico caso del soccorso in mare, di non consegnare o trasportare alcuno al proprio Stato nazionale qualora egli possa subire, una volta arrivato, trattamenti inumani o degradanti. Non di rado i migranti che decidono di scappare dalle proprie terre di origine, spesso affette da un deficit di democraticità, sono sottoposti a ingiusti processi e alla carcerazione in violazione di numerose Convenzioni internazionali in materia e non solo.
Sia il principio del non respingimento che il divieto di trattamenti inumani sono norme appartenenti allo jus cogens: esse si pongono cioè al vertice del sistema internazionale delle fonti del diritto ed è escluso che qualunque Stato possa derogare a tali regole.
Questo principio è inoltre codificato nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra, dall’art. 19 della Convenzione di Nizza e dalla giurisprudenza della Corte Edu in materia.
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