All'inizio del 2024, l’Italia dovrà annunciare ufficialmente se prorogare o meno il Memorandum sull’adesione alla Belt & Road Initiative, firmato nel 2019 da Giuseppe Conte. Giorgia Meloni non è mai stata favorevole alla firma, ma ancora non ha annunciato se e come Roma intende ritirarsi dal Memorandum
di Francesco Maselli
Nel cortile di Villa Madama, il palazzo rinascimentale che domina la capitale italiana dal quartiere Monte Mario, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte attende il presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping. È il 23 marzo 2019: i due, dopo una calorosa stretta di mano, attraversano il giardino su un tappeto rosso che copre il terreno di ghiaia, per accomodarsi in una delle sale interne e firmare l’atto di politica estera più importante del mandato del governo Conte.
Dopo mesi di negoziati, l’Italia aderisce al controverso progetto cinese delle Nuove vie della Seta attraverso un Memorandum of Understanding quinquennale che definisce i contorni della partecipazione italiana. Per la Cina, la firma ha un valore geopolitico rilevantissimo: Roma è l’unica capitale del G7 a compiere una scelta diplomatica di questo genere, gli altri Stati europei siglano accordi commerciali anche più importanti, ma decidono di evitare un coinvolgimento simbolico. Per Stati Uniti, Canada e Giappone, la firma sarebbe semplicemente inconcepibile.
A distanza di quattro anni, il governo di destra guidato da Giorgia Meloni si trova di fronte a una delicata scelta politica: all’inizio del 2024 il Memorandum si rinnoverà automaticamente, a meno che una delle due parti non segnali la volontà di ritirarsi con tre mesi di anticipo. L’eredità della firma di Conte è un dossier di difficile gestione per l’attuale esecutivo: un rinnovo sarebbe rischioso per Giorgia Meloni, che da mesi invia segnali di lealtà all’alleanza atlantica e tiene una decisa posizione a favore del sostegno all’Ucraina, ma che deve ancora dimostrare di essere allineata all’occidente nei rapporti con la Cina; d’altro canto, uscire dall’accordo implica una presa di posizione diplomatica pubblica molto chiara, che potrebbe irritare Pechino ed esporre l’Italia a eventuali ritorsioni, soprattutto sul piano commerciale.
Com’è stato possibile per l’Italia trovarsi di fronte a questo rompicapo diplomatico?
Nel cortile di Villa Madama, il palazzo rinascimentale che domina la capitale italiana dal quartiere Monte Mario, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte attende il presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping. È il 23 marzo 2019: i due, dopo una calorosa stretta di mano, attraversano il giardino su un tappeto rosso che copre il terreno di ghiaia, per accomodarsi in una delle sale interne e firmare l’atto di politica estera più importante del mandato del governo Conte.
Dopo mesi di negoziati, l’Italia aderisce al controverso progetto cinese delle Nuove vie della Seta attraverso un Memorandum of Understanding quinquennale che definisce i contorni della partecipazione italiana. Per la Cina, la firma ha un valore geopolitico rilevantissimo: Roma è l’unica capitale del G7 a compiere una scelta diplomatica di questo genere, gli altri Stati europei siglano accordi commerciali anche più importanti, ma decidono di evitare un coinvolgimento simbolico. Per Stati Uniti, Canada e Giappone, la firma sarebbe semplicemente inconcepibile.
A distanza di quattro anni, il governo di destra guidato da Giorgia Meloni si trova di fronte a una delicata scelta politica: all’inizio del 2024 il Memorandum si rinnoverà automaticamente, a meno che una delle due parti non segnali la volontà di ritirarsi con tre mesi di anticipo. L’eredità della firma di Conte è un dossier di difficile gestione per l’attuale esecutivo: un rinnovo sarebbe rischioso per Giorgia Meloni, che da mesi invia segnali di lealtà all’alleanza atlantica e tiene una decisa posizione a favore del sostegno all’Ucraina, ma che deve ancora dimostrare di essere allineata all’occidente nei rapporti con la Cina; d’altro canto, uscire dall’accordo implica una presa di posizione diplomatica pubblica molto chiara, che potrebbe irritare Pechino ed esporre l’Italia a eventuali ritorsioni, soprattutto sul piano commerciale.
Com’è stato possibile per l’Italia trovarsi di fronte a questo rompicapo diplomatico?
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