All'interno della maggioranza c'è un'opposizione "ideologica" e una "strategica" alla ratifica, entrambe usano argomenti infondati. La riforma non comporta nuovi rischi o automatismi e il veto non garantisce potere negoziale in Europa su altri tavoli
di Silvia Merler
Alla radice dell’opposizione “ideologica” sembra esserci il timore che la ratifica della riforma renda in qualche modo più facile il “commissariamento” dell’Italia da parte di Bruxelles e Francoforte, con conseguenti svantaggi o rischi economici per l’Italia. Questi timori sono ingiustificati.
La riforma
Istituito nell’ottobre 2012, il Mes ha il compito di prestare a quei Paesi dell’Eurozona che si trovino a fronteggiare una crisi di bilancia dei pagamenti e a rischiare di perdere l’accesso ai mercati dei capitali. La riforma costituisce la base legale per trasformare il Mes in una sorta di equivalente europeo del Fondo monetario internazionale, con compiti che andrebbero al di là del sostegno a Stati in situazioni di crisi di liquidità.
La novità più importante introdotta dalla riforma è la possibilità per il Mes di esercitare funzione di backstop per il Fondo di Risoluzione Unica Ue (Srf) – proposta che assume un’importanza strategica alla luce dei recenti fallimenti bancari in Usa e Svizzera.
Il Srf è un fondo istituito dall'Ue per risolvere le banche in dissesto nel contesto dell'Unione bancaria. È finanziato dai contributi del settore bancario. Nel caso in cui l'Srf si esaurisca, la riforma permette al Mes di prestare i fondi necessari per finanziare una risoluzione.
Nell’attuale framework Ue di gestione delle crisi bancarie il Srf è l’ovvio candidato per iniettare liquidità in un istituto di credito in fase di ristrutturazione, ma la sua potenza di fuoco è limitata a un target di 80 miliardi di euro, che dovrebbe essere raggiunto a fine 2023.
L’aggiunta di un backstop da parte del Mes raddoppierebbe i fondi a disposizione del Srf, permettendo di gestire una crisi - se si presentasse – in maniera più efficace.
Una seconda novità è la revisione delle linee di credito precauzionali del Mes (note come Pccl, Precautionary Conditioned Credit Line e Eccl, Enhanced Conditioned Credit Line).
Attualmente, l’accesso alla Pccl è subordinato alla firma da parte del governo richiedente di un Memorandum of Understanding (MoU), contenente la ben nota condizionalità macroeconomica. La nuova Pccl sarebbe invece accessibile senza MoU, ma solo per Paesi che rispettino determinati requisiti di idoneità.
Questa revisione avrebbe potuto essere più ambiziosa. I requisiti di accesso alla nuova versione “light” della Pccl sono infatti molto stringenti, e la riforma aggiunge il requisito che il Paese richiedente la Pccl light abbia, nei due anni precedenti alla richiesta, rispettato la regola di riduzione del debito prevista nel Fiscal Compact (ovvero una riduzione di almeno 1/20 della differenza con il benchmark del 60 per cento, ogni anno).
Questo criterio renderebbe impossibile per l’Italia accedere alla nuova Pccl light priva di MoU – e costituisce l’unico aspetto della riforma del Trattato che costituirebbe per il nostro Paese uno svantaggio (seppure ipotetico). Ma la Commissione Ue ha recentemente proposto di eliminare la regola di riduzione del debito nel contesto della più ampia riforma delle regole fiscali Ue.
Una volta approvato il nuovo assetto delle regole fiscali Ue basterebbe quindi una modifica dei criteri di accesso alla Pccl che recepisca il nuovo assetto delle regole fiscali. Un paper pubblicato nel 2021 da quattro economisti del MES (Francovà et al (2019)) propone proprio questa soluzione, e conferma come alla base della riforma della Pccl ci sia l’idea di subordinarne l’accesso al rispetto delle regole fiscali Ue vigenti, seguendone l’evoluzione piuttosto che ancorandosi a criteri fissi.
Continua la lettura su sito dell'Institute for European Policymaking
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